May 4, 2025

foto-ess-portadaSi è sempre discusso di quanto istituzioni e mercato possano contribuire al benessere comune.

Se la visione neoclassica del mercato che assicura l’allocazione perfetta delle risorse sia ancora valida o se è necessario, come diceva Keynes, che lo Stato finanzi in deficit la spesa pubblica.

Forse, però, si tratta di due assunti inghiottiti dal tempo, sfumati nei profili di un sistema sempre più simile a un grande set pubblicitario, nel quale gli homines economici si comportano in modo egoistico almeno quanto le imprese a caccia di profitti, e quasi mai le istituzioni sono in grado di correggere gli errori prodotti dalla somma di questi egoismi.

 

 

new-economyL’argomento interessa teorie di economisti, tra i quali Leonardo Becchetti, economista civile, docente di economia politica a Tor Vergata, tra i promotori di un nuovo modello economico, dettato dal mondo e dal tempo contemporaneo. Il mercato da solo non basta, così come lo Stato da solo non basta.

L’economia funziona se c’è la linfa del capitale sociale, cioè la capacità dei cittadini di avere buone relazioni, cooperazione, reciprocità.

L’economista immagina per questo un modello a quattro mani, nel quale alle azioni del mercato (la “mano invisibile” che trasforma gli appetiti al profitto in concorrenza) e delle istituzioni (chiamate ad aggiustare le insufficienze del mercato), si affiancano quelle dei cittadini e delle imprese che perseguono scelte responsabili. La terza via è necessariamente etica.

Per convinzione più che per sottrazione.

Il mercato non assicura la felicità, né le pubbliche amministrazioni riescono a fare da generatori di equità («Government Failure vs. Market Failure»).

Insomma, né imprese né istituzioni producono capitale sociale, molte volte lo distruggono.

 

Businessman in dilemma choosing between right and wrong path. Metaphor vector illustration for business ethics in cartoon style.

Il cittadino, sottolinea l’economista, non vota soltanto nelle urne ma vota col portafoglio, nel momento in cui sceglie un prodotto piuttosto che un altro.

Oggi ha un ruolo fondamentale per spingere tutto il sistema fuori dalla crisi, insomma c’è bisogno di “quattro mani” per seminare benessere, scardinare sedimenti d’interesse, e consegnare il “belvivere” alle future generazioni.

Le altre due (oltre al mercato e alle istituzioni) sono quelle dei cittadini attivi (la società civile che vota col portafoglio compie un atto di autointeresse lungimirante e contagioso) e delle imprese responsabili (tra i tanti, gli esempi di «Loccioni», «Asdomar», imprese profit-responsabili, cooperative, banche etiche, microcredito, fondi etici di investimento).

 

Al famoso esempio di Keynes che parlava delle buche da riempire come lavori pubblici per superare la crisi del ’29, l’economia civile contrappone le iniziative di impegno civico di cittadinanza attiva che non sono semplicemente dei riempitivi per ignavi, ma un modo di partecipare per promuovere benessere e dignità di tutti (privilegiando le imprese che rispettano l’ambiente, assicurano “buon lavoro” e pagano le tasse).
C’è un modo responsabile di produrre e c’è un modo consapevole di acquistare, e accanto al Pil, discutibile aggregato di numeri quantificanti, occorre parlare sempre più in termini di Bes (Benessere equo e sostenibile), un «indicatore di sviluppo multidimensionale» che supera la dittatura della misura unica del Pil provando a valutare le tante dimensioni che incidono sulla “qualità della vita” (la ricchezza intesa nei beni culturali, spirituali, economici, relazionali di un territorio).

 

«Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza – disse Bob Kennedy in un discorso pubblico, tre mesi prima che fosse assassinato -. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».

 

Economia civileAdottare un approccio di valutazione multidimensionale vuol dire passare dall’età della pietra a quella del ferro. Interessante, da questo punto di vista, è il percorso che si sta svolgendo in Parlamento, grazie a una proposta che chiede da più parti di valutare le nuove iniziative di legge usando gli indicatori del Bes.
C’è sempre più bisogno di fare «wikieconomia», fondata sul lavoro in rete, se è vero che l’economia tradizionale non è più in grado di rispondere ai grandi problemi del nostro tempo. Le traiettorie del profitto e dell’individualismo economico (l’uomo-monade la cui felicità dipende solo dalla crescita dei propri guadagni monetari) sono fuori del tempo. L’etica deve permeare ogni scelta del cittadino, dallo scaffale del supermercato al chiuso dell’urna elettorale.

Occorre camminare sulla linea d’orizzonte come fa l’equilibrista sulla corda a imprecisati metri d’altezza, metterci visionarietà e responsabilità in tutte le scelte, non ultima in quella dei nostri rappresentanti in politica, cui si arriva solo attraverso una coscienza centrifugata. È necessario diffondere l’«enzima multistakeholder», cioè la capacità (oltre che la volontà) di aggregare tutti i portatori di interesse (consumatori, investitori, risparmiatori, produttori, cittadini) interessati al bene comune e di rendere economicamente conveniente la responsabilità sociale.
La «wikieconomia» può diventare la più grande opera del futuro. Il potere è più che mai nelle mani del consumatore: votando col portafoglio e col mouse per le aziende che creano valore economico in modo sostenibile è possibile spostare quote di mercato, premiando (e orientando) dal basso il modello di impresa più socialmente e ambientalmente responsabile. Il voto con il portafoglio è paradossalmente più efficace del voto politico.

Recentemente, «Oxfam Italia» ha promosso sul proprio sito uno «slot mob» che permette ai consumatori, attraverso la pagella «Scopri il marchio», di valutare le politiche agricole delle dieci maggiori aziende alimentari.

Perché nessuna impresa è così grande da poter prescindere dai propri consumatori. O il movimento «slot mob» organizzato a Biella per bandire slot, videolotteries e videopoker nei locali.

Come? Semplicemente andando a fare colazione, dunque esprimendo il consenso attraverso il voto con il portafoglio.
La soluzione è a portata di mano ma non ancora mainstream.

«Mosè convinse gli ebrei ad uscire dall’Egitto – conclude Leonardo Becchetti – nonostante questi ultimi sapessero che rischiavano la vita e la rappresaglia del faraone. A noi serve molto meno perché spostare le nostre scelte è tutt’altro che difficile in una società liberale. Il vero faraone siamo noi ovvero l’incapacità di metterci in moto verso la soluzione per mancanza di consapevolezza e di coordinamento».
La sfida della «wikieconomia» sta dunque nel costruire questa consapevolezza e contagiarla con portatori virali, fino a creare un bene comune collaborativo che è alla base della nuova economia civile.

Non si tratta di una tappa per solitari al comando, ma di un’impresa nella quale siamo tutti protagonisti.

 

 

Roberto Romeo

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