May 4, 2025

Etichetta: Glitterhouse Records

Genere: slowcore

Dagli Stati Uniti alla Norvegia, il filo rosso che unisce i norvegesi The White Birch agli States passa attraverso lo slowcore degli americani Low, Codeine e Dakota Suite e non potrebbe essere altrimenti dato che chiunque si cimenti in un genere come quello appena menzionato, non può esimersi dal confronto con i capostipiti (è bene tenere in mente che il nome della band deriva appunto da una canzone dei Codeine). I The White Birch tornano a calcare le scene musicali dopo lo scioglimento del 2006, anche se vedendo gli attuali membri effettivi non si può parlare di una vera e propria reunion, poiché nel nuovo “The Weight of Spring” è presente il solo cantante Ola Fløttum, mente pensante del nucleo originario, che si destreggia fra una moltitudine di strumenti (chitarre, violini e tastiere), con il supporto di due archi, un flautista ed un percussionista.

The Weight of Spring” è un album fortemente autobiografico, in cui Fløttum racconta le sue ansie e le sue paure, potendo contare anche sul supporto della propria moglie, che presta la propria voce all’interno del disco.

Il titolo del disco è un monito sulle sensazioni che racchiude al suo interno, la primavera, universalmente riconosciuta come simbolo della rinascita e del sole che torna a splendere, viene qui accostata ad un momento opprimente, di cui è necessario sostenere il peso. L’approccio di “The Weight of Spring”è profondamente emotivo e timido, i dodici brani sono costruiti secondo i dettami della musica da camera, con i fiati e gli archi a rimarcare i momenti più malinconici raccontati dalla voce profonda di Fløttum. L’ossatura dei pezzi ruota attorno al binomio voce-chitarra, lo stesso singolo di lancio “Lantern” è esemplificativo della proposta musicale dei norvegesi: cantato sommesso, quasi accennato, accordi acustici e fugaci melodie di violini e fiati.

L’ascolto di “The Weight of Spring” seppur agevolato dalla relativa semplicità dei brani e dalle dolci melodie, potrebbe mostrare dei limiti connessi al genere stesso: lo slowcore gioca su lunghe dilatazioni ed una certa ripetitività di fondo che se dà un lato gli conferiscono una certa fisionomia dall’altro rischiano di stancare presto gli ascoltatori abituati a brani ben più vari e movimentati.

Un disco consigliato ai soli amanti del genere.

James Lamarina

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