May 2, 2025

F 35

La scia generata dall’F35 non è il filo bianco e magico col quale gli aviogetti ricamano l’azzurro del cielo. È invece (almeno qui, in Italia) una scia bavosa di accuse e controaccuse, di iridate bandiere della pace, di striscioni contro gli armamenti, di minacce più o meno esplicite all’indirizzo del Governo.

Senza che ci sia, da nessuna delle parti starnazzanti, una onesta disamina della questione che ha visto coinvolte, nel tempo, varie forze politiche. Che, ora, non ricordano o fanno finta di non ricordare.

Certo, ai tempi in cui si è cominciato a parlare del progetto per un Joint Strike Fighter (così l’hanno chiamato negli USA, fin dal 1996, il programma F35), la crisi finanziaria non era ancora esplosa in tutta la sua virulenza. Tuttavia ˗ è bene precisarlo subito ˗ gli impegni internazionali non si possono cancellare come si fa con l’appuntamento con un amico. I politologi e i pacifisti di oggi dovevano sollevare allora la questione sull’opportunità di affidarsi (ancora una volta) all’industria aeronautica statunitense e puntare piuttosto su quella di casa nostra, vale a dire l’europea. Oppure, con una maggiore dose di convinzione e di coraggio, dire che all’Italia i cacciabombardieri non interessavano affatto. Che ad essi si preferivano scuole e ospedali!

Ma rivediamola, seppur velocemente, questa storia tribolata, cercando di renderla il più comprensibile possibile ai non addetti ai lavori.

 

AMX

L’Italia, fin dall’inizio, ha selezionato l’F35 sia nella versione “A” per l’Aeronautica Militare sia nella “B” per l’Aeronautica e la Marina, per sostituire le linee aerotattiche Tornado, AMX e AV-8B Harrier (quest’ultimi sono i velivoli a decollo corto e atterraggio verticale della Marina). Gli attuali cacciabombardieri, infatti, hanno un’anzianità di progetto e di costruzione molto elevata, che aumenta le spese di gestione e costringe a costosi aggiornamenti. Il Tornado scaturisce da un accordo del 1968 ed ha quindi oggi circa 46 anni, mentre l’AMX è stato lanciato nel 1977 e ne ha circa 37…

La decisione, presa nel 1999 (!) sotto il primo governo D’Alema e riconfermata dagli esecutivi Berlusconi (2002) e Prodi (2007), consisteva nell’acquisto di un F35 prototipo e di 131 di serie entro il 2026. L’acquisizione, finanziata senza stanziamenti straordinari, prevede un ritorno economico del 100% per l’industria italiana.

L’opposizione politica ha portato dapprima alla rinuncia del prototipo e poi, sotto il governo Monti, a quella di 41 esemplari di serie. L’attuale pianificazione è scesa così a 75 macchine per l’Aeronautica e 15 per la Marina. Il 7 febbraio 2007 l’Italia ha firmato per la fase di produzione, sostegno e ulteriore sviluppo, per un importo di 900 milioni, in calo dopo i tagli. Naturalmente la riduzione dell’ordine ha comportato anche quella della quota di lavoro per l’Italia.

 

 

Stabilimento Alenia di Cameri

Stabilimento Alenia di Cameri

Proprio così! Perché non tutti sanno che nel programma F35 c’è anche un ritorno economico per l’Italia. Dal luglio 2013, infatti, sull’aeroporto di Cameri (NO) è in funzione l’unica linea di assemblaggio finale fuori dagli Stati Uniti, di proprietà dello Stato e gestita da Alenia Aermacchi.

Lo stabilimento, approvato dalla Camera l’8 aprile 2009, monterà gli aerei italiani e olandesi al ritmo di due al mese. Le prime strutture alari realizzate in Italia hanno volato l’11 marzo 2014 per un F35 dell’USAF… In parallelo Cameri servirà da “Regional Support Center” con un bacino potenziale di circa 600 macchine.

 

In uno studio commissionato dalla Lockheed Martin (la ditta vincitrice della gara per l’F35) è stato stimato in 15,8 miliardi di dollari (tra il 2007 e il 2035) l’impatto economico del programma F35 sull’economia italiana.

Oltre a essere selezionati dall’Italia, gli F35 sono stati ordinati da USA, Regno Unito, Australia, Corea del Sud, Giappone, Israele, Norvegia e Turchia. Invece Olanda, Danimarca e Canada hanno partecipato allo sviluppo ma non hanno ancora ordinato esemplari di serie.

Naturalmente l’ampia produzione è un elemento chiave per contenere i costi spalmandoli su molti esemplari. Cosa ancora più importante, nessun singolo Paese è critico per il programma: un taglio di 30 macchine rappresenta meno dell’1% del totale e il suo impatto sui costi degli altri è molto modesto.

 

La novità più recente è forse quella meno pubblicizzata: i costi sono in discesa. Nel 2018 un F35 costerà ai valori attuali 75 milioni di dollari (54 milioni di euro), contro gli attuali 98 milioni (71) e i circa 250 dei primissimi. All’inizio del 2014 il Government Accountability Office (la Corte dei Conti statunitense) ha addirittura registrato un calo del 3,3% nel costo del programma negli ultimi 12 mesi “dovuto solamente alle efficienze interne al programma in quanto non sono state riferite diminuzioni alle quantità”.

Per la cronaca, in Italia questo non lo ha scritto quasi nessuno!

 

Certo, come diceva qualcuno, non si sta parlando di bruscolini… Se è per questo non lo erano nemmeno nel 2007 quando Prodi confermò l’acquisto dei 131 velivoli di serie. In ogni caso, lasciando da parte inutili recriminazioni, il punto, oggi, è questo: restare fuori dal programma comporterebbe una rapida perdita di capacità non solo operativa, ma anche di pianificazione di operazioni complesse nel prossimo futuro. Quelle che, tanto per intenderci, negli ultimi anni stiamo conducendo insieme ai nostri Alleati in tutti gli scacchieri “caldi” del mondo.

 

 

Peacekeeping

Peacekeeping

Allora la questione che si pone non è tanto l’annullamento e/o riduzione del programma F35 (credo, però, che più di così non si potrebbe ridurre), quanto la prosecuzione della nostra politica estera, cioè di cooperazione nel peacekeeping (nell’accezione datagli dalle Nazioni Unite è “un modo per aiutare Paesi tormentati da conflitti a creare condizioni di pace sostenibile”) nel mondo.

 

Parlo di missioni di pace perché oggi a questo servono essenzialmente le nostre Forze Armate. In occasione del Consiglio Supremo di Difesa svoltosi in questi giorni al Quirinale il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha fatto notare, davanti al Presidente Napolitano, che bisogna “attrezzarsi per eventi inattesi capaci di modificare sensibilmente gli attuali e precari equilibri”. Si parla cioè di una instabilità internazionale che consiglia di non disperdere più energie e risorse in aree remote, in scenari internazionali distaccati. Bisogna dunque concentrarsi sul Mediterraneo. È in quest’area che vengono individuati i rischi maggiori, le minacce per il nostro Paese.

Minacce non solo militari, ma non per questo meno “pericolose”. Mi riferisco alle “invasioni” che stiamo subendo ad opera di cinesi, arabi, indiani, magrebini… E a tal proposito manifesto tutto il mio disappunto per l’affidamento ai mezzi della nostra Marina del salvataggio delle migliaia dei  derelitti che fuggono dai Paesi del Terzo Mondo. Una Operazione “Mare Nostrum” che forse sarebbe più corretto chiamare “Mare Eorum”… A mio avviso sarebbe più giusto affidare questo  compito a motonavi battenti la bandiera europea!

 

Intanto, nell’attesa del Libro bianco che sta approntando il Ministro della Difesa, cosa fanno i nostri parlamentari? Infischiandosene dei tentativi di Renzi di ridurre l’elefantiaca macchina burocratica, il Pd ˗ senza molto scalpore ˗ ha presentato un disegno di legge che intende dar vita a un’Authority (un’altra!) destinata a controllare le spese militari.

Ma, di grazia, a che serve un’Authority se le Commissioni Difesa di Camera e Senato hanno già la facoltà di controllare come sono impiegati i fondi delle Forze Armate?

L’Authority dovrebbe essere presieduta da un magistrato della Corte dei Conti, affiancato da quattro membri designati da Camera e Senato, più una diecina di funzionari. Spesa prevista: tre milioni di euro all’anno. Così se l’Authority dovesse ritenere che l’acquisto di un sistema d’arma sia eccessivo o non necessario, il suo parere diventerebbe “obbligatorio” per il Governo… In conclusione, oltre ai costi per gli F35, rischiamo di sobbarcarcene altri per dare vita all’ennesima, inutile Authorithy!

 

Cosa mi auguro nell’immediato? Che intanto il Paese salvi la faccia e mantenga gli impegni a suo tempo assunti per gli F35. Successivamente che il Parlamento abbracci la tesi dell’utilizzo delle Forze Armate ˗ più ridotte ma capaci di interventi rapidi e mirati ˗ limitatamente alle zone di nostro immediato interesse.

Dimenticavo la cosa più importante: che l’Europa si decida a fare la sua parte nella risoluzione dell’esodo drammatico nel Mediterraneo!

 

Guido Giampietro

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