Nel 2002 il prof. Massimo Guastella su Brundisium.net scriveva parole dure – e giuste – contro la “scellerata deturpazione” del rilievo di Amerigo Tot sulla facciata del Teatro Comunale di Brindisi. Non era un’opera qualsiasi, ma il lavoro originale di uno dei più grandi scultori ungheresi del Novecento, chiamato a dialogare con l’architettura di Nespega per il nuovo teatro “sospeso”. La mano di un operaio, mal controllato dalla direzione dei lavori, ignorò la natura artistica dell’opera e la coprì con una vernice scura, cancellandone materia, chiaroscuri e forza plastica. Si puntò il dito non soltanto contro l’incompetenza tecnica, ma anche contro la scarsa sensibilità degli amministratori dell’epoca.
Ventitré anni dopo, la scena si ripete. Stavolta a Mesagne, durante la riqualificazione dell’area di vicolo San Lorenzo, gli operai incaricati della tinteggiatura hanno passato il pennello – come fosse una parete qualsiasi – su un sarcofago funerario romano di duemila anni, posto davanti al Tempietto di San Lorenzo Martire. Un reperto storico e simbolico, legato alla continuità di culto dal periodo romano al medioevo, ridotto a semplice sfondo da verniciare.
La somiglianza fra i due episodi è evidente: nel 2002 un’opera d’arte contemporanea, nel 2025 un reperto archeologico. In entrambi i casi, il danno non nasce da un atto deliberato, ma da un vuoto di consapevolezza. Persiste l’idea – ancora radicata – che il patrimonio culturale sia un abbellimento marginale, non un bene da custodire con rigore. Lo si disse allora e va ribadito oggi: la responsabilità ricade anche e soprattutto sulla filiera decisionale che dovrebbe sapere esattamente cosa ha davanti e come intervenire.
Ed è qui il vero nodo: in oltre vent’anni non si sono compiuti passi da gigante. Tutt’altro.
Questa provincia possiede un patrimonio storico, architettonico e culturale capace di generare ricchezza e identità, ma troppo spesso rimane inutilizzato o, peggio, maltrattato. Un esempio emblematico è quello dei castelli: solo negli ultimi anni Brindisi – insieme a Carovigno e Mesagne – ha iniziato a trasformarli in contenitori culturali e attrazioni turistiche. Ma tanto resta ancora da fare. A Oria, ad esempio, il Comune mantiene posizioni rigide con i proprietari del castello, rinunciando così alla sua piena fruizione.
A monte manca la coscienza collettiva di possedere un patrimonio di valore. Manca nei cittadini, ma soprattutto in chi guida e in chi è chiamato ad assumere decisioni operative.
Il dramma è che, a distanza di due decenni, la vita politica delle nostre città è ancora condizionata da figure che avevano un ruolo già all’epoca del deturpamento del bassorilievo di Tot.
E il quadro appare peggiorato sotto un altro profilo: allora c’erano critici d’arte e uomini di cultura capaci di denunciare e fare da pungolo; oggi, salvo rarissime eccezioni, molti si sono istituzionalizzati, hanno perso la forza di rompere gli equilibri e di alzare la voce. E nel frattempo, il territorio non sembra aver generato nuove voci libere.
Il risultato è che continuiamo a ripetere gli stessi errori, amplificati dalla rassegnazione generale. E se il sarcofago di Mesagne potrà forse essere restaurato, il problema di fondo resta: prima ancora di recuperare i monumenti, occorre recuperare il rispetto per ciò che rappresentano e restituire incisività a chi, nel mondo della cultura, potrebbe davvero fare la differenza.
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