Il primo stemma della Città di Brindisi va tutelato e conservato in un luogo più degno del suo valore e che consenta la sua piena fruizione a turisti e brindisini.
E’ questa la nuova battaglia condotta da Aldo Indini, noto cultore di storia locale, che ha indirizzato la sua richiesta al Sindaco di Brindisi, Mimmo Consales.
Il primo stemma della Città di Brindisi in marmo ha vissuto una storia molto travagliata ed in più occasioni è stato salvato dalla possibile distruzione.
Si narra che fu fatto costruire da Ferdinando d’Aragona nel 1496. Lo stesso dispose che lo stemma prevedesse la scritta Ad Erculis Columnas sovrastante le due colonne rappresentanti la città di Brindisi e la corona di dignità regale.
Come ci riferisce il Camassa sulla “Romanità di Brindisi”, fu allora scritto il seguente distico:
STEMMA BRUNDUSII
MARMOR GEMINAEQUE COLUMNAE
DOMUS ARAGONIAE CLORIA PRIMA SUMUS
«Noi marmoree colonne gemelle formanti lo stemma di Brindisi siamo la prima gloria della casa d’Aragona»
Sotto il regno di Carlo II, lo stemma venne inserito sulla cortina adiacente la Porta Napoli detta Porta Mesagne.
Dopo i forti temporali del 1925, con la porta ridotta quasi a un cumulo di macerie, per evitare il crollo e la distruzione, lo stemma venne rimosso ed accumulato con altri ritrovamenti nel Castello di Terra.
Le memorie storiche ricordano che fu data disposizione di demolire la porta per salvaguardare l’incolumità dei cittadini, ma quando gli operai incaricati dell’opera si recarono a eseguire la demolizione, si trovarono il famoso storico papa Pascalino Camassa che, con la sua inamovibile presenza, seduto su di una sedia proprio sotto la porta, ne salvò la demolizione.
Lo stemma fu ritrovato nel 1972 dall’Ammiraglio Fadda all’interno del Castello di Terra, sede del Comando Marina Militare.
Era rimasto abbandonato come una pietra qualsiasi tra un cumolo di altri reperti.
Lo stemma fu ripulito e fu murato sul fabbricato del Corpo di Guardia a vista dalla pubblica strada, ove ancor oggi è visibile.
Ma il primo stemma di Brindisi merita una collocazione migliore, un luogo di conservazione più consono al proprio pregio, una dimora che ne esalti l’alto valore storico e patrimoniale per la città di Brindisi e che lo porti ad essere un punto di riferimento culturale sia per i brindisini che per i turisti.
Ed ecco la proposta:
Scrive Indini a Consales: “Se il Sindaco Mimmo Mennitti ha riportato alla verità storica le colonne romane erroneamente ritenute termine della via Appia in quanto rivolte al mare quale termine della navigazione e storicamente innalzate in onore di Ercole, perché la S.V non fa trasportare STEMMA BRUNDUSII MARMOR GEMINAEQUE COLUMNAE nella sala del capitello del Palazzo Granafei con la speranza che emerga la verità storica di quel capitello ivi depositato?”
Ma quale potrebbe essere la verità storica del capitello posto nella sala del Palazzo Granafei?
Il capitello attualmente posto nell’interno dell’apposita “Sala della Colonna”, adorno di dodici figure a mezzo busto, (quattro rappresentano Giove, Nettuno, Giunone e Intride, le altre otto sono Tritoni), è simile ad un ritrovamento presso le Terme di Caracalla a Roma. E’ stato posto sopra la colonna ricostruita nel IX secolo, nell’epoca Bizantina con basamento completamente rifatto.
Quello preesistente (come apprendiamo da Tommaso Cinosa nel suo manoscritto Compendio istorico della città di Brindisi) si ritiene, invece, simile al capitello posto sulla colonna data a Lecce, era piatto e composto da quattro cariatidi femminili e principi persiani, provenienza dalla originaria colonna dell’epoca Agustea, il cui basamento ancora oggi intatto.
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