May 5, 2025

COME ERAVAMO, NOI GENERAZIONE DEGLI ANNI ‘60
Viaggio alla ricerca delle cose, delle storie e delle emozioni vissute sotto la dolce ala della giovinezza
di Gabriele D’Amelj Melodia

 

 

 

II – E COMINCIO’ A SOFFIARE IL VENTO DI UNA NUOVA CULTURA…

bob-dylanMentre la generazione dei nostri fratelli più grandi aveva subito l’influenza culturale francese, piena di suggestioni intellettuali esistenzialistiche (Camus, Sartre, Prévert, Greco), noi sentimmo il nuovo vento della beat generation che proveniva dagli Sati Uniti, e ci innamorammo subito d i quei malinconici cantori che proponevano struggenti ballate aventi per tema la natura, la libertà, l’amore… Bob Dylan e Joan Baez, con il loro spleen ecumenico, rappresentarono le colonne sonore per noi adolescenti in cerca di idoli di riferimento, e la scoperta di quella musica fu il naturale pendant alle nostre furiose letture di autori americani, scelti per soddisfare l’insaziabile sete di scoprire il mondo, ma anche per reazione alle letture canoniche che la scuola ci imponeva.

Stanchi di certo Foscolo, di certo Manzoni e di tutto Carducci.
lezioni-americane1A questo proposito urge aprire una parentesi su un concetto base di visione letteraria e tu, amico lettore, sopporta il mio volo, ché il divagar m’è dolce in questo mare…

Alcune poesie appartengono alla sfera storica e non classica. Molti testi sono tecnica, artificio, accademia, condensato di saperi, hanno soggetto e magari ispirazione genuina, ma difettano di ciò che è necessario perché siano definiti “classici”.

Per cominciare, non hanno il magico fascino della “leggerezza”, una delle prerogative d’eccellenza individuate da Italo Calvino nelle famose “Lezioni Americane”.

Calvino la individuava nella poesia di Cavalcanti, di Dante, di Leopardi, io ci aggiungerei anche quella presente in opere come la Primavera del Botticelli o quella che si diffonde dalle note di Mozart , dando una percezione di tersa aria alpina, di spazi aerei pieni di grazia e di ossigeno… Quel tipo di composizione aulica e sempre retorica difetta poi di musicalità, di ritmo giusto. Che non deve essere cadenzato e galoppante, legato alla contingenza del gusto dell’epoca,(Soffermati sull’arida sponda/volti i guardi al varcato Ticino /…mammamia!), ma deve avere i requisiti più consoni della universalità e dell’attualità, incluso quello di una metrica dolce e fluente.

Classico è per definizione ontologica ciò che penetra il tempo, per arrivare, con La sua precipua valenza diacronica e in tutta la sua originaria lucentezza, alle generazioni che seguono, sempre suscitando le medesime emozioni e passioni. Così è per la lirica di Callimaco, di Saffo, di Catullo, di Ovidio, di molte opere di Dante e di Petrarca, fino ad arrivare a Leopardi, a Lorca, a Bodini o a Neruda.

La poesia nasce legata al canto, con i rapsodi, gli aedi, i trovatori, i menestrelli. Versi come “ dolce e chiara è la notte e senza vento sono” e resteranno immortali ( non solo il polisindeto è una chiave emotiva portentosa, ma anche la sola vocale “e” iniziale agisce sempre come un formidabile lubrificante poetico), si pensi all‘incipit de “Alle fronde dei salici” :… “E come potevamo noi cantare, col piede straniero sopra al cuore…”Divino Quasimodo, tu ci illumini di immenso, potrei dire rubando la bella immagine all’ amico-rivale Ungaretti. Il “geometra” di Modica, autodidatta dal cuore d’oro, seppe reincarnarsi nei lirici greci che tanto bene tradusse.

 
letture-anni-60Noi liceali degli anni ’60 leggevamo il siciliano, premio nobel nel 57, come leggevamo Pavese e il sempre verde Prévert, il maudit che cantava Barbara, la pioggia su Brest , le foglie morte e l’amour tout court. “Questo amore” fu il nostro inno dell’adolescenza, lo imparavamo a memoria per stupire e affascinare le ragazze, per rubare loro un bacio e una carezza.

La nostra brama di novità letterarie era continua, peregrinavamo nelle biblioteche a caccia di testi allora non facilmente reperibili, come il “Giovane Holden” di J.D. Salinger, il libro-manifesto del nuovo pensiero e del neolinguaggio giovanile, quello che poi avrebbe influenzato anche Arthur Fonzarelli (Fonzie), mitico personaggio della serie “Happy Days” andata in onda per oltre un decennio sulle nostre reti nazionali. Era un romanzo di formazione, un bildungroman, come lo erano stati le Candide di Voltaire o l’Huk Finn di Mark Twain.

Noi lo leggevamo e lo commentavamo tra amici e ci chiedevamo, proprio come il giovane ribelle protagonista del romanzo “Ma dove vanno a svernare le anatre, quando i laghi sono ghiacciati?”.

Domanda pretestuosa, retorica, che abbracciava tutta la nostra santa insicurezza sui pericoli della vita e sul nostro futuro, graficamente disegnato come un grande punto interrogativo.

 

210103nazionaliavantarriere1Nico, che c’hai ‘na fumosa?” chiedevo al mio amico migliore, pur sapendo che lui comprava quelle orribili “Mentolo” che erano le anti sigarette per eccellenza. Allora lui tirava fuori con delicatezza una bustina dalla tasca interna del giubbotto e me la allungava, tutta stazzonata e un po’ storta, e l’accendevo con un Ronson fuffato a mio padre, e aspiravo con voluttà, anche se quell’aroma mi disgustava.

 

Io fumavo Esportazioni senza filtro (in tempi di magra anche Nazionali o Sax), ma quando avevamo una ragazza per le mani su cui fare colpo, ci buttavamo sulle Mercedes o sulle Muratti, acquistate addirittura in pacchetto da dieci perché non si vendevano sfuse.

Poi riprendevamo la discussione del momento che poteva vertere su Kerouc e il suo “On the road”, sull’ultimo happening di Allen Ginsberg o sull’ultimo disco di Tenco. Ma anche sul gol mancato da Zigoni o sulle tette di Rosella, la bonazza della III C (allora le ragazze non si chiamavano Ilary, Sue Helen o Romina, ma più semplicemente Maria Grazia, Annina, Carmela, Rosa).

 

jayne-mansfield-marilyn-monroeUna delle ragazze dei miei diciassette anni fu Concetta, una bruna rotonda e maggiorata che angosciò piacevolmente le mie notti per molti mesi, prima di dare parziale ristoro risarcitorio alle mie bramose sofferenze.

Oh Concetta dalle bianche braccia e dai generosi seni d’alabastro a stento contenuti da certi reggipetto da balia ( quelli che avevano i gancetti sull’avanti anziché sul retro) un po’ demodé ma molto efficienti, i tuoi baci erano iberici (“La spagnola sa amar così/tutta la notte e il dì), le tue cosce un inferno paradisiaco, ( ecco che si incarna l’ombra di Pablo Neruda, tradotto proprio da Quasimodo: “Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,…. corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo”) , le tue forme perfettamente in linea con “l’estetica della maggiorazione” allora in auge. Seducente Jane Mansfield, diva dalle abbondanti grazie, quanti esercizi spirituali ho fatto sulle tue immagini!

Erano pagine sottratte dallo scollacciato A.B.C. che noi sbirciavamo dal barbiere, in attesa di essere rapati (e nel frattempo restavamo arrapati).

 
pantaloni zampa d'elefanteIntanto, sul piano del costume, c’era stata la rivoluzione epocale della minigonna lanciata nel ‘65 da Mary Quinn a Carnaby Street, London, e arrivata da noi l’anno seguente. Furoreggiava anche il bianco/nero dello stilista parigino Courrèges (ora tornato di moda), i pantaloni da uomo alla Celentano (zampa d’elefante), la basetta lunga e quel tipico taglio di capelli che in seguito avremmo rivisto nel ’91, portato dai giovani albanesi che sbarcarono a Brindisi.

