April 30, 2025

Non ci sarebbe alcun bisogno della Giornata mondiale della Gentilezza che si celebra tutti gli anni il 13 novembre. Ma qualcosa mi suggerisce di ricordare l’evento a beneficio degli smemorati…

Il primo congresso del World Kindness Movement si svolse a Tokyo il 13 novembre 1998. Esportato in America dove, con successo, ha sviluppato un’imponente manualistica, raggruppa oggi 18 nazioni. Da noi ha preso il nome di Movimento italiano per la Gentilezza e, dal 2000, ha sede a Parma. “La gentilezza è contagiosa” è uno dei tanti aforismi con cui viene propagandato.

Quasi un corollario del Movimento è invece l’Associazione Gentletude (abitudine alla Gentilezza) di cui è animatrice la scrittrice-psicologa ticinese Cristina Milani, autrice di “Un giorno di ordinaria gentilezza” (Editore Pagine d’Arte).

Intanto va premesso che gentilezza non è sinonimo di cortesia.
La gentilezza, infatti, “viene dal cuore, spontanea, disinteressata e accogliente”; l’altra, invece, è più che altro un atto formale e, in quanto tale, un po’ freddo e distaccato. In altre parole la gentilezza, così come la intendiamo oggi, non è quella dei secoli scorsi: quella del “Cortegiano”, il famoso trattato di Baldassar Castiglione o del “giovin signore”, il pupillo di Giuseppe Parini.

La gentilezza non è un’idea snobistica, né una ovvietà o un progettino pedagogico da portare nelle scuole. E non è più un valore che appartiene alla cavalleria o alla nobiltà di sangue, ma riguarda la sensibilità di tutti gli uomini, siano essi ricchi o poveri. Poi però, guardandoci intorno, ci si accorge che essa è quasi diventata un tabù, un’attitudine per nulla all’altezza dei tempi, un’inclinazione ritenuta noiosa, una virtù da deboli di spirito, se non proprio da falliti.

Questo spiega, in parte, il fenomeno del machismo e del suo più deleterio derivato: il bullismo. Più si è duri e volgari e più si sale nella considerazione degli altri. Anche delle ragazze d’oggi che agli atteggiamenti gentili e un po’ demodé preferiscono quelli rudi che rasentano l’aggressività verbale, se non proprio quella fisica.

Insomma la gentilezza ha perso l’alone aristocratico del tempo che fu, divenendo una sorta di barriera protettiva della propria vulnerabilità, una difesa preventiva contro l’aggressività altrui. È più una virtù da santi che da gente comune capace di stare al mondo. Daniel Defoe si avvicina a questa accezione moderna: per il padre di Robinson Crusoe, il gentiluomo era il borghese sobrio, contrario alla sopraffazione e all’avidità mercantilistica.

Se in passato la gentilezza era definita come “status symbol” ai giorni nostri ha finito per assumere un significato ambiguo: persino il tetro imbianchino austriaco che divenne il Führer del Terzo Reich poté apparire “gentile” agli occhi della sua Eva, ma si trattava evidentemente di un errore ottico per eccesso di vicinanza. La gentilezza, invece, va valutata da lontano!

Praticamente come si svolge questa Giornata?
Il 13 novembre si celebrano (o si dovrebbero celebrare!) la gioia, i sorrisi, gli abbracci, le buone maniere, la tolleranza, le azioni caritatevoli, l’integrazione, la solidarietà, l’amicizia, l’amore, la passione, il sacrificio per gli altri, l’emancipazione e la dedizione. Come si vede si tratta di una giornata abbastanza impegnativa…

Una giornata in cui potrà capitare d’imbattervi in qualcuno che, dopo avervi fatto una cortesia, risponderà al vostro “grazie” consegnandovi un bigliettino con su scritto: «Guardati attorno, c’è sempre qualcuno che ha bisogno e non ti chiede nulla. Aiutalo! Proverai anche tu la stessa profonda soddisfazione che provo io in questi momenti». Se questo accadrà sappiate che vi trovate di fronte a un “attore di gentilezza”, uno dei tanti sguinzagliati a diffondere il virus della cortesia in questa particolare giornata.

Anche a Brindisi?
Spero proprio di sì, visto che pure da noi tanti sguardi taglienti, commenti secchi e alzate di spalla hanno preso il posto dei sorrisi, delle battute cordiali, delle occhiate sorridenti!

A conferma dell’importanza che la gentilezza è venuta assumendo ai giorni nostri c’è da osservare che è diventata oggetto di marketing.
Si è cioè scoperto che la regola del sorriso paga pure in ufficio e che con la gentilezza si lavora di più e meglio. Così la famigerata Nsa (National Security Agency), quella delle sporche spiate mondiali (ma si è sempre saputo: dov’è la sorpresa e lo scandalo!?), ha un ufficio ad hoc che si occupa di migliorare le condizioni di lavoro degli impiegati monitorando il clima, le relazioni, il livello di integrazione e di felicità di ciascun lavoratore.

E la Southwest Airlines, principale compagnia aerea low cost degli Stati Uniti, ha imposto ai dipendenti di inviare bigliettini di pronta guarigione a tutti i colleghi in malattia e auguri personali in caso di matrimoni e nascite.

Al centro medico Ochsner di New Orleans, invece, vige la regola del “10 e 5” che obbliga i dipendenti a guardare negli occhi tutti quelli che camminano a distanza di 10 piedi (tre metri circa), e a salutare con il sorriso i colleghi che si incrociano a 5 piedi. E una regola di cui vanno molto fieri in Louisiana è quella dell’anti-sfogo: se qualcosa va storto nella giornata di lavoro, al punto da rovinare l’umore, c’è in ufficio una “zona di sicurezza” per sfogare la frustrazione, volendo anche con l’aiuto di un assistente.

Negli Stati Uniti, insomma, hanno capito che la cattiva educazione sul lavoro, oltre a essere di per sé deplorevole, è un problema economico: un impiegato che si sente maltrattato lavora peggio, di meno e, appena può, scappa.

Come può un datore di lavoro evitare che le tensioni interne creino un ambiente disfunzionale alla produttività?
Impostando il tono delle interazioni all’interno della squadra (esempio: non alzare mai la voce, utilizzare sempre “per favore” e “grazie”, ecc.). Oppure comportandosi nel migliore dei modi per dare l’esempio. O, ancora, trovando idee per trascinare i dipendenti ogni tanto fuori dalla routine.

Certo non si deve esagerare. Non bisogna cioè comportarsi come lo zelante Segretario generale di un Comune del bresciano che, tempo fa, con tanto di ordine di servizio affisso in bacheca, impose l’obbligo del saluto a tutti i dipendenti.
Anche se nell’atto un po’ provocatorio di quel funzionario si può leggere il disagio per la progressiva erosione delle regole che contagia la nostra vita quotidiana.

Infatti la mancanza delle buone maniere la riscontriamo ogni giorno negli uffici pubblici, sui bus e nelle strade, dove gli indisciplinati e i maleducati (specie se automobilisti) sono anche i più aggressivi. Ma affidare a un’ordinanza la gentilezza, il bon ton, non è un bel segnale. Siamo messi veramente male se, per dire buongiorno, qualcuno si è ridotto a chiederlo non per piacere, ma per legge!

“Non so voi, ma io sogno un paese dove buongiorno vuol dire buongiorno”, diceva Cesare Zavattini.
E anche io sogno un Paese e una città ˗ possibilmente la mia ˗ dove si abbassino i toni delle discussioni (politiche e non), ritorni il rispetto per gli anziani e per le donne, si dia soddisfazione ai cittadini che chiedono educatamente spiegazioni su certe decisioni cervellotiche dei propri rappresentanti (ogni riferimento alle barriere del lungomare è puramente casuale), si ceda il posto a una donna incinta, si guardi agli extracomunitari come a persone…

È chiedere troppo?
Non credo.
Anche perché, come diceva Esopo: “Per quanto piccolo, nessun atto di gentilezza è sprecato”.

E allora, buon 13 novembre a tutti!
E che sia il giorno più lungo dell’anno…

Guido Giampietro

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