May 4, 2025

Davanti alla morte di tre ragazzi, leggo commenti che fanno venire la nausea. Si parla di motori, di noleggi, di “sbruffoni”, di colpe. Sentenze lanciate con una leggerezza disarmante, come se il dolore fosse solo lo sfondo di uno show da commentare, non il centro di tutto.

 

“Se la sono cercata”, “correvano come pazzi”, “troppi soldi in tasca”.
Non c’è nemmeno il tempo per piangere che qualcuno è già lì, a puntare il dito, a fare la morale, a scrivere cazzate.
Non sia mai che ci si fermi un attimo, anche solo un attimo, a pensare: sono morti tre ragazzi. Tre figli, tre fratelli, tre nipoti, tre amici. Tre famiglie distrutte in un istante, per sempre.

 

La vera deriva social(e) non è quella dei ragazzi al volante, è quella che dilaga nelle bacheche infestate da giudizi feroci, senza un briciolo di umanità. Dove la morte di tre ragazzi diventa il pretesto per vomitare frustrazioni, per sentirsi superiori, per scaricare la propria rabbia repressa.
Senza rispetto, senza pudore, senza una benché minima traccia di empatia.

 

Non serve essere d’accordo su tutto, ma serve sapere quando tacere. Esiste un tempo per ogni parola, e a volte quel tempo è il silenzio. Perché chi ha appena perso un figlio non ha bisogno della vostra morale da quattro soldi. Ha bisogno di pace. Ha bisogno di non leggere che “se l’è meritato”.

 

Chi oggi scrive con tanta arroganza, domani potrebbe essere dall’altra parte. Solo allora capirà quanto fanno male certe parole. E forse, sarà troppo tardi.

Pensateci due, dieci, cento volte prima di cliccare “invia”. Perché dietro ogni tragedia c’è qualcuno che piange. E il vostro commento gratuito, dietro uno schermo, rischia di essere solo un altro pugno in pieno stomaco.

 

Oreste Pinto
nel rispetto di Sara, Karina e Luigi e del dolore delle famiglie

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