July 16, 2025

La riforma della Costituzione non è nei pensieri degli italiani. E quando lo è, nei sondaggi essa continua a non superare il 6% delle loro priorità.

 
Se l’esposizione astensionista del Presidente del Consiglio sul recentissimo referendum abrogativo, volgarmente detto “delle trivelle”, era guidata dalla consapevolezza che solo il non raggiungimento del quorum avrebbe potuto evitare una sconfitta certa, il Referendum confermativo sulla riforma costituzionale, che non prevede quorum, richiede un’altissima non facile partecipazione, ci dicono sempre gli analisti del voto, affinché possano prevalere i SI’ ad essa.

 

Già, non è facile passare dal pretenzioso twit di CIAONE a un CIAOSI più ammiccante e piacevole.

 

Del resto, l’obiettiva personalizzazione del Referendum sulla Costituzione legato, com’è stato finora, al proseguimento o meno della carriera politica del giovane Matteo, benché coerente con la ratio e la sua foga riformatrice, ha finora facilitato a cementificare il blocco sociale del NO al premier in quanto tale, a prescindere da qualunque discussione sul merito e sulla necessità della Riforma.

 

V’è da aggiungere che il peggior nemico di una Riforma necessaria nei suoi capisaldi, oltre che questo improvvido errore d’impostazione primigenio, è costituito anche da quella sorta di manicheismo dei “renziani più renziani di Renzi”, che non lo aiutano a spersonalizzare una Riforma fondamentale come quella di una Costituzione – e che Costituzione! come quella italiana- e ne facciano comprendere contenuti reali e reale necessità. A costoro Renzi dovrebbe ogni tanto ricordare che perfino il grande Marx diceva di non essere un marxista, cioè un fanatico di sè (ma, appunto, egli era un grande!).

 

La mediocrità della politica contemporanea ci porta invece a dover fare i conti con quelle contrapposte faziosità di riduzione del pensiero critico a pensiero unico (o con me o contro di me! O con il capo o contro il capo!) che impediscono l’autonomia intellettuale e trasformano in tifo (in populismi, si direbbe oggi, ovviamente con la comica precisazione che tali sono solo quelli de l’altri!), dagli esiti peraltro incerti, una necessaria e bella discussione di popolo sulla crisi morale e democratica, oltre che economica, della nostra Repubblica, che investe anche alcune parti fondamentali della seconda parte della sua architettura.

 

Di tutto ciò Matteo Renzi se ne è forse finalmente e pubblicamente reso conto, peraltro preceduto dallo stesso Ministro delle Riforme, la quale, già da alcuni giorni prima aveva sapientemente cercato di “cambiare verso” all’impostazione della campagna referendaria.

 

La Riforma si salva se si discute nel merito di essa e se si sottrae ai suoi avversari il regalo di non farlo, su tutti i suoi aspetti, positivi e negativi, allargandone così interesse e partecipazione.

 

Credo che nessuno possa contestare che la riforma del Titolo V° di sinistra memoria si sia rivelata una delle più infelici riforme della Repubblica! Al conflitto paralizzante permanente con lo Stato che essa ha donato alle Regioni, ha corrisposto un’intoccabile autonomia statutaria nell’uso disinvolto del denaro e nella crescita del debito pubblico ed è stata radice del degrado morale che le ha investite.

 
Da questo punto di vista, non è peregrina l’obiezione che il Senato da esse derivato corra il serio rischio di tramutarsi in un rifugium peccatorum, previa concessione, con un compromesso, questo sì al ribasso, dell’immunità parlamentare.
Ancor più e ancor prima delle Province, un già Sindaco e, ancor prima, un già Presidente di Provincia come Renzi, se avesse potuto, avrebbe senz’altro abolito, o aggregato in maxi aree, innanzitutto le Regioni, comprendendo la maggiore importanza della prossimità amministrativa (magari potenziata e riqualificata) delle prime rispetto alla lontananza “legislativa” e governativa (de che?) delle seconde. Occorre andare lontano? Basta vedere il disastro del ciclo dei rifiuti e lo stato comatoso della sanità in Puglia!

 

Ma questo è il più vistoso compromesso -frutto di un contesto parlamentare e di maggioranza dato e ereditato- come male necessario non solo per sottrarre alle Regioni una serie di competenze così pessimamente utilizzate e per velocizzare la produzione legislativa dello Stato, ma anche per salvare il cuore vero della Riforma (il bambino!), costituito dal superamento di quel bicameralismo paritario che tante illustri Commissioni Bicamerali non sono mai riuscite a portare a termine.

 

Su questo punto decisivo, al di là di ogni personalizzazione assunta o attribuita, ha sacrosanta ragione Renzi. Occorre promuovere una larghissima partecipazione e una profonda discussione degli italiani, del popolo. Va fatto un “tagliando popolare” alla nostra Costituzione, per rivivificarne i grandissimi e attualissimi principi. Il dibattito sulla Grande Riforma va cioè disincagliato dalle secche della discussione esclusiva dei ceti politici e intellettuali e, soprattutto, da quell’ ”indifferenza alla politica” nella quale si è isterilita la nostra società, cristallizzata da quel solo 6% di priorità sulla Grande Riforma che alberga nei pensieri degli italiani.

 

In soccorso di questo non agevole processo di mobilitazione – con comitati civici e con sezioni di partito – ci sarà senz’altro quella grande marea sottovalutata di sostenitori disinteressati di Renzi che ai tempi delle “trivelle” non erano d’accordo con lui e che però già facevano le prove generali per il SI’!

 

Giova ricordare che anche negli anni ‘50, dopo il varo della Costituzione, doveva vigere un clima di diffidenza verso la politica se un altro grande come Piero Calamandrei, in uno dei suoi appassionatissimi discorsi sulla Costituzione tenuti nel gennaio del ‘55 durante il ciclo di conferenze organizzato dagli studenti universitari, raccontò un aneddoto che si attaglia benissimo al clima del Referendum popolare d’ottobre.

 

” La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”: quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva per svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: ” Che me ne importa, non è mica mio!”.

 

Ernesto Musio

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