May 25, 2025

Con una certa frequenza a Brindisi si ripropone la istituzione di una “Zona Franca” senza che tra un annuncio e un’altro si faccia un passo in avanti e qualche approfondimento.

Una cosa e’ il desiderio e un’altra cosa è la realtà.

Il tempo che passa tra questi periodici annunci non serve ai proponenti per studiare, per conoscere e per darsi una spiegazione al motivo che alla proposta non abbia mai corrisposto una risposta e una iniziativa.

 

L’altro giorno, su iniziativa del consorzio Asi e in pompamagna, tutti i soggetti che interagiscono e si sovrappongono in materia portuale, non fidandosi, in molte occasioni, l’uno dell’altro, hanno fatto una conferenza stampa per presentare per l’ennesima volta la istituzione della zona franca sul/del porto di Brindisi.

Già in partenza la confusione sembra regnare sovrana, la proposta è dell’Asi ma ad attuarla dovrebbe essere l’autorità portuale. E questo fa il paio con la proposta di piattaforma logistica senza alcuna copertura finanziaria presentata sempre dall’Asi ma il cui progetto è, sembra, a carico dell’autorità portuale.

Misteri della finanza pubblica degli enti di secondo grado e su cui la Corte dei Conti farebbe bene ad aprire gli occhi.

 

Non volendo apparire come colui che non vuole la zona franca e che rema contro gli interessi della città, ho cercato di capire il motivo per cui serve a ben poco rivendicare la zona franca quando non si conoscono ne’ i vincoli e ne’ le procedure necessari per avviarla.

 

Una prima questione intendo evidenziare: proporre oggi una zona franca senza fare i conti con un piano della logistica e della portualita’ vuol dire solo che si vuole fare propaganda. Non a caso se qualcuno si va a leggere le varie ipotesi di riforma delle autorità portuali apprende che anche queste (comprese le eventuali nuove autorità portuali) sono inserite nel piano della portualita’ e della logistica.

Una impostazione questa che ha un senso e che purtroppo in questi anni i vari governi in carica hanno messo in discussione attraverso la “legge obiettivo” a cui si è fatto ricorso con la famosa struttura di missione di grande attualità in questi giorni e con la quale opere varie hanno modificato lo stesso piano generale dei trasporti e della logistica.

 

Parlare di zona franca del porto senza un piano della logistica non ha senso, così come progettare una ennesima opera pubblica come la piattaforma logistica non solo non si trovano i finanziamenti pubblici ma si rischia di dilapidare risorse. Non a caso la piattaforma logistica presentata non ha trovato ancora i finanziamenti. Quando lo capiremo che finanziamenti al di fuori di una compatibilità e di una sostenibilità non sono più possibili?

La proposta di infrastrutture e quella della zona franca sono sostenibili se si inseriscono innanzitutto nel piano di azione europeo per la logistica. È poco utile rivendicare e progettare se non c’è una chiara indicazione politica da parte dell’UE; non ci può essere una logistica localistica o di paesello.

 

Le interconnessioni in materia sono forti e di una certa dimensione. Basti pensare al sistema ferroviario. I treni merci nel sud non possono superare 500 metri di lunghezza a fronte degli 850 della Germania e dei 1000 della Francia dal sud al nord. Per questo,visioni localistiche rischiano di emarginare il sud,i suoi porti, compreso quello di Brindisi. Fino a quando l’Italia non si dota di un piano della logistica e della nuova portualita’, in coerenza con la impostazione del piano di azione europeo della logistica e senza affrontare le strozzature che inibiscano l’intermodalita’, tutte le proposte locali sono destinate solo alla propaganda dei proponenti e a rimanere nei cassetti degli enti dove ci sono altri progetti inutili e non fattibili.

 

Per quanto riguarda la zona franca come spazio doganale libero da imposizioni fiscali bisogna ricordare che il codice doganale comunitario all’articolo 3 afferma che sono territorio doganale tutte le parti della Repubblica Italiana escluse Livigno e Campione d’Italia. Con l’articolo 155 dello stesso codice si dispone che gli Stati membri dell’Unione possono destinare alcune zone della comunità zone franche. È allora possibile avere nuove zone franche a condizione che l’Italia chieda e ottenga la modifica dell’articolo 3 del codice doganale europeo.

Ma ad oggi nessun governo del nostro paese ha avanzato questa proposta, malgrado che in parlamento sono state presentate decine di proposte di legge in materia e a sostegno di molte zone franche.

 

Lo strumento con cui nel mondo e nel mediterraneo si cerca di di attualizzare e rendere più competitive le vecchie zone franche sono le Zone territorialmente limitate chiamate ZES (zone economiche speciali).

Le ZES sono state realizzate in vari ambiti territoriali anche in Europa nelle aree a basso tasso di sviluppo. Solo l’Italia non lo ha fatto e non ha nemmeno avviato le procedure presso l’UE per attivarle.

Le ZES si basano su due leve: una finanziaria e una territoriale amministrativa.

