Sovente con l’avvicinarsi del Natale ci capita di pensare alle sofferenze ed alle malinconiche situazioni di cui questo mondo è fin troppo colmo.
Poi, un giorno, un amico mi chiede, durante una passeggiata ed un caffè, del nostro magnifico “Castello di terra”…egli sa che, esauritasi la sua funzione primaria, fu anche bagno penale e che ha quindi, custodito prigionieri che di certo non godevano di condizioni favorevoli, impensabili e improponibili ai giorni nostri.
Poi mi dice :”Chissà tra i tanti chi c’è stato…quali soffrenze avrà patito…altro che Natali avrà trascorso…ci sarà stato qualche personaggio famoso? Tu conosci qualche storia a tal proposito?”
Sorrido, e mi rendo conto che è sempre tanto ciò che ignoriamo della nostra ricchissima storia…io stesso, quando leggendo scopro qualcosa di nuovo mi torna alla mente sempre la stessa inesorabile domanda :”com’è possibile non riuscire a valorizzare tutto ciò?”
In ogni caso, rispondo al mio amico sempre con un sorriso :”Certo che c’è…ti racconterò una storia che la maggior parte dei brindisini ignora…naturalmente avrai letto da ragazzo e visto qualche film sul Conte di Montecristo…”, lui mi guarda e mi risponde :”Bè, assolutamente…chi non conosce la Storia o visto un film sul famoso romanzo?”.
“Ti sembra abbastanza famoso come personaggio?”…E qui inizia la VERA storia…
Pochi sanno che il famoso scrittore francese Alexandre Dumas padre, ha trovato ispirazione per il suo bellissimo romanzo da una storia vera…precisamente dalla storia di suo padre Thomas Alexandre Davy de La Pailletterie, noto in Francia come “General Dumas” o “Diavolo nero”, poiché egli era era mulatto, in quanto figlio di un marchese francese e di una schiava “africana” di Haiti, detta la femme du mas (la donna della masseria).
Il “Général Dumas”, era un uomo dal carattere fiero; coraggioso in battaglia, grande condottiero, alto, figura imponente, formidabile spadaccino, il primo vero Generale di colore della storia, da cui il soprannome di cui sopra.
Il suo vero nome, infatti, non era quello con cui divenne universalmente famoso…essendo in disaccordo con il proprio padre, appunto il marchese, ne ripudiò il titolo nobiliare e il cognome e assumendo invece il cognome, anzi il soprannome, della madre (Du-mas, appunto).
Inoltre, non approvando la politica imperialistica di Napoleone, fu di conseguenza imprigionato per insubordinazione.
Dumas fu amico e ammiratore di Giuseppe Garibaldi; addirittura, saputo che Garibaldi era partito per la Spedizione dei mille, lo raggiunse per mare, fornendogli, con i soldi messi da parte per il suo viaggio, armi, munizioni e camicie rosse. Fu testimone oculare della Battaglia di Calatafimi, che descrisse ne I garibaldini, pubblicato nel 1861. Era al fianco di Garibaldi anche il giorno dell’ingresso dell’Eroe a Napoli.
Ma come si collega il suo nome alla nostra città vi starete chiedendo? E’ semplice.
I rapporti tra Dumas e Napoleone, parecchio complicati, passarono dal sostegno all’ostracismo. Napoleone nominò Dumas generale d’armata, ne elogiò pubblicamente l’abilità guerriera e poi ne troncò la carriera escludendolo dall’esercito.
Durante la campagna d’Egitto, ormai in rotta con Napoleone, Dumas lasciò Alessandria con la corvetta La Belle Maltaise .
Il 7 marzo 1799 s’imbarcò insieme a una quarantina di feriti francesi, al generale Jean-Baptiste Manscourt du Rozoy, al geologo Déodat de Dolomieu, scienziato che otto anni prima aveva scoperto la dolomite: questo nuovo minerale avrebbe poi dato il nome alla catena montuosa.
La Belle Maltaise era un ferrovecchio.
Quando le prime falle cominciarono ad aprirsi durante una tempesta, Dumas fu costretto ad alleggerirla gettando in mare viveri, acqua, palle di cannone, cordame, perfino il carico di caffè e una parte degli undici cavalli arabi che aveva portato con sé.
La navigazione incerta della corvetta consigliò di puntare la prua su Taranto, l’approdo più vicino. Dumas pensava di trovarci le bandiere francesi.
Due mesi prima, il 21 gennaio, i rivoluzionari appoggiati dai francesi avevano cacciato dal trono re Ferdinando, sicché Taranto, da città del regno di Napoli, era diventata una repubblica.
Vide però sventolare in porto le vecchie bandiere napoletane affiancate da inediti vessilli su cui, all’emblema dei Borboni, era sovrapposta una croce, perché in due mesi la neonata repubblica era già caduta lasciando Taranto sotto il controllo dell’esercito della santa fede capitanato dal cardinale Fabrizio Ruffo.
L’accoglienza rude di Taranto consegnò Dumas alla prigionia e ai due anni peggiori della sua vita.
Quando era arrivato, Dumas era un uomo possente, forte. Ne uscì a pezzi.
Ne uscì vivo, ma distrutto.
Fu salvo dopo l’armistizio di Foligno, firmato il 18 febbraio 1801 tra le truppe francesi e quelle del re di Napoli.
L’unico a tendergli la mano fu Murat.
Trasferito a Brindisi e poi ad Ancona, Dumas poté tornare poi in Francia.
Al periodo Tarantino/Brindisino s’ispirò successivamente il figlio per il suo immortale romanzo.
Il figlio Alexandre, il 28 agosto 1846, un anno dopo l’uscita dei Tre Moschettieri (nal quale la figura del padre s’incarna in quella di Portos…), pubblicò sul Journal des Débats la prima puntata del romanzo Il Conte di Montecristo e in quelle pagine affiorò la storia del papà, il generale Thomas-Alexandre Dumas.
Nel Conte di Montecristo Edmond Dantés, a bordo del Pharaon , torna a Marsiglia dove l’attendono il matrimonio con Mercedes e la nomina a capitano.
Dantès viene invece imprigionato nello “Chateau d’If” e riesce a fuggirne 14 anni dopo impossessandosi del tesoro sepolto nell’Isola di Montecristo.
La prigionia a Taranto aveva cambiato la vita del generale Alex Dumas.
Napoleone ne soffriva la popolarità e probabilmente ne detestava l’indipendenza.
Questo carattere, che spesso ha caratterizzato molti personaggi della storia, ha sempre urtato col potere costituito, e le conseguenze han creato, nello scorrere del tempo,tanti Edmond Dantés.
Incarnando Edmond Dantés (e Dolomieu nell’abate Faria), Dumas volle regalare al padre una postuma, immaginaria vendetta che egli, nella vita reale, non ebbe mai.
Una sorta di risarcimento per ciò che egli aveva patito ed in cui, ancora una volta, s’inserisce il nome di Brindisi.
Marco Martinese.
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