August 5, 2025

ILL.MO SIG. PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL
TRIBUNALE DI BRINDISI
(Dott. Milto S. De Nozza)

Atto di integrazione di denuncia querela e contestuali richieste istruttorie

I sottoscritti:

– MASIELLO GIORGIA, nata a Brindisi il 25/10/1985 ed ivi residente alla Via Benedetto Brin, 23/B;

– MEDICO ANNUNZIATA, nata a Brindisi il 10.01.1983 ed ivi residente alla Via Largo A. Avogado n.5;

– DE LEONARDIS PATRIZIA, nata a Brindisi il 19.03.1966 ed ivi residente alla Corte Sele n. 14 in proprio e quale coniuge di MORLEO ANTONIO nato a Brindisi il 19.01.1962 e deceduto a Brindisi il 10.09.2010;

-GAUDINO VINCENZO, nato a Brindisi il 07.06.1961 ed ivi domiciliato alla Via Basento n. 19, in proprio e quale genitore di GAUDINO IDA nata a Brindisi il 31.03.1986 e deceduta a Genova il 18.05.2011;

– CAIULO FRANCESCO, nato a Brindisi il 05.05.1945 e residente in Tuturano (BR) alla Via stazione n. 149, in proprio e quale genitore esercente la tutela del Sig. CAIULO ANTONIO nato a Lecce il 28/08/1973;

– BRIGANTE GIOVANNI, nato a Brindisi il 12/10/1970 ed ivi residente alla Via Marco Pacuvio n.5/B;
espongono quanto segue

1) LA DENUNCIA – QUERELA DEL 12 GIUGNO 2014

Gli esponenti in data 12/06/2014 depositavano atto di denuncia querela, con la quale si chiedeva alla Procura della Repubblica di Brindisi di verificare la sussistenza nei fatti lì esposti- si potessero individuare gli estremi dei reati di cui agli artt.:

– 582, 583 e 585 C.P., in relazione alle lesioni personali gravissime patite da Masiello Giorgia, Annunziata Medico, Caiulo Antonio e Giovanni Brigante;

– 575 C.P., in relazione ai decessi dei Sigg.ri Gaudino Ida e Morleo Antonio;

– 422 e 434 C.P., per aver, gli esercenti gli impianti petrolchimici di Brindisi, concretamente messo in pericolo la pubblica incolumità attraverso l’emissione di sostanze inquinanti oltre i limiti di legge e lo smaltimento illecito di ingentissime quantità di rifiuti tossico-nocivi, causando il danneggiamento irreparabile dell’ecosistema brindisino nonché causando la malattia e/o la morte di un numero ancora imprecisato di persone;

in relazione ai profili di responsabilità penale attribuibili ai proprietari e/o gestori e/o amministratori e/o detentori degli impianti industriali presenti nell’area del Petrolchimico di Brindisi, ovvero a carico dei soggetti che verranno ritenuti responsabili dei reati che saranno ravvisati nei fatti esposti, anche ai sensi della D.Lgs n.231/2001 con irrogazione della pena ritenuta di giustizia.

Si chiedeva, altresì, che venissero accertate e, conseguentemente, punite le responsabilità a titolo di concorso colposo delle Amministrazioni Pubbliche competenti.

Gli esponenti affermavano di aver patito il decesso di congiunti o gravissime patologie neoplastiche a carico del sistema linfoematopoietico a seguito della esposizione cronica a Benzene, Idrocarburi Policiclici Aromatici ed Idrocarburi leggeri e pesanti.

La circostanza che gli ammalati avessero sempre vissuto in prossimità del SIN di Brindisi e che conoscenze ormai consolidate nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale pongano l’esposizione cronica a Benzene, Idrocarburi Policiclici Aromatici ed Idrocarburi leggeri e pesanti, ed altre sostanze nocive tra le cause principali dell’insorgenza di tali patologie, hanno spinto gli esponenti a verificare la possibilità che le malattie da cui sono stati affetti, e che in due casi hanno condotto alla morte degli ammalati, siano conseguenza dell’esposizione cronica a tali inquinanti, presenti nel SIN di Brindisi in misura impressionante, ed ad individuare le eventuali responsabilità.

Lo studio effettuato a partire dal Novembre 2013 dei dati provenienti da varie campagne di caratterizzazione effettuate nell’aria industriale di Brindisi, della letteratura scientifica in materia, dei documenti pubblicati dalla giornalista Lucia Portolano sulla pratica di smaltimento illecito dei rifiuti tossici e nocivi, prodotti dalle lavorazioni industriali effettuate negli anni negli impianti del petrolchimico di Brindisi, consentivano di articolare l’approfondita e documentata denuncia querela di che trattasi.

Gli esponenti nella denuncia documentavano che:

MONTEDISON prima ed ENI poi, attraverso le società del gruppo che hanno avuto la materiale gestione, amministrazione ovvero detenzione degli impianti industriali insediati nell’area del Petrolchimico di Brindisi:

– hanno effettuato produzioni industriali di materie plastiche, omettendo di adottare le migliori tecnologie atte ad evitare emissioni nocive per l’ambiente e la salute delle persone;

– hanno smaltito illecitamente, con le modalità sopra illustrate, quantità ingentissime di rifiuti tossico-nocivi ;

– hanno immesso nell’aria, attraverso processi costanti di combustione non controllati, quantità altrettanto ingenti di gas nocivi.

Hanno documentato, altresì, che:

▪ la produzione industriale di materie plastiche, omettendo di adottare le migliori tecnologie atte ad evitare emissioni nocive per l’ambiente e la salute delle persone;
▪ lo smaltimento illecito di quantità ingentissime di rifiuti tossico-nocivi, residui delle lavorazioni industriali effettuate nel petrochimico;
▪ l’immissione nell’aria, attraverso processi costanti di combustione non controllati, di quantità ingenti di gas nocivi;
hanno provocato uno stato di gravissimo inquinamento e di vastissima contaminazione delle risorse naturali con le seguenti sostanze chimiche:

▪ Arsenico, rame, mercurio, cadmio, vanadio, zinco, nichel;
▪ Idrocarburi C<12 e C>12;
▪ BTEX (benzene, toluene e xilene);
▪ Idrocarburi Policiclici Aromatici;
▪ Composti organo-alogenati;
▪ PM10;
▪ il danno sanitario patito dagli esponenti ovvero dai prossimi congiunti deceduti degli stessi, tutti residenti in aree prossime al Petrolchimico di Brindisi, sia, con alto grado di probabilità, conseguenza diretta dell’esposizione cronica a Idrocarburi, BTEX, Idrocarburi Policiclici Aromatici, Composti organo-alogenati e P.M.10, di cui sono gravemente inquinate le risorse naturali (aria, suolo, sottosuolo ed acqua) di vastissima parte del territorio di Brindisi.
Oltre alle evidenti responsabilità dei due gruppi industriali ENI ed EDISON, era stata ipotizzata una responsabilità concorrente delle Pubbliche amministrazioni e degli enti locali che, pur essendo titolari di posizioni e prerogative di sicurezza e controllo a tutela dell’ambiente e della salute, non hanno evitato gli eventi denunciati.

Infatti è facilmente rilevabile che:

1) sebbene già nel 1990 il territorio di Brindisi venisse dichiarato “Area ad elevato rischio di crisi ambientale” e nel 1998 venisse approvato il D.P.R. “Approvazione del piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Brindisi”, non solo si sono tollerate le condotte inquinanti in precedenza denunciate, non solo alcun serio e sistematico intervento di risanamento è stato posto in essere, ma neppure sono state incrementate e migliorate le attività di vigilanza, controllo e monitoraggio a tutela dell’ambiente e della salute pubblica, tutt’altro, il monitoraggio ad esempio della qualità dell’aria è ancora effettuato con la rete inadeguata di centraline già di proprietà di ENEL;
2) a distanza di 14 anni dalla perimetrazione del SIN di Brindisi, ancora non sono state completate le attività di caratterizzazione, che consentirebbero di avere una visione completa della qualità e quantità dell’inquinamento presente nel SIN di Brindisi e dello stato di contaminazione delle risorse naturali;
3) a distanza di 7 anni dalla sottoscrizione dell’”Accordo di Programma per la messa in sicurezza e la bonifica delle aree ricomprese nel SIN di Brindisi”, l’esecuzione dello stesso langue;
4) A distanza di circa 8 anni dalla pubblicazione dei risultati della caratterizzazione dell’area industriale di Brindisi e del primo stralcio della caratterizzazione dell’area agricola, e nonostante l’approvazione della L. R. 24 luglio 2012, n. 21, ancora non è stata redatta per Brindisi la prima valutazione del rischio sanitario.
5) non sono stati mai adottati seri provvedimenti amministrativi inibitori e/o sanzionatori delle attività inquinanti, ad eccezione di quello impositivo del divieto di coltivazione nelle aree adiacenti l’asse attrezzato e la centrale Enel Federico II, poi annullata dal TAR per evidenti negligenze del procedimento amministrativo.
Si concludeva con istanza di punizione dei responsabile dei reati che sarebbero stati ravvisati, anche ai sensi del D.Lgs n.231/2001.

2) NUOVI FATTI E NUOVI ELEMENTI SOPRAVVENUTI.

A. STUDI EPIDEMIOLOGI SULL’AREA DI BRINDISI
Nel corso delle lunghe indagini preliminari che hanno interessato il procedimento sorto a seguito della più volte citata denuncia del 12/6/2014 sono stati pubblicati tre studi epidemiologici sull’area di Brindisi, che corroborano il nesso di causa tra le malattie denunciate e l’esposizione ad inquinanti ambientali di origine industriale (Vd. Allegato.1).

L’analisi del registro turmori 2006-2010

Il 7 aprile 2017 al XXI Congresso Nazionale del’Associazione Italiana dei Registri Tumori (AIRTUM) svoltosi a Catanzaro i ricercatori del Registro Tumori ASL Brindisi e del Centro di Riferimento del Registro Tumori Puglia (Ardizzone A., Bisceglia L.De Lorenzis LE, Epifani S., Lotti F., Pagliara MC, Rashid I., Spagnolo G.) hanno comunicato una analisi dei primi 4 anni del registro tumor (vd. All.2).

I rapporti standardizzati di incidenza calcolati per sede tumorale e sesso mostrano un eccesso significativo di incidenza nell’AERA (Area ad Elevato Rischio di crisi Ambientale: Brindisi, Carovigno, San Pietro V.co, Torchiarolo, ndr) rispetto alla provincia, per mesoteliomi, tumori dello stomaco e tumori maligni della vescica negli uomini; per tumori al polmone, encefalo e SNC (sistema nervoso centrale, ndr) benigni nelle femmine; per tutti i tumori e per i tumori della pelle non melanomi in entrambi i sessi“. “Considerando i singoli comuni dell’AERA – prosegue la comunicazione – si evidenziano eccessi significativi di casi incidenti a San Pietro Vernotico, per i tumori dei reni, maligni della vescica, polmone, per tutti i tumori (escluso pelle, non melanomi) non melanomi ed encefalo ed altro SNC non maligni, nei maschi e a Brindisi per leucemia linfatica cronica nei maschi, e per tumore polmonare, corpo dell’utero, mammella nelle femmine; per tutti i tumori, tumori della pelle, non melnocitico e tumori dell’encefalo e SNC non maligni, in entrambi i sessi. Non si riscontrano eccessi significativi, rispetto al resto della provincia, negli altri comuni dell’AERA.” Lo studio conclude che “dei 4 comuni dell’AERA i comuni di Brindisi e San Pietro Vernotico nostrano un eccesso significativo di incidenza, negli anni 2006-2010, di alcune sedi tumorali rispetto al resto della provincia, non compresa nell’AERA” Il dato indica chiaramente che i tumori registrati dal 2006 al 2010, il primo quadriennio di attività del registro, sono significativamente in eccesso nell’Area a rischio, nel capoluogo e a S.Pietro Vernotico rispetto al resto della provincia.

Studio di coorte sugli effetti delle esposizioni ambientali

Il 4 luglio scorso è stato reso pubblico dalla Regione Puglia lo studio epidemiologico dal titolo “Studio di coorte sugli effetti delle esposizioni ambientali sulla mortalità e morbosità della popolazione residente a Brindisi e nei comuni limitrofi” (Vd. All.3).

Si tratta di uno studio che, rispetto ai numerosi precedenti studi adotta una metodologia idonea a stabilire correlazioni tra le esposizioni ambientali ed eventi sanitari di una popolazione. Lo studio ha ricostruito analiticamente la popolazione (circa 223.934 persone) di 7 Comuni (Brindisi, Carovigno, San Vito, Mesagne, Torchiarolo,San Pietro Vernotico, Cellino) e ne ha seguito il destino in vita ed in salute (effetti cronici) attribuendo a ciascun componente della coorte una esposizione al punto della sua residenza per PM10, SO2, COV stimata con un modello di dispersione alimentato dai dati di emissione tratti dalle fonti disponibili. PM10 e SO2 sono attribuiti alle centrali elettriche, i COV al Petrolchimico. La concentrazione di inquinante presa in considerazione per la mortalità da malattie croniche è quella del 1997, la più alta del periodo studiato, in modo da avere una congrua latenza.

Per i ricoveri sono state assunte le medie annuali.

Per le cause di morte e per incrementi determinati (è stata assunta la differenza tra il 95° e il 5° percentile) si sono rinvenuti incrementi significativi del rischio di morte per tutti i tumori, per i tumori del pancreas e per le malattie dell’apparato respiratorio in tutti e tre gli inquinanti, per BPCO con il PM10 e l’SO2, per gli eventi coronarici acuti con i COV.(Tab3)

Aumento del rischio di morte per alcune cause che non richiedono lunga latenza (cd lag 0) sono state riscontrati per eventi coronarici acuti con tutti i tre gli inquinanti presi in considerazione , per BPCO con il PM10, per malattie dell’apparato respiratorio con i COV (Tab 4).

Le stime effettuate sono al netto di età, genere, luogo di nascita, posizione socio economica. Pertanto rischi stimati sono riferibili esclusivamente alle emissioni industriali considerate.

La tab. 7 mostra le cause di ricovero determinate in maniera statisticamente significativo dal predetto incremento di ciascun inquinante.

Per quanto riguarda l’incidenza tumorale 2006-2010 (tab 9) messa in relazione con il predetto incremento della emissione del 1997, si osservano incrementi significativi di tumori al polmone e di mielomi da SO2, prossimi alla significatività per tutti i tumori in tutti gli inquinanti e per i tumori del tessuto linfoematopoietico da COV (minimo dell’intervallo di confidenza 0.98-0-99).

In sintesi lo studio così riassume i dati presentati:

“Lo studio ha valutato l’effetto cronico delle esposizioni agli inquinanti emessi dalle centrali termoelettriche e dal polo petrolchimico sulla mortalità per causa della popolazione residente nell’area di Brindisi. L’esposizione stimata al 1997 (anno in cui le emissioni industriali sono risultate più alte nel periodo in studio) a PM10 ed SO2 da centrali termoelettriche è risultata associata ad aumenti del rischio della mortalità per tumori maligni, tumore del pancreas, tumore della vescica (uomini) e leucemia (uomini), eventi coronarici acuti e malattie dell’apparato respiratorio, in particolare bronco pneumopatia cronico ostruttiva (BPCO). L’esposizione alle emissioni dal petrolchimico (COV, al 1997) è risultata associata alla mortalità per eventi coronarici acuti e per malattie respiratorie. Con l’esposizione tempo dipendente a SO2 (lag 0), invece di quella fissa stimata al 1997, la relazione tra SO2 e mortalità per eventi coronarici si conferma. Tale associazione non si apprezza più nel periodo più recente.

L’analisi del ricorso alle cure ospedaliere per l’intero periodo di studio e considerando l’esposizione annuale (lag0) ha evidenziato che alle concentrazioni più alte degli inquinanti di origine industriale, sia delle centrali sia del petrolchimico, corrispondono eccessi di ospedalizzazioni per diabete, malattie neurologiche, patologie cardiovascolari e respiratorie. La esposizione ad inquinanti da polo petrolchimico è risultata associata a ricoveri nel primo anno di vita per malformazioni congenite.

L’analisi del ricorso alle cure ospedaliere per malattie cardiovascolari e respiratorie nei tre periodi (2000-2004, 2005-2009, 2010-2013) ha mostrato effetti decisamente più marcati nel primo periodo e la presenza di un effetto residuo anche nell’ultimo periodo di osservazione, che potrebbe essere ascrivibile ad un ruolo della pregressa maggiore esposizione.

In questo studio, tutte le associazioni sono state stimate tenendo conto delle caratteristiche individuali, del livello socio-economico e dell’esposizione occupazionale dei residenti. Tuttavia, occorre osservare che le esposizioni agli inquinanti provenienti dagli impianti energetici e dal petrochimico sono moderatamente correlate tra di loro e quindi non è possibile attribuire gli effetti in maniera univoca ad un particolare impianto rispetto ad un altro.

L’analisi della mortalità per posizione socioeconomica dei residenti ha evidenziato un eccesso di rischio per malattie cardiorespiratorie tra i residenti in aree economicamente più svantaggiate (SEP basso e medio basso) rispetto ai residenti in aree con SEP elevato (al netto dell’effetto della concomitante esposizione ambientale ed occupazionale).

Alcune delle associazioni riscontrate trovano un solido conforto dalla letteratura scientifica in quanto gli inquinanti ambientali di origine industriale presenti nell’area (centrali termoelettriche e petrolchimico) sono già stati studiati in diversi contesti in ambito nazionale ed internazionale. I risultati relativi all’eccesso di mortalità cardiovascolare (eventi coronarici), specie quando si considera una latenza breve tra esposizione ed esito, così come quelli per malattie respiratorie, sono da ritenersi ben documentati dalla letteratura scientifica che ha considerato gli effetti dell’inquinamento atmosferico; le associazioni riscontrate pertanto in questo studio relativamente a queste patologie possono ritenersi molto robuste ed indicare una relazione di natura causale.

L’associazione tra la esposizione agli indicatori degli impianti termoelettrici e la morbosità per patologie cardiovascolari e dell’apparato respiratorio si manifesta non solo quando si considera il quadro espositivo del 1997, ovvero il quadro espositivo annuale durante il periodo di osservazione, ma anche, pur se in misura più contenuta, quando si considera l’esposizione recente durante il periodo 2010-2013, sicuramente ridotta rispetto alle esposizioni del passato. Si tratta di un dato di sicuro interesse che può essere interpretato, dato il valore più contenuto delle esposizioni recenti, come un effetto residuo delle esposizioni del passato a cui la popolazione locale è stata esposta.

Studio di coorte residenziale dell’area di Brindisi

I risultati relativi alla mortalità per tumore, dove le esposizioni rilevanti sono quelle del passato (a causa dei lunghi tempi di latenza tra esposizione e malattia), sono suggestivi di un ruolo causale delle emissioni industriali, specie per l’incidenza di tumore polmonare; per il tumore della vescica e per la leucemia diversi studi hanno riconosciuto un ruolo dei fattori ambientali ed occupazionali. Meno chiari sono i risultati per il tumore del pancreas.

A completare il quadro epidemiologico, sono i risultati relativi alle malformazioni congenite in rapporto con le emissioni del petrolchimico. Per quanto l’associazione non sia più presente osservando il periodo più recente in studio, tali risultati suggeriscono un esame più approfondito della salute riproduttiva in rapporto con le emissioni industriali nel territorio.

Nel rapporto completo sono disponibili tutte le informazioni sulla metodologia impiegata per la ricostruzione storica delle emissioni dei singoli impianti (Appendice 6,7,8). E’ stata inoltre preparata un’appendice al rapporto che presenta i risultati del confronto della mortalità per causa dei residenti nei diversi quartieri brindisini con quelli degli altri comuni del comprensorio (Appendice 4).

In sintesi, il lavoro di ricostruzione retrospettiva delle emissioni ha consentito di disporre di informazioni sulla esposizione della popolazione residente sin dagli inizi degli anni ’90 ed è stato evidenziato un importante impatto sulla salute delle passate emissioni industriali. Si è inoltre riscontrata una criticità relativa all’impatto del polo energetico sulla morbosità cardiovascolare e respiratoria negli ultimi anni che – alla luce della riduzione delle concentrazione degli inquinanti studiati – potrebbe essere interpretata come una conseguenza di esposizioni pregresse.

Tale criticità suggerisce l’opportunità di proseguire l’osservazione epidemiologica, garantendo contestualmente l’attuazione di tutte le misure preventive atte a tutelare la salute della popolazione residente in questo territorio, compresa l’adozione delle migliori tecniche disponibili per il contenimento delle emissioni industriali.”

Si rileva che lo studio, per le sue caratteristiche costitutive, rappresenta uno strumento aperto non solo ad aggiornamenti temporali ma soprattutto ad indagini ulteriori e a segmentazioni della popolazione a seconda delle esigenze conoscitive, poiché ogni membro della coorte è precisamente individuato secondo diverse caratteristiche (età, genere, lavoro, condizione socio economica, residenza).

Trovano, inoltre, conferma nello studio in esame le ipotesi etiologiche formulate nel primo esposto rispetto ai casi tumori del tessuto emolinfopoietico presentati nel giugno 2014 per i seguenti rilievi. Nella tabella 27 all’allegato 4 per i tumori del tessuto emolinfopoietico nel quartiere Perrino-Bozzano nelle donne e a Tuturano negli uomini e al Centro negli uomini il tasso di mortalità rasenta la significatività. La significatività assunta dagli studiosi è al 95%, mentre per ragioni di sanità pubblica si è soliti adottare, come avvenuto per esempio nell’importante studio SENTIERI, intervalli di confidenza al 90%. Il valore inferiore dell’intervallo poco dal di sotto dell’unità (per la significatività statistica si richiede che sia uguale o superiore ad uno), cioè da 0,95 in su, rappresentano una indicazione di importante correlazione tra malattia e la causa ipotizzata. A ben vedere si tratta dei quartieri in cui risiedono tutti gli esponenti, cioè quelli che fanno “corona” all’area industriale chimica. Poiché la stima dei tassi per quartiere tiene conto delle diversità di età tra quartieri, le differenze e quindi l’eccesso è imputabile alla localizzazione geografica del quartiere e quindi alla vicinanza all’area industriale. Riteniamo che una più analitica disamina dei dati dello studio, da parte degli stessi autori, possa fornire dati più precisi. Sarebbe per esempio utile richiedere ai ricercatori quali siano i valori di esposizione a COV a cui sono stati esposti gli esponenti e tutti i casi di malattie simili alle loro presenti nella coorte e nei quartieri in considerazione. Così come richiedere l’andamento delle Gestazioni abortive, stranamente mancanti nonostante sia stata condotta l’analisi sulle malformazioni congenite.

Una conferma della relazione tra gli inquinanti studiati ed i tumori del sistema emolinfopoietico emerge dalla tabella 9 che studia la relazione delle emissioni con l’incidenza del registro tumori. Il raggruppamento dei tumori del sistema emolinfopoietico presenta un eccesso che rasenta la significatività (limite inferiore dell’intervallo di confidenza 0,97 per il PM10, 0,98 per i COV).

Gli studi pubblicati sull’area di Brindisi dopo il 2014 conferma la relazione tra emissioni industriali e patologie neoplastiche. In particolare lo studio epidemiologico della Regione Puglia, per la potenzia del metodo adottato (studio di coorte) conferma l’associazione tra le esposizioni più elevate e tutte le neoplasie. Per quelle qui specificamente trattate, limpoemoproliferative, l’associazione è prossima alla significatività e per singole tipologie (leucemie, mielomi) statisticamente significative.

La coorte ricostruita dagli autori dell’ultimo studio è uno strumento prezioso per ulteriori indagini e per aggiornamenti.

B. GLI ARRESTI GIURISPRUDENZIALI
Nel corpo della denuncia del 2014 erano stati portati all’attenzione di codesto Ufficio della Procura alte vicende processuali a carico di Società del Gruppo ENI e del Gruppo Edison per fatti—reato identici a quelli allora denunciati.

Da tali vicende processuali era possibile inferire che la pratica di smaltimento illecito dei rifiuti tossico-nocivi prodotti dagli impianti industriali situati all’interno dell’area del Petrochimico di Brindisi, così come iter di combustione con conseguente immissione costante di gas non controllati in atmosfera, nonché la mancata adozione delle migliori tecnologie e delle cautele, tese ad impedire la dispersione di detti gas, fosse una condotta consapevolmente voluta e messa in atto dal Management delle due Società.

In particolare potevano ritenersi indicativi le seguenti vicende processuali:

Porto Marghera: Polo petrolchimico. Nel 1996 la procura di Venezia chiede il rinvio a giudizio per 28 tra dirigenti e ex dirigenti di Montedison ed Enichem. L’accusa è di strage, omicidio, lesioni colpose multiple oltre a disastro colposo per inquinamento ambientale. Già a partire dagli anni ’70 immettevano nell’atmosfera tonnellate di fumi tossici e riversavano sul territorio e in mare tonnellate di sostanze cancerogene che provocarono migliaia di morti per tumore alle vie respiratorie, alla pelle e ossa. Nel 1998, lo Stato si costituisce parte civile chiedendo un risarcimento di 71 mila miliardi di lire. Montedison verserà la cifra di 550 miliardi come contributo per opere di bonifica del territorio. Enichem, invece, risarcirà la vittime con 70 miliardi di euro ma in cambio chiese il loro ritiro dal processo. Nel processo d’appello del 2004, vengono condannati 5 ex dirigenti Montedison.

Bussi sul Tirino (PE): qui il Procedimento Penale a carico di 19 tra ex amministratori e vertici della Montedison imputati di avvelenamento delle acque e disastro ambientale doloso. Il sito industriale chimico di Bussi ha sversato una tonnellata al giorno di veleni, residui della produzione, nel fiume Tirino. Sin dal 1972 i vertici della Montedison erano stati investiti della necessità di rimuovere i rifiuti tossici interrati nel sito perché costituivano un pericolo di inquinamento concreto per le falde acquifere dell’acquedotto Giardino che forniva l’acqua potabile a tutta la Val Pescara. Si è accertato che la Direzione Montedison era a conoscenza della circostanza che l’acidità delle scorie avrebbe potuto sciogliere i cassoni di cemento utilizzati per seppellire i rifiuti industriali nella discarica Tremonti. La discarica Tremonti di Bussi sul Tirino (Pescara), sequestrata nel marzo del 2007, è arrivata a saturazione nel 1983, mentre nel 1974 era al 75% della capienza. A fine anni ’70 Montedison inseriva le scorie acide in cassoni di cemento che poi venivano portati con dei camion nella discarica Tremonti del sito di Bussi, per essere seppelliti.

Mantova: L’imputazione formulata dall’Ufficio Procedente della Procura era di omicidio colposo, lesioni gravissime colpose e omissione dolosa di cautele sugli infortuni, in relazione alla morte di 72 dipendenti, deceduti per esposizione a sostanze tossiche e cancerogene: amianto, benzene, stirene, butadiene (e non solo) che hanno causato tumori della pleura (mesotelioma), carcinoma dei polmoni, tumori del tessuto emolinfopoietico.

Per Mantova e Bussi Sul Tirino sono già intervenute le sentenze di condanna confermate anche in appello, ad eccezione di quelle posizioni per le quali era maturata nelle more la prescrizione.

• Sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Brescia in data 6 Febbraio 2016 – motivazione depositata in data 29 aprile 2016 – in parziale riforma della sentenza n.1214/14 R.Sent. Trib. di Mantova del 14 Ottobre 2014 (Vd. All. 3 e 4).

Il Tribunale di Mantova aveva condannato dieci ex dirigenti della Montedison per il delitto di omicidio colposo plurimo in relazione alla morte di undici ex operai di uno stabilimento petrolchimico sito sulle rive del fiume Mincio, gestito, fino alla fine degli anni ottanta, da società del gruppo Montedison.

La decisione del Giudice mantovano ha confermato l’imponente impianto accusatorio che era stato costruito dall’Ufficio del Pubblico ministero procedente: agli imputati si contestava, infatti, la morte e la lesione di oltre settanta ex dipendenti dello stabilimento, per diverse patologie tumorali, che nell’ottica accusatoria sarebbero insorte a seguito della pluriennale esposizione dei lavoratori a svariate sostanze cancerogene, lavorate o comunque presenti nell’ambiente di lavoro, in assenze delle doverose cautele antinfortunistiche.

L’accusa mossa agli imputati era di aver cagionato la morte o la lesione di settantaquattro lavoratori dello stabilimento mantovano, “mediante tutta una serie di condotte, violative della normativa antinfortunistica all’epoca vigente […] che avrebbero causato l’esposizione elevata e prolungata dei lavoratori suddetti a sostanze cancerogene e pericolose per la salute dell’uomo”, come il benzene, lo stirene, l’acrilonitrile, il dicloroetano e l’amianto.

L’esposizione a benzene avrebbe provocato, tra gli ex dipendenti dello stabilimento, decessi per tumore al sistema emolinfopoietico; l’esposizione a stirene, dicloroetano e acrilonitrile sarebbe stata la causa di dieci decessi per tumore al pancreas; mentre l’esposizione ad amianto avrebbe determinato dieci decessi per mesotelioma, trentasette decessi per carcinoma polmonare e un caso di placche pleuriche.

Per quanto riguarda i decessi provocati da leucemia mieloide acuta, il Tribunale ha ritenuto che questi eventi potessero essere eziologicamente addebitati alle esposizioni a benzene sofferte dalle persone offese presso il petrolchimico di Mantova; in dibattimento, infatti, si era formata la prova che le persone offese avevano inalato benzene in quantità superiori alla dose che la scienza reputa idonea a provocare questo particolare tumore del sistema emolinfopoietico, e tanto è bastato a ritenere dimostrato il nesso causale.
Per il Giudice Mantovano il dibattimento aveva dimostrato che la cancerogenicità del benzene era nota almeno dalla fine degli anni settanta, e che, ciò nonostante, nulla si fece in quel periodo presso lo stabilimento ex Montedison per contenere l’esposizione dei dipendenti entro soglie inoffensive per la salute.
Sulla scorta di tali considerazioni, il Tribunale ha condannato sei imputati per il delitto di omicidio colposo in relazione alla morte di un dipendente deceduto per leucemia mieloide acuta.
La prima verifica compiuta dal Tribunale di Mantova ha avuto al oggetto l’effettiva correlazione causale tra esposizione e decessi; il ragionamento del giudice seguiva le cadenze tipiche del c.d. schema bifasico, tracciato a suo tempo dalle Sezioni Unite Franzese, schema che, com’è noto, subordina l’accertamento del nesso eziologico alla duplice dimostrazione che la condotta dell’imputato rientri nel novero degli antecedenti che, secondo una legge scientifica di copertura, sono in grado di provocare eventi del tipo di quello verificatosi nel caso concreto (c.d. causalità generale), e che l’evento concreto non sia addebitabile a decorsi causali alternativi rispetto a quello ipotizzato dall’accusa (c.d. causalità individuale).

Il Tribunale, più nel dettaglio, chiariva che, nel caso di specie “dapprima dovrà verificarsi se nella comunità scientifica, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, sia radicata una legge scientifica di copertura che consenta di ricollegare eziologicamente l’esposizione alle sostanze benzene, stirene, acrilonitrile, dicloroetano e amianto e l’insorgenza delle diverse patologie indicate nell’imputazione”; nei casi in cui tale legge possa dirsi esistente, “dovrà specificarsi se si tratti di una legge di copertura universale o solo statistica”, vale a dire se si tratti di una legge in base alla quale è possibile affermare che l’esposizione a una sostanza produce sempre e senza eccezioni un determinato effetto, ovvero di una legge che riconosce alla sostanza la capacità di produrre quel determinato effetto solo in un certo numero di casi; infine, “nell’ipotesi di legge di copertura solo statistica, dovrà verificarsi se essa abbia spiegato i propri effetti nel caso concreto, una volta esclusi i decorsi causali alternativi” (pp. 448-449).

Sulla scorta di questa premessa metodologica, l’attenzione del Tribunale si appuntava dapprima sugli esiti dell’istruttoria dibattimentale in tema di causalità generale; un tema che qui, come in tanti altri processi analoghi, ha visto l’epidemiologia giocare un ruolo assolutamente decisivo, sia perché “il Pubblico Ministero ha disposto un apposito studio epidemiologico di mortalità sui componenti della coorte del petrolchimico di Mantova”, sia perché “tutti i consulenti tecnici medici ed epidemiologi esaminati in dibattimento hanno richiamato studi scientifici (che hanno confermato o escluso o definito come ‘possibile’ o ‘probabile’ un’associazione tra sostanze e patologie) che a loro volta si fondano su rilevazioni epidemiologiche” (p. 450).

A proposito dello studio epidemiologico condotto dai consulenti dell’accusa, la sentenza spiega che si è trattato di uno studio di coorte sui dipendenti dello stabilimento mantovano nel periodo 1957-1991, vale a dire uno studio che si è occupato di confrontare il tasso di mortalità, sia generale sia con riferimento a determinate patologie, all’interno della popolazione degli ex lavoratori dello stabilimento con il tasso di mortalità nella popolazione di riferimento, nel caso di specie individuata nella popolazione della regione Emilia Romagna.
Gli stessi consulenti, rileva ancora la sentenza, hanno poi effettuato un ulteriore approfondimento di indagine, realizzando uno studio caso-controllo interno alla coorte dei lavoratori – ossia uno studio volto a mettere a confronto soggetti che presentano una determinata patologia (i casi) con un gruppo di soggetti (i controlli) che non ne sono affetti -, dedicato specificatamente ai casi di neoplasia del sistema emolinfopoietico e di neoplasia al pancreas, al fine di verificare se l’insorgenza di tali patologie potesse effettivamente ritenersi correlata all’esposizione professionale a benzene, stirene, acrilonitrile e dicloroetano.
Per ciò che concerne la leucemia mieloide, stando a quanto emerso in dibattimento, è pacificamente riconducibile all’esposizione a benzene che, secondo il tribunale, al fine di provocare l’insorgenza della patologia, come nel caso analizzato, deve comportare l’esposizione a una dose cumulativa di benzene pari a circa 15 ppm-anni.

La sentenza afferma, infine, che tutte le esposizioni sofferte dalla persona offesa presso il petrolchimico Montedison (protrattesi tra il 1974 e il 1983) sono da considerarsi causalmente rilevanti per l’insorgenza della patologia, ciò “in quanto esse hanno concorso tutte al raggiungimento della dose cumulativa necessaria a scatenare la malattia” (p. 574).

Per quanto attiene le altre patologie neoplasiche dell’apparato linfoematopoietico è stato dato atto in sentenza che la IARC, in una recente pubblicazione dedicata proprio al benzene, aveva segnalato l’esistenza di studi scientifici che hanno “osservato un’associazione tra l’esposizione a benzene e la leucemia linfocitica acuta, la leucemia linfatica cronica, il mieloma multiplo, e il linfoma non Hodgkin”.

A questo punto, l’attenzione del Giudice si era rivolta all’elemento psicologico del reato, per verificare se la morte per leucemia mielosa acuta fosse un evento prevedibile nel periodo in cui si sono verificate le condotte ascritte agli imputati (vale a dire le esposizioni a benzene verificatesi nei dieci anni di impiego del lavoratore), e se gli imputati abbiano mancato di adottare cautele disponibili e doverose all’epoca delle esposizioni, che, se adottate, avrebbero impedito il verificarsi dell’evento.

Il dibattimento aveva dimostrato, al di là di ogni dubbio, che “lo stato delle conoscenze in merito alla pericolosità e alla cancerogenicità del benzene, già alla fine degli anni sessanta, era a un punto tale da consentire agli imputati di prevedere le conseguenze sulla salute dell’uomo di un’esposizione prolungata a benzene” (pp. 575-576).

Può ritenersi dimostrata la concreta prevedibilità della morte della persona offesa da leucemia mielosa acuta, quale conseguenza della sua esposizione prolungata a benzene negli anni in cui essa ha lavorato presso lo stabilimento mantovano gestito dalla Montedison.
Del pari, il Tribunale riteneva provata anche la mancata adozione da parte degli imputati di tutta una serie di migliorie impiantistiche (pompe con doppia tenuta flussata, sistemi di prelievo del prodotto a circuito chiuso o sotto cappa, sistemi di canalizzazione dei drenaggi delle acque contaminate da sostanze organiche) e di cautele antinfortunistiche (per es. maschere respiratorie dotate di filtri), disponibili negli anni oggetto di contestazione, che, se adottate o fornite ai dipendenti, avrebbero potuto abbattere sensibilmente il livello dell’esposizione a benzene dei lavoratori, contenendola entro soglie inoffensive per la salute dell’uomo.

La Corte d’Appello di Brescia con la sentenza citata del 5 febbraio 2016ha sostanzialmente confermato, seppur in parziale riforma, le condanne dei dieci dirigenti della Montedison per il delitto di omicidio colposo plurimo in relazione alla morte di undici operai dello stabilimento petrolchimico di Mantova.

• Sentenza della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila del 17 Febbraio 2017.

La Corte di Appello aquilana ha condannato a pene tra i due e i tre anni di reclusione per avvelenamento delle acque e disastro ambientale aggravato 19 persone, in gran parte ex manager della Montedison.

La sentenza d’Appello accoglie la tesi della Procura Generale della Repubblica, affermando che, in relazione all’avvelenamento, esso è un reato che può ben integrarsi laddove siano, come nel caso di specie, le acque sotterranee di falda ad essere contaminate da agenti inquinanti nocivi per la salute.
Tale conclusione costituisce, “una rilevante affermazione di tutela di una matrice ambientale fondamentale quale l’acqua”.
La Corte d’Assise d’Appello ha poi escluso la possibilità che della mega discarica TreMonti, come avevano invece affermato i giudici di primo grado, dopo il 1972 si fosse persa la memoria.
La Corte ha ancora argomentato la sussistenza dell’ elemento psicologico della colpa cosciente per il disastro (dunque colposo, aggravato), “una condizione psicologica per gli imputati riconosciuti colpevoli di poco al di sotto del dolo eventuale”.
Ha evidenziato come nel corso degli anni, “nonostante i ripetuti allarmi sulla situazione ambientale, i vertici dell’azienda non abbiano adottato adeguate misure invece doverose”.
Le prime veramente adeguate furono infatti eseguite solo da Solvay a partire dal 2002.

Gli arresti giurisprudenziali sopra citati, aventi ad oggetto realtà analoghe a quella brindisina, costituiscono precedenti di sicuro rilievo giuridico anche per giungere ad un’affermazione di responsabilità penale anche in relazione ai fatti – reato denunciati con l’esposto del 12 Giugno 2014.
In considerazione di quanto sopra esposto i sottoscritti MASIELLO GIORGIA, MEDICO ANNUNZIATA, DE LEONARDIS PATRIZIA, in proprio e quale coniuge di MORLEO ANTONIO, GAUDINO VINCENZO, in proprio e quale genitore di GAUDINO IDA, CAIULO FRANCESCO, in proprio e quale genitore esercente la tutela di CAIULO ANTONIO e BRIGANTE GIOVANNI

CHIEDONO

che l’Ill.ma S.V. voglia allegare al fascicolo delle Indagini Preliminari la documentazione che si produce in un al presente atto.

Inoltre
RIVOLGONO ISTANZA

affichè l’Ill.ma S.V. voglia disporre una consulenza tecnica epidemiologica di coorte nei quartieri limitrofi al Sito di Interesse Nazionale di Brindisi– anche sulla base dello “Studio di coorte sugli effetti delle esposizioni ambientali sulla mortalità e morbosità della popolazione residente a Brindisi e nei comuni limitrofi” presentato in data 4 Luglio 2017 – che accerti:

1) se nella comunità scientifica, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, sia radicata una legge scientifica di copertura che consenta di ricollegare eziologicamente l’esposizione alle sostanze benzene, benzene, Idrocarburi Policiclici Aromatici ed Idrocarburi leggeri e pesanti e patologie tumorali a carico dell’apparato linfoematopoietico, mettendo, altresì, a confronto, nella coorte così come sopra delimitata, i soggetti che presentano una patologia del sistema linfoematopoietico e un gruppo di soggetti che non ne sono affetti, al fine di verificare se l’insorgenza di tali patologie possa ritenersi correlata all’esposizione cronica alle sostanze benzene, benzene, Idrocarburi Policiclici Aromatici ed Idrocarburi leggeri e pesanti.

2) sei i casi segnalati nell’esposto e gli altri dello stesso tipo nosologico riportati nello studio citato, siano tra i pù esposti agli inquinanti cancerogeni efficienti sul sistema eolinfopoietico emessi dal Petrolchimico di Brindisi;

3) se l’esposizione sofferte dagli esponenti rientri nel range di esposizioni ritenute potenzialmente lesive.

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