Quella finanziaria dipende dal governo e dal suo rapporto con l’UE. Per poter avviare le ZES, concordandone con l’UE le caratteristiche di aiuti di stato per aree svantaggiate, è necessario specificare gli ambiti territoriali e temporali per i quali si chiede che le aziende operanti abbiano l’abbattimento dei diritti doganali, delle imposte dirette e/o indirette degli oneri sociali.

La leva territoriale riguarda le semplificazioni amministrative e l’unificazione dei servizi,la disponibilità degli spazi per le aziende. In questo caso le decisioni dipendono dalle regioni e dal governo. Il governo deve tracciare il quadro complessivo e con le regioni individuare l’interlocutore territoriale. L’UE non c’entra nulla. Decidere un interlocutore unico per la zona franca significa dipanare il nodo che grava sui porti e che a Brindisi significa, autorità portuale,consorzio ASI,capitaneria di porto,dogana,comune,ministero,Regione, enti e soggetti che hanno sovrapposizioni di competenze.

La leva fiscale è difficile da azionare e ottenere presso la UE, ma non è impossibile.

La leva territoriale è tutta di competenza italiana. Varie iniziative legislative sono state presentate in parlamento. Bisognerebbe trasmettere le proposte ZES all’UE, avviare e chiudere in tempi brevi la trattativa. Al contempo le regioni e il governo dovrebbero cominciare a definire chi debba essere l’interlocutore e il gestore unico delle ZES. Bisogna fare presto,il tempo non gioca a nostra favore.

 

Nel mediterraneo ci sono porti e ZES già pronti.

Logistica e zone economiche speciali non prevedono proposte confuse e approssimative ma serietà e concretezza progettuale che possono avere solo sbocco in una politica nazionale ed europea. E se non vogliamo vanificare questa ennesima proposta brindisina bisogna inquadrarla in una procedura corretta e nella politica nazionale e regionale della logistica e della portualita’.

Materia, allora, per i nostri parlamentari e per i prossimi consiglieri regionali, con la speranza che le politiche della logistica, dei trasporti e della portualita’ non siano gestite più con le modalità e la intermediazione discrezionale del “vecchio” ministero delle infrastrutture, del suo armamentario procedurale e di collegamento con gli uomini del passato e con quelli che sono stati cooptati negli anni recenti.

 

Carmine Dipietrangelo
Presidente Left Brindisi

One Comment

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    aldo
    23 Marzo 2015

    Quado Alcide De Gasperi dal balcone delle poste in Piazza della Vittoria annunziava una zona industriale con una superfice destinata a scalo Franco
    Dalla stampa ho appreso che dovrebbe sorgere sulla banchina di Costa Morena una zona franca per la movimentazione delle merci, un’area senza pagare dazi d’importazione e senza applicare imposte.
    Il progetto fortemente voluto dal Consorzio Asi di Brindisi oltre che dal Comune e dall’Autorità portuale di Brindisi che potrebbe offrire un’opportunità concreta al territorio ed alle aziende.
    A tal proposito mi permetto rammentare alle Autorità responsabili quanto da me a loro inviato il 9 novembre 2008, con oggetto. “Lo scalo franco nel porto di Brindisi”
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    Siamo nel 1844, sotto il governo borbonico, quando iniziati i lavori per la costruzione della banchina centrale prospicente le Colonne del Porto, Ferdinando II, con apposito decreto, prevede al punto « 3°, L’impianto di uno scalo franco e la concessione di considerevoli aggevolezze ai negozianti; ed al punto 4°, L’edificazione di un deposito franco ».

    Nel 1846 volendo constatare di persona lo stato dei lavori dello scalo, Ferdinando II viene in visita a Brindisi. Venuto a conoscenza che « reconditi motivi tenevano sospese le opere… egli di persona rivolto al mare, col progetto in mano allo sbocco della via Maestra » (attuale giardinetti marina con Capitaneria di Porto), indicò, sulla sponda opposta (attuale Banchina Feltrinelli), le opere da realizzare per l’edificazione del deposito franco.

    Viene pertanto istituito lo Scalo Franco che consentiva di immettere nel deposito di Brindisi, ogni produzione, merce e manifattura straniera, con alcune esclusioni comprese le « carte da gioco ». (Decreto reale del 29 ottobre 1844).
    Ma i lavori ordinati, per sopragiunte le note vicende politiche, sono sospesi nel 1848.

    Per chiedere il ripristino dei privilegi borbonici, si rendeva necessario poter disporre di uno strumento idoneo allo scopo, con Decreto Prefettizio n. 1607 del 20.12.1949 è costituito tra l’Amministrazione Provinciale, la Camera di Commercio ed i venti Comuni della Provincia, il « Consorzio del Porto di Brindisi » ente di diritto pubblico a norma della legge Comunale e Provinciale 03.03.1934.

    Venne così approntato il progetto per la realizzazione di una zona industriale in località Perrino, con metà della superfice da destinare a «punto franco».
    Fu il Presidente del Consiglio On. Alcide De Gasperi, con affianco l’all’ora Presidente dell’Amministrazione Provinciale, Senatore Dott. Antonio Perrino, che dal balcone della posta centrale, annