In una Lugano settembrina ma viva di luce e colori che, come sassolini, rimbalzano sullo specchio immoto del lago, le uniche macchie scure erano quelle dei niqab riflesse dalle vetrine delle boutique della centralissima via Nassa.
Era la prima volta che mi imbattevo in queste prefiche orientali. E sì che al nero delle donne del Sud sono abituato, ma qui è anche il volto a mostrarsi nero. Anzi, a non mostrarsi affatto, a parte la fessura che lascia nudi gli occhi.
E non mi è stato nemmeno possibile udirne le voci, sicché non si è dissolto il dubbio che sotto quelle lunghe vesti e veli neri potesse celarsi un uomo col kalashnikov e la bandoliera piena di dinamite…
Come è possibile, mi sono chiesto, che nella civilissima Svizzera si possa consentire ˗ specialmente in questi giorni in cui l’Isis ha dichiarato guerra agli Stati Uniti e ai suoi alleati ˗ di circolare liberamente nascondendo la propria identità?
Neppure in Italia, negli anni Cinquanta e Sessanta, la polizia consentiva la libera circolazione per strada dei “domini”, la maschera dei poveracci, quella che ˗ nei veglioni di carnevale ˗ poteva impunemente affiancarsi agli sfarzosi costumi dei benestanti.
La prima risposta che mi do è che si tratti di una scelta opportunistica che antepone alla sicurezza dei cittadini l’interesse a incamerare anche i soldi dei musulmani d’alto bordo. In fin dei conti, già dai tempi dei Romani, si dice che “pecunia non olet”. E dunque che importanza può avere il particolare che a comprare sia una donna occidentale mezza nuda o una islamica con il burqa?
Infatti, a giudicare dalle prestigiose griffe stampigliate sulle piccole e grandi buste che le donne in nero (anche quelle con chador e hijab) si portano a spasso, c’è da concludere che le disponibilità finanziarie di questi turisti un po’ speciali siano veramente notevoli.
Mi chiedo ancora se tutto questo sia in linea con quanto predicato da Maometto e codificato nel Corano. Qui non si tratta di fare la spesa alle bancarelle del mercato rionale, ma di entrare nei negozi che rappresentano il gotha del lusso. E allora come la mettiamo con la tradizione religiosa contrabbandata a ogni piè sospinto?
Mi torna in mente una immagine che viene dalla Giordania. Non molto tempo fa tante donne ˗ come queste infagottate di nero ˗ hanno protestato brandendo cartelli che dicevano no ad una proposta di legge governativa intesa a proibire il matrimonio delle bambine con uomini anziani. Una legge di buon senso che si prefiggeva di proteggere l’infanzia rubata, di preservare le adolescenti dai matrimoni infelici, di difendere le bambine dallo stupro consacrato.
Ebbene, la furia della loro disapprovazione veniva giustificata con il richiamo all’amore di Dio: esse, per “libera scelta”, obbedivano alla legge religiosa e difendevano le tradizioni!
C’è da chiedersi se anche le donne che ho visto a Lugano siano realmente convinte di esprimere una “libera scelta”. E se religione e tradizioni consentano acquisti così voluttuosi e così maledettamente costosi.
Ma l’incontro più sbalorditivo l’ho fatto, negli stessi giorni, in un outlet di Mendrisio, un paesino distante una quindicina di chilometri da Lugano. Accompagnata dal marito poco più che trentenne e dal figlioletto di sette-otto anni si aggirava disinvoltamente tra i negozi dell’alta moda occidentale la silhouette inconfondibile di un niqab. In questo caso, però, la lunga veste di nero cotone appariva di qualità superiore e di un colore écru che il gioco delle luci artificiali faceva brillare di mille riflessi.
La stessa donna l’ho rivista più tardi nel ristorante della struttura. Oltre alle borse e ai pacchetti manteneva in un equilibrio precario il vassoio delle pietanze. Ora che dovrà mangiare, mi sono chiesto, se lo toglierà il velo che le copre il volto? E magari appariranno le fattezze “gender-neutral” della cantante Conchita Wurst…
Sono rimasto deluso perché il velo non si è spostato neppure un poco pur consentendo, come un siparietto, il transito veloce delle cibarie ad una bocca che mi è rimasta sconosciuta. Al pari degli occhi. Giacché la fessura dietro cui si celano non è sufficiente a scrutarli. Gli occhi, così come i semafori agevolano ai navigatori l’ingresso nei porti, costituiscono la guida più breve per giungere al cuore delle persone. Invece questi, imprigionati nel taglio della stoffa, sono solo dei buchi neri.
Dunque l’uso di questi abiti che tutto nascondono è dovuto a una “libera scelta? E perché mai nascondere la bellezza? Dostoevskij diceva che “la bellezza salverà il mondo” e perciò è un segnale negativo sottrarla alla vista. Personalmente penso che sia addirittura un peccato.
La verità è che fa comodo attribuire a libera scelta ciò che invece è il risultato di un lungo condizionamento e di una totale ignoranza dei diritti civili. Spesso questo tipo di scelta, che si vuole fare passare per autonoma, è figlia di una cultura del dominio maschile fatta di ricatti morali e abitudini alla soggezione.
Sono sicuro che la donna dalla lunga veste écru avrebbe voluto circolare a volto scoperto su e giù per i piani di quel finto paradiso terrestre ed avrebbe voluto apparire simile alle “vergini belle come il corallo e i rubini” di cui parla il Profeta. A proibirglielo, ovviamente, il marito, in cambio di quegli acquisti esageratamente generosi.
Ma la spiegazione di questa scelta che giudico “non libera” è da ricercarsi anche in quello che Maometto scrisse nel Corano: «Gli uomini hanno autorità sulle donne perché Dio ha preferito alcune creature ad altre. Perciò le donne buone sono obbedienti. Se poi temete che alcune si ribellino, ammonitele, lasciatele sole nei loro letti e poi frustatele»…
Mi chiedo però se il richiamo alla “libera scelta” non sia in atto anche nella moderna e liberissima società occidentale. Si attribuisce infatti a una libera scelta delle donne la continua esibizione del corpo femminile per ragioni di mercato.
Ma si può parlare di una sincera preferenza? O non si tratta, piuttosto, di un sottomettersi al ricatto diffuso: o mostri il tuo corpo in modo volgarmente seducente, o non lavori? La spinta a esibire continuamente la carne nuda, non assomiglia ˗ in senso contrario ˗ alla ossessiva cancellazione del corpo femminile?
E allora, se in entrambi i casi non c’è una vera e propria libera scelta da parte delle donne, mi chiedo se non sia meglio immaginare una bellezza nascosta da una veste lunghissima colore écru piuttosto che “subire”, senza alcuna particolare emozione, un “nude look” che in realtà non ci fa vedere niente…
Guido Giampietro
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