Normalmente le “Giornate Mondiali” costituiscono per me l’occasione per sviluppare temi che per la loro valenza globale possono attirare l’attenzione di lettori interessati ad andare un po’ più in là della cronaca locale e nazionale.
Il 5 giugno u.s., a Expo Milano 2015, è andata in onda la Giornata Mondiale dell’Ambiente e, nella circostanza, vi è stata ospitata una delle celebrazioni internazionali delle Nazioni Unite. Il tema di quest’anno “Sette miliardi di sogni. Un pianeta. Consumare con moderazione” si proponeva di lanciare la sfida di ciascuno a reimmaginare i propri sogni per una vita dissociata dal consumismo.
Ebbene, ho lasciato che l’evento scivolasse via senza degnarlo di un approfondimento. Perché? Intanto perché, da sempre, sono stato prevenuto nei riguardi di questa Expo. L’ho considerata l’ennesima ghiotta occasione, per la malavita organizzata, di mettere le mani su un business di svariati milioni di euro. E ciò indipendentemente dalla stima per l’eccellente lavoro di prevenzione che sta svolgendo Raffaele Cantone nelle vesti di Autorità nazionale anticorruzione.
Mi pare di riascoltare (eravamo ancora nel secolo scorso) il grido sdegnato di Indro Montanelli a proposito del degrado ambientale dell’Italia: «Gli anni del boom passeranno alla storia come quelli della sistematica distruzione dell’ex giardino d’Europa, perché i miliardi in mano agl’italiani sono più pericolosi delle bombe atomiche in mano ai bantu (…). Evidentemente il buon Dio fece il “giardino d’Europa” in un momento d’indulgenza e di abbandono. Poi si accorse della propria parzialità e la corresse mettendoci come giardinieri gl’italiani…».
Ma torniamo all’Expo. L’altro motivo per il quale ne prendo le distanze si basa sul fatto che questo evento né più né meno di una fiera pantagruelica finisce per essere l’esaltazione proprio di quei consumi alimentari che dovrebbe invece castigare.
Come dire che da una parte si afferma (è Susanna Tamaro a dirlo) che «non c’è gioia, non c’è convivialità, non c’è piacere nelle esigenze alimentari indotte dalla società dei consumi, ma soltanto un anonimo riempirsi sulle cui ragioni dovremmo prima o poi interrogarci», e dall’altra girando per padiglioni ci si ingozza col pretesto di scoprire e valorizzare i cibi etnici.
Quindi, da una parte si grida che il cibo ha perso ogni valenza etica, ogni memoria di sacralità. E si denuncia che proviene da un vuoto immaginativo s’ignora infatti come venga prodotta la maggior parte dei cibi che si arraffano dai banconi del supermercato e che, per questa ragione, spesso finisce nel vuoto distruttivo dello spreco. E dall’altra si mangia, si beve e si gettano i resti nei cassonetti dei rifiuti (ammesso che vengano rispettate le regole della differenziata).
Allora cosa mi ha convinto a fare un passo indietro per parlare di ambiente e di sprechi alimentari? La “Lettera Enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco (e non del troppo confidenziale “Francesco”!) sulla cura della casa comune”.
Con questa enciclica dal titolo non latino (ma non è l’unica, sono infatti 16 quelle che recano un titolo non latino e, di queste, 11 sono in italiano) il Papa parla al mondo convinto di poter influire sul suo destino. È da questa fiducia straordinaria che prende forza il messaggio. Non si era più vista tanta sicurezza dopo l’enciclica “Pacem in Terris” (del 1963) di Giovanni XXIII.
Come nel caso di Papa Roncalli, il messaggio è rivolto a tutti. Allora l’intestazione dell’enciclica per la prima volta vedeva tra i destinatari «tutti gli uomini di buona volontà». Questa volta Papa Francesco dichiara: «Voglio rivolgermi a ogni uomo che abita questo pianeta». Persino il richiamo a Francesco d’Assisi che è presente fin dalle parole che danno il titolo all’enciclica: “Laudato si’ mi’ Signore” è svolto in termini di universalità. Il Papa segnala che quel santo cristiano «si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste» ed è «amato anche da molti che non sono cristiani».
Segue, distinta per argomenti, la disamina scientifica del degrado ambientale. Una disamina che va di pari passo con i richiami e le raccomandazioni etico-religiose. Proprio in questo connubio s’afferma la supremazia dell’enciclica sull’Expo e su tutti documenti prodotti negli ultimi anni dai “potenti” del mondo al fine di scongiurare la fine della vita sulla Terra.
Parla di inquinamento Papa Francesco. E il suo parlare esprime tutto il dolore di uomo e di rappresentante di Cristo: «La Terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da spazzatura (…). Questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura».
E parla di riscaldamento terrestre. «Il clima dice è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico (…). L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano (…)».
Dal discorso dei cambiamenti climatici al problema dei migranti abbandonati il passo è breve: «Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento (…). È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie che accadono tuttora in diverse parti del mondo».
Quindi Papa Bergoglio affronta il problema dell’acqua come diritto fondamentale dell’uomo e tratta del rispetto della biodiversità, concludendo che «oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri».
Dopo una ponderata lettura dell’enciclica si comprende che le “passeggiate” che si susseguono nel recinto di Expo Milano 2015 (Putin, Michelle Obama, Cameron, Angela Merkel, l’Hollande del gran rifiuto…) hanno più un carattere mondano che politico. Sono programmate più per un piacevole assaggio di cibi che per immedesimarsi nella tragedia di chi muore di fame. C’è qualcosa d’immorale in questo loro comportamento.
Insomma da quei signori e da quelle signore non credo ci si debba aspettare molto. Sono invece più fiducioso che siano le parole dell’enciclica a smuovere le coscienze, a sortire qualche effetto, ad essere di sprone per chi è preoccupato solo di continuare ad andare in giro per il mondo a parlare, parlare, parlare…
Guido Giampietro
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