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Anche il più duro dei miscredenti non lo lascerebbe mai intendere. Neppure sotto tortura. Ma un pensierino ad un posto in Cielo, magari defilato, in galleria “ridotti”, lo fa anche lui.
Eccome se lo fa! Si tratta solo di trovare la strada, magari la meno faticosa ed impegnativa per guadagnarselo.
Tobia il giovane (personaggio dell’Antico Testamento e protagonista dell’omonimo libro deuterocanonico) così si esprimeva: “Dei tuoi beni fa elemosina. Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio. La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi: se hai molto, da’ molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare tra le tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo” (4, 7-11).
Non so se Tobia possa condividere la mia idea, ma io penso che un modo per guadagnarsi un posticino nell’aldilà ci sarebbe.
Ad escogitarlo, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ci ha pensato l’inventiva dei napoletani. Ma, ancora di più, il loro cuore.
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“Na tazzulella ʼe caffè acconcia a vocca”.
Una tazzina di caffè ˗ dicono i napoletani ˗ addolcisce la bocca e, talvolta, anche l’anima.
E così ecco riesumare l’antica usanza del “caffè sospeso”, grazie al quale il signore benestante paga alla cassa due caffè, ma poi al banco ne beve solo uno. Del secondo ne potrà fruire il poveraccio (termine oggi desueto perché sostituito da sottoimpiegato, disoccupato, cassintegrato, esodato…) che non può permetterselo. Sarà sufficiente che, entrando nel bar, chieda sottovoce se per caso c’è un caffè sospeso. Oppure che dia un veloce sguardo alla lavagnetta sulla quale il gestore del locale tiene il conto dei “sospesi”.
Questa notizia (così appare a prima vista) può intenerirci o farci sorridere perché rimanda al clima di stenti di una Napoli così ben descritta dal grande Edoardo De Filippo e, ancora prima, da Scarpetta.
Purtroppo non c’è tanto da meravigliarsi perché quella Napoli è ritornata.
In effetti è tutto il Paese che, a causa della crisi, si è “napolizzato”.
Così il bisogno di fruire della generosità altrui ha aggiunto alla ritrosia di chiedere un pasto caldo alla Caritas, anche quella di far fare al barista un semplice caffè sospeso.
E ˗ si badi bene ˗ non si tratta di elemosina!
Non è quello che Fëdor Dostoevskij, nei “Demoni”, fa dire a Varvara Petrovna: “L’elemosina è un piacere presuntuoso e immorale, è il piacere del ricco per la sua ricchezza, per il suo potere e per il confronto della sua importanza con l’impotenza del miserabile…”.
Francamente non credo che chiedere se c’è un “sospeso” sottintenda, per chi lo offre e chi l’accetta, un giudizio così duro.
Qui non ci troviamo di fronte a quelli che Milan Kundera (ne “La lentezza”) defin