 

Naturalmente ci fu anche il fenomeno “Beatles”, i quattro “scarafaggi” partiti da Liverpool alla conquista del mondo. La loro era una musica sdolcinata, romantica, orecchiabile. L’esatto contrario di quella dei “Rolling Stones”, che rotolavano pietre, rock duro e concetti molto trasgressivi. Subito ci dividemmo in due schieramenti opposti, non si poteva essere allo stesso tempo fan dei Beatles e dei Rolling. Parecchie furono le litigate, poi magari si faceva pace e si andava a bere un “Peroncino” al bar.

 

 

Se si avevano cento lire e c’erano femmine intorno, allora si ciondolava verso il juke box e si digitavano brani piuttosto forti, insoliti, tanto per fare colpo sulle mammifere in ascolto.

Io sceglievo sempre “Good Vibrations” e “Barbara Hann” dei Beatch Boys ( i più grandi vocalist di sempre), mentre il terzo brano lo riservavo ad una canzone-terremoto, allora poco conosciuta, almeno nel mio bar. Si trattava di “Surfin’ Bird ”, cantata e ballata dai The Trashmen… adrenalina allo stato puro, che spesso mi faceva cuccare fanciulle bene in carne e appetitose.
ragazze-anni-60  Allora le giovincelle non erano proprio dei giunchi flessuosi come spesso sono ora, però avevano una caratteristica che quelle di oggi si sognano.

Erano bollenti come una stufa e in più, quando si ballava, aderivano perfettamente al nostro giovane corpo, dalla guancia alle ginocchia. Si usa dire “un maglione aderente”, beh, le femmine di quegli anni avevano un aderenza incredibile. Visto che sono caduto in una forte digressione, vi svelo un segreto.

Una certa Anna, da me concupita e, dopo tanto sudati assedi posseduta, una delle prime volte che l’avvolgevo in un ballo di veglione (diranno i nostri giovani: ma che cos’era mai ‘sto veglione?, scusate ma ricordo anche il brano, era “La notte” di Adamo), ad un certo punto, smettendo di leccarmi l’orecchio, mi sussurrò con perfetto accento di Carbonara “Oh, è un pacchetto di Muratti dure quello che c’hai in tasca o sei contento di stringermi tra le braccia?”).

In pratica la simil battuta di quella attribuita a Mae West e passata alla storia del cinema (“E’ una pistola quella che hai in tasca o sei solo contento di vedermi?). Ah, il flusso di incoscienza, quanti spropositi mi fa confessare!

 

Sul piano della cronaca tragica, poi diventata storia, c’ è da registrare il suicidio di Luigi Tenco, avvenuto nel gennaio 1967. “ Non posso vivere in un mondo che fa andare “Io tu e le rose” di Orietta Berti in finale”, lasciò scritto su un biglietto trovato vicino al corpo nella sua stanza dell’hotel Savoy di Sanremo.

 

universita-bariMacedonia di pensieri, ricordi, dolci sogni e duri risvegli, come quello dello scioccante golpe dei colonnelli che avvenne nella vicina Grecia. Era l’aprile del 67. A Bari scoppiò una mezza rivoluzione.

All’Ateneo il movimento studentesco si attivò subito. Ci furono assemblee, appelli, scioperi, tutto un fermento di indignazione e protesta appoggiato dai più coraggiosi professori dell’epoca, inclusi i docenti del “Flacco” Michele D’Erasmo, Peppino Recapito, Fabrizio Canfora ( il papà di Luciano).

 

Purtroppo Bari era anche una piazza fascista e presto scoppiarono disordini e spedizioni punitive non sempre impedite con tempestività dal Questore allora in carica. Quel clima di tensione durò molti anni, in parallelo con i primi empiti sessantottini e sfociò poi tragicamente nell’omicidio di Benedetto Petrone, giovane militante comunista, avvenuto in piazza Prefettura il 28 novembre del 1977. (continua)

 

Gabriele D’Amelj Melodia

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