Sono trascorsi dieci anni dalla decisione di non intervento da parte del Congresso americano nei confronti della banca d’affari Lehman Brothers, in particolare una banca d’affari è una banca che non permette depositi, ma gestisce grandi patrimoni e offre servizi di consulenza alle Società.
Sono trascorsi dieci anni dal collasso del sistema finanziario che trova un precedente di pari portata solo nella Grande Depressione del 1929.
Sono trascorsi dieci anni da quando il mondo scopriva di essere costruito su un castello di carte e su una bolla vuota, gonfiata da valori fittizi e manovre non propriamente lecite. Una bolla così velenosa da contagiare l’intero apparato finanziario, poi politico e poi ancora sociale, le cui scorie ancora oggi stentano a svanire.
Sono trascorsi dieci anni da quando il principio del “too big too fail”, il così detto troppo grande per poter fallire ha realmente fallito, sprofondando insieme a un sistema che aveva fatto dell’azzardo morale una massima da seguire per troppo tempo.
Così di quel famoso settembre 2008 si ricordano ancore le immagini di centinaia di operatori finanziari con gli scatoloni tra le mani che uscivano dalle porte a vetri di un colosso dai piedi d’argilla, ormai pronto a saltare per aria ed esalare l’ultimo respiro. Si chiudeva di fatto a Wall Street un capitolo pesante e si apriva una saga drammatica per tutto il sistema internazionale.
Quel famoso 15 settembre 2008 aprì la strada verso il rischio di fallimento della Grecia, per mesi le banche elleniche smisero di erogare liquidità, le attività chiudevano e la gente si scopriva sempre più povera. Si capì anche che i conti delle principali banche francesi e tedesche erano impregnati di prodotti provenienti da Oltreoceano e che bisognava ripulire e fare cassa. Fu il tempo dell’Austerity e della leadership incontrastata di Angela Merkel, che oggi ha perso larga parte dei suoi consensi attestandosi ad un modesto 28%, leader di un Paese che in fondo non è perfetto.
Una crisi alla base della nascita di populismi, di quella paura irrazionale che pervade l’Europa, una crisi di identità e dell’Occidente nel suo complesso. Un processo che ha investito l’Italia nel 2010, svelandone le fragilità e i debiti insoluti e che nel 2012 decretò la fine del ventennio berlusconiano inaugurando quella instabilità istituzionale, economica e di pensiero da cui oggi non siamo per nulla guariti.
In Italia tuttavia la crisi post Lehman ha dimostrato risvolti differenti e peculiari. Oltre ad aver assunto le caratteristiche di una crisi del debito sovrano, dove l’indice più evidente era quel famoso spread tra i Btp e bund tedeschi, ha palesato un meccanismo di mala gestio del credito dei risparmiatori, ancora oggi irrisolta.
E così, a dieci anni dal crollo di Lehman mentre nel mondo gli ex dipendenti alzano i calici alla loro nuova vita rinnovata durante feste private organizzate in giro per le principali capitali finanziarie del mondo e negli Stati Uniti si registra una disoccupazione ai minimi storici, in Europa ci si fa la guerra al suon di migranti e sovranismo. Altro che Unione europea.
E in particolare, in Italia, per non essere da meno, in stile retrò Prima Repubblica, il Governo vara la riforma “Del meglio un uovo oggi che una gallina domani” perché in fondo “Del doman non v’è certezza” avrebbe detto il Magnifico, con un “deficit” di lungimiranza che ricadrà sulle generazioni future.
Ma quello che soprattutto dopo dieci anni resta è che nessuno può escludere una nuova Lehman, una Waterloo bis dei mercati di cui nessuno può prevedere gli effetti. Perché se è pur vero che il sistema si è dotato di una maggiore vigilanza e solidità è anche vero che le cause che hanno determinato il crac non sono state risolte e pur non avendo più il nome di subprime, esse sono ancora lì e il rischio per tutti è fin troppo alto.
Vanessa Gloria
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