May 4, 2025

Etichetta : Parlophone

Genere: pop rock

Prima o poi doveva succedere, a sedici anni dall’ultimo “13”, ritornano i Blur con la formazione al completo. Nel mezzo, solo il non del tutto riuscito “Think Tank”, dato alle stampe senza il chitarrista Coxon, vero e proprio alter ego artistico del frontman Albarn. “The Magic Whip”, a detta degli stessi autori, è venuto fuori in modo causale, un processo artistico sgorgato spontaneamente durante una breve permanenza del gruppo ad Hong Kong, sorta di vacanza obbligata causata dall’annullamento di alcune date del tour nella terra del sol levante.

Il chitarrista Coxon era già rientrato nella band nel 2009, eppure abbiamo dovuto aspettare il 2015 per poter mettere le mani su un nuovo disco del combo inglese. “The Magic Whip” nasce come curioso “passatempo”, pare che i Blur abbiano iniziato a lavorare sul nuovo materiale attraverso una serie di jam session che ruotavano attorno alle intuizioni personali di Coxon ed Albarn, organizzate come un semplice espediente per ingannare il tempo, per poi approdare ad un’opera corale ed omogenea che assunto le sembianze di un vero e proprio disco.

The Magic Whip” è un disco che suona di Blur e lo si sente da kilometri di distanza. Le canzoni suonano come una “nuova antologia”, di quanto espresso in “Modern Life Is Rubbish”, “Parklife” e “The Great Escape”. I singoli “Lonesome Street” e “Go Out” sono eccelsi inni autoreferenziali giocati su semplici accordi, voci spensierate e distorsioni tipicamente english. Gran parte di quello che oggi viene comunemente definito come “indie”, altro non è che l’attualizzazione del brit-pop anni novanta, aggiornato a spruzzi elettronici ed abbozzi timidamente sperimentali.

Tale analogia, (mal)celata da etichette e classificazioni sempre nuove, introdotte per dare l’idea di una certa fluidità ed evoluzione musicale che giustifichi anche acquisti ed ascolti sempre diversi, diventa lampante quando gruppi storici che suonavano un determinato genere che si crede passato di moda, si ripropongono esattamente con lo stesso stile, che però ha oggi un nome diverso.

Al dizionario musicale dei Blur si aggiungono le due canzoni più albarniane del lotto, “Thought I Was A Spaceman” e “There Are Too Many Of Us”, che risentono fortemente dell’esperienza solista del cantante: pezzi dalla dimensione cantautorale che vengono impreziositi dagli arrangiamenti psichedelici di Coxon, il quale si diverte a sperimentare con successo in “Mirrorball”.

Nel disco c’è anche spazio per “Pyongyang Ong”, ballata orientaleggiante che è una denuncia delle condizioni di vita della popolazione nordcoreana.

The Magic Whip”rappresenta sicuramente un gradevole e riuscito ritorno dei Blur sulle scene musicali. Il disco scorre gradevolmente, e non mancherà di strappare più di un sorriso ed un ricordo a chi ha incrociato i Blur negli anni precedenti. Non siamo certo di fronte ad un capolavoro, alcuni pezzi come “Ghost Ship” o “Ong Ong”, mancano il bersaglio, dando l’impressione di essere dei semplici riempitivi costruiti rimescolando trovate già utilizzate altrove, anche se una menzione speciale merita il divertentissimo video di “Ong Ong”. Un album da ascoltare con piacere, senza pretendere però di trovarsi di fronte al disco dell’anno.

James Lamarina

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