August 3, 2025

Il phase-out dal carbone slitterebbe ufficialmente al 2038. Lo stabilisce il disegno di legge S. 1561, già approvato dal Senato e ora all’esame della Camera (A.C. 2527), che impegna il Governo – su proposta sostenuta anche dal deputato brindisino Mauro D’Attis – a rinviare la chiusura delle centrali, legandola all’avvio di nuovi impianti nucleari di ultima generazione.

L’obiettivo dichiarato è quello di garantire energia a prezzi competitivi per le imprese. Come spiegato da Carlo Calenda al Sole 24 Ore del 1° agosto, il piano prevede il riavvio delle centrali di Brindisi e Civitavecchia, considerate “a minori emissioni”, l’utilizzo dei proventi delle aste Ets per compensare i costi delle emissioni e la vendita dell’energia prodotta a prezzi calmierati attraverso contratti PPA alle imprese energivore.

Ma per Brindisi questa decisione rischia di rivelarsi tutt’altro che una mera scelta tecnica: è una ferita che si riapre. La centrale di Cerano ha già lasciato in eredità decenni di inquinamento, un territorio compromesso e un numero significativo di malattie legate alla qualità dell’aria.

Negli ultimi anni la città aveva riposto grandi aspettative nel processo di decarbonizzazione, avviato con il tavolo ministeriale che avrebbe dovuto attrarre investimenti in energie rinnovabili, cantieristica navale e nuovi comparti produttivi. Il rinvio della chiusura delle centrali, però, rischia di bloccare questo percorso e di condannare il territorio a un nuovo ciclo di dipendenza dal carbone.

Il ddl S. 1561 introduce anche una seconda incognita: il futuro energetico viene agganciato al nucleare. Solo quando i nuovi impianti saranno operativi – una prospettiva che richiederà anni di autorizzazioni e progettazione – si potrà avviare davvero il phase-out dal carbone. Nel frattempo, Brindisi rischia di diventare il prezzo di garanzia per la transizione mancata.

In questo scenario, gli enti locali e le organizzazioni datoriali, a partire da Confindustria, non possono restare spettatori. Hanno il dovere di far sentire il proprio peso, pretendendo dal Governo un cronoprogramma certo e il rispetto degli impegni assunti. Non si può permettere che il tavolo della decarbonizzazione e le manifestazioni di interesse per nuovi investimenti muoiano senza alcun riscontro concreto.

Il Governo dovrà ora modificare il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), ma resta aperta una domanda fondamentale: che ne sarà delle risorse promesse per la riconversione industriale e ambientale di Brindisi? E soprattutto, chi pagherà il prezzo di altri tredici anni di carbone, mentre la città attende un futuro che sembra sempre più lontano?

Brindisi ha già dato molto. Ora pretende che le promesse di una transizione equa e sostenibile, insieme alla salvaguardia dell’attuale forza lavoro, non vengano ancora una volta bruciate, insieme al carbone di Cerano.

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