May 4, 2025

Non sono mai stato convinto su un certo modo di fare politica degli ultimi anni. Lucrare sulle disgrazie altrui o sperare che accadano disgrazie ai propri avversari crea solo tifosi, incattivisce, abitua a scorciatoie, crea trasformismi. Così come non sopporto il classificare o il qualificarsi sulla base dell’esaltazione acritica del potente politico di turno o dell’avversione settaria ad esso. Ieri berlusconiani o antiberlusconiani, oggi renziani o antirenziani. Oppure in Puglia, con Emiliano o contro di esso.

 
Questo modo di intendere la politica ha formato un ceto politico spregiudicato, mediocre e opportunista, selezionato non sulla base di idee, di principi, di valori, ma solo per fedeltà, per attaccamento al potere e per i voti che si portano in dote. Anche la sinistra non è stata e non è immune.

 
I partiti, per meglio dire i simulacri che sono diventati, sono considerati ormai degli autobus su cui salire e scendere a proprio piacimento e secondo le convenienze individuali o l’interesse per le fermate più comode.

 
Tra coloro, per esempio, che a Brindisi negli ultimi anni hanno dominato la scena sono più quelli che hanno cambiato campo, partito, liste che quelli, ormai pochissimi, rimasti coerenti e impegnati sempre dalla stessa parte. E quando non bastano più i partiti si dà vita a liste civiche che con il civismo non hanno niente a che fare e che, come dei centri di raccolta e di smistamento, servono solo a consentire a chi ha i voti di utilizzarle per arrivare più comodamente nei consigli comunali (il caso di Impegno sociale è emblematico). E poi si può cambiare anche in corso d’opera.
Si dice che è il risultato della personalizzazione e della centralizzazione della politica nazionale e della spoliticizzazione di quella locale.

 
Anche in questo caso Brindisi fa storia. Il notaio Errico in un una sola tornata elettorale, che sarà ricordata per la presenza confusa e diffusa di tanti candidati in liste e coalizioni che sembravano, per la verità, tutte identiche, è riuscito a cambiare più volte campo, appoggi, collocazioni, spinto solo dal suo io e dai suoi rancori contro emiliano e il PD,partito di cui, bontà sua, deteneva la tessera (non numerata) numero uno.

 
Io dico invece che è la conseguenza della deresponsabilizzazione, della fuga dalle idee, del trionfo degli egoismi e dei protagonismi.

Rimango pertanto convinto che la paura del confronto, la comoda rimozione o l’assenza di punti di vista diversi sul mondo, sulla vita delle persone, sul lavoro, sui diritti e la dignità dell’uomo, è alla base della crisi della politica. Essa nasce anche di qua, dalla mancanza di idee e di valori senza i quali a prevalere è solo la ricerca di posizionamenti individuali e di convenienze.

 
I continui cambiamenti di casacca, lo stare con disinvoltura, ieri da una parte ed oggi dalla parte opposta, vengono giustificati ricorrendo ad un senso comune, comodo per un certo ceto politico e costruito sul concetto che non esiste più destra e sinistra. Questa concezione ha determinato una convinzione diffusa, anche se portatrice di guasti politici profondi: quello che conta è la persona e non le idee o i programmi. Quello che conta è il potere da gestire sempre e comunque.

 
La politica è intesa e vissuta ormai come occasione per essere premiati e ricompensati. Un vecchio dirigente del PCI mi disse una volta che la militanza, l’impegno politico è “un sacrificio senza speranza di premio”. Altri tempi!
Credo, però, che si sia passati da un eccesso ad un altro,  dalle ideologie e dalla loro rigidità fideistica, da quel tipo di militanza, alla fedeltà e alla tifoseria attorno ad una persona e al potere.

 

Adesso, dopo il ventennio di Berlusconi è di moda Renzi, il suo governo e le sue alleanze e, per molti, la sua sopravvivenza.

E’ l’ora dei renziani e degli antirenziani. Le divisioni e le differenze si valutano non per le idee o per i giudizi sulla attività o le scelte del governo ma sulla base del “con chi stai”. E, secondo i momenti e le condizioni determinate dalla gestione del potere, il ceto politico e chi vuole “impegnarsi” a fare politica, si colloca per essere premiato o ricompensato.

E se poi il potere si trasferisce da una persona ad un’altra, si trova il modo, con facilità e disinvoltura, per passare ad un’altra lista o ad altro partito, per stare assieme a chi era considerato, fino a ieri, nemico, corrotto, irresponsabile, cattivo politico e amministratore inaffidabile.

 

Anche qui, Brindisi fa scuola.

 

Basta dare uno sguardo alla composizione della vecchia e nuova amministrazione e ai candidati che componevano “tutte le liste” delle ultime elezioni.

A soffrire è sempre più la politica che così diminuisce la sua credibilità aumentandone il discredito.

 

Se poi a governare o ad amministrare o ad essere eletti rimangono sempre gli stessi e’ evidente perché il cambiamento è diventata la parola più usurata, la meno credibile e la più lontana dal suo stesso significato. Ben oltre il tanto richiamato Tommaso di Lampedusa con il suo Gattopardo.

 
La politica potrà riscattarsi solo, se cercherà un contatto vero e nuovo con i cittadini, nelle realtà in cui si vive, si lavora e si studia.

La politica è prima di tutto una relazione umana; se si riduce solo a un prodotto di marketing, a convenienza, a gestione clientelare del potere, smarrisce la sua anima più profonda e nobile.

 

Solo un lavoro lungo e tenace può ridare dignità alla politica.

 

Un lavoro che il PD e la sinistra anche a Brindisi dovrebbero iniziare a fare con rigore, capacità inclusiva e coraggio senza aspettare o sperare che accada qualcosa….

 

Carmine Dipietrangelo

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