“La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature.” Così parlò Roosevelt: e caspita se aveva ragione!
A Brindisi il principio sotteso a queste parole è stato applicato troppo spesso e, in questi anni di crisi economica dilaniante, i poveri di spirito sembrano essersi moltiplicati. La città appare sotto la stretta di tali individui in perenne ricerca del tornaconto personale. I destinatari delle loro “attenzioni” non possono che essere soprattutto i giovani, in quanto rappresentanti oggettivamente la fascia più debole, quella maggiormente bisognosa di assistenza e quindi più facilmente aggredibile. Nella sfortuna, però, possiamo ritenerci fortunati perché le tecniche utilizzate da costoro sono obsolete e di bassissimo lignaggio, quindi le conosciamo già, possiamo prevederle, contrastarle e denunciarle con forza, sempre che si abbia la volontà di farlo. In città (e non solo ovviamente) è imperante da anni una forma di clientelismo subdolo, il quale ha costituito, purtroppo, la spina dorsale dell’economia cittadina, i cui abitanti sono da sempre stati dediti ad una certa forma mentis “affaristica”, nell’accezione deteriore del termine s’intende. Ciò, probabilmente, è dovuto al fatto che la città, trovandosi in una posizione geografica strategica, ha subìto tante contaminazioni, divenendo un crogiuolo di modus operandi non sempre ortodossi che, con il tempo, si sono sedimentati. Questo, insieme a contingenze varie e ad aspetti peculiari del territorio (vedi l’economia improntata sulle commesse industriali), ha determinato le condizioni ideali per la germinazione di tali pratiche disdicevoli e poco confacenti ad una società civile. Tuttavia, mentre in passato tali prassi erano imperniate su tecniche più sottili e “sofisticate”, al giorno d’oggi, forse in conseguenza dell’impoverimento umano delle città del mezzogiorno, si assiste davvero a sistemi dozzinali.
E’ così che molti giovani si trovano ad affrontare in ogni campo situazioni che li mortificano, ne minano l’entusiasmo e producono un danno inestimabile alla nostra società.
Accade allora che il progetto di Garanzia Giovani, nato per offrire tirocini semestrali agli under 30, possa diventare paradossalmente occasione di sfruttamento degli stessi. Il progetto, basato su risorse comunitarie, prevede uno stipendio di 450 euro mensili per chi dovesse intraprendere un tirocinio di 30 ore lavorative settimanali. Ciò dovrebbe produrre il doppio vantaggio di garantire una entrata a chi non studia e non lavora e, parallelamente, permettere ai datori di lavoro di assicurarsi forza lavoro a costo zero. Ma a qualcuno, evidentemente, questo non basta. Succede così che alcuni ragazzi vengano sfruttati per molte più ore settimanali, senza che gli vengano riconosciute economicamente. Il tutto nella legalità apparente, poiché vengono invitati a chiudere un occhio ed a segnare sul libretto le canoniche 30 ore. Non è finita qui. Può accadere anche che ogni bimestre, sulle 900 euro spettanti al giovane (ricordiamo, rivenienti da fondi comunitari), il datore di lavoro possa applicare, non si sa a che titolo, una trattenuta a proprio favore pari a 100 euro. Ovvio che in condizioni normali e di serenità economica chiunque si ribellerebbe ma, in un momento di indigenza diffusa, avviene che tali ragazzi preferiscano tacere e sottostare a questi soprusi.
Sempre su questo solco poco edificante ci si può imbattere allora in qualche politico cittadino che, annunciando con soddisfazione che, testuali parole, “il reddito di dignità è stato finalmente approvato anche a Brindisi” (???), si dichiara disponibile a fungere da “facilitatore” per presentare l’apposita domanda, con tanto di numero di cellulare “in sovraimpressione” per contattarlo. Inutile aggiungere che il reddito di dignità è una misura entrata in vigore in tutta la regione tramite legge regionale e che i soggetti beneficiari potranno autonomamente rivolgersi al Servizio Sociale del Comune per chiedere delucidazioni in merito ed essere guidati da chi è a ciò preposto.
Per carità, nulla quaestio, gesto potenzialmente apprezzabile al netto della “folcloristica” ed imprecisa uscita. Al di là del caso precipuo, su cui, si ripete, non c’è da gridare allo scandalo (semmai c’è da sorridere), il messaggio che deve passare, però, è che sarebbe il caso di non farsi più suggestionare da coloro i quali vorrebbero soltanto ingraziarsi la nostra attenzione e sarebbe opportuno pertanto non svendere il proprio prezioso voto al primo offerente. Proviamo a volare alto, premiamo chi dimostra di essere capace, non cediamo davanti all’estemporaneo gesto travestito da “welfare fatto in casa”, perché il buono di benzina o l’aiuto di scarsa rilevanza su questioni come quelle testé citate rappresentano spesso forme di clientelismo, non di assistenzialismo o di misericordia cristiana. E’ la storia che ce lo insegna.
Puniamo chi vorrebbe decidere per noi senza avere i requisiti culturali e lo spessore morale per farlo. Riprendiamoci la politica e facciamola nelle sedi dei partiti, perché esse sono casa nostra! Non lasciamo che la disaffezione agevoli il compito di costoro, così come avvenuto sino ad ora. Alcuni noti partiti in città, al giorno d’oggi, si presentano come una landa desolata, dove l’assenza del presidio di noi cittadini, di noi giovani, facilita il realizzarsi di dinamiche opache. Negli ultimi anni sono stati tanti i campanelli d’allarme che hanno risuonato inascoltati e che ci hanno indotto a ritenere che alcuni partiti siano diventati ricettacolo di affaristi e affarismi di “basso bordo” e sede privilegiata di giochi di potere. Capita anche in quelle sedi, infatti, di trovare giovani e validi dirigenti di partito abbandonati a se stessi, vittime di situazioni incresciose, dove, con la promessa di un tozzo di pane, si pretende connivenza e sottomissione assoluta verso prassi opinabili. Contrastiamo, ad esempio, la sgradevole usanza invalsa in alcuni partiti di imporre centinaia di tesseramenti il giorno prima della chiusura degli stessi, tesseramenti di soggetti che, perlopiù, fanno inconsapevolmente parte di un meccanismo di “potere” che, oramai, ha stancato. Ridisegniamo allora gli equilibri e, per 200 tesseramenti fittizi, rispondiamo con 200 tesseramenti reali, di ragazzi (e non) che desiderano soltanto un futuro migliore e che vorrebbero contribuire a costruirlo. La partecipazione è l’unico strumento che abbiamo per riprenderci ciò che è nostro, per vigilare sul bene comune che, in quanto tale, è di tutti e non loro, per svuotare le sacche di potere che sempre più sono andate ingrassandosi, per far sì che tali soggetti non agiscano più indisturbati nei partiti, per elidere, insomma, il loro sistema basato su pressioni o scambi di favore con gli amici (o compagni?!) di partito che amministrano la città. I più grandi cambiamenti partono da piccoli gesti, iniziamo quindi ad irrorare le sedi dei partiti di nuova linfa, sovvertiamo gli equilibri e lo status quo che tali personaggi pensano di aver instaurato a vita e defenestriamoli con i fatti. In pochi è impossibile sperare in un cambiamento, servono i numeri, servono grandi risposte. Servono unione, partecipazione, orgoglio. L’aria sta cambiando, quello che sta avvenendo negli ultimi anni con la nascita di associazioni (No al carbone) e movimenti (M5S) lascia sperare in una inversione di tendenza che possa sfociare in una maggiore presa di coscienza diffusa ed in una consequenziale partecipazione attiva.
Breve inciso: i grillini non possono pretendere di essere i soli depositari di purezza e conoscenza. In ogni partito, nel rispetto della diversità di idee, si può fare della buona politica senza appiattirsi al pensiero unico e senza apostrofare chi la pensa diversamente. Il pluralismo è il sale della democrazia. L’importante è la finalità comune con cui si agisce. E’ bene allora che i giovani più sensibili scendano in campo; ciò non vuol dire per forza candidarsi, tutt’altro. Vuol significare solo informarsi, partecipare senza demandare. Solo così potremo diventare protagonisti delle scelte e modellare insieme la città che vogliamo. Quella città che spesso, lamentandoci, definiamo parca di opportunità. Ebbene, dall’interno è probabilmente più agevole rappresentare le proprie istanze. Sarà così possibile spiegare, ad esempio, che per molti giovani disoccupati appartenenti alla fascia di età tra i 25 ed i 35 anni, un biglietto di teatro a prezzo intero (che va dai 22 ai 35 euro) rappresenta una spesa insostenibile, oppure che sarebbe importante garantire un ventaglio di offerte culturali adeguato ed assolutamente da implementare, oppure che lo sport è un veicolo di socializzazione straordinario ed in quanto tale non va mortificato ed usato per traguardare interessi che nulla hanno a che vedere con i valori che lo stesso incarna.
Fino ad adesso si è scelto di non dare spazio ai giovani perché fanno paura e noi, colpevolmente, glielo abbiamo lasciato fare. Fortunatamente, però, le regole del gioco permettono ancora di rientrare in partita. Pertanto, se non ci concedono spazio e voce di loro sponte, prendiamoceli con la prepotenza di chi vuole difendere un suo diritto. La società ringrazierà.
Oramai non conta più quanto ci hanno tolto, conta soltanto quanto riusciremo a riprenderci e dipende da noi!
Andrea Pezzuto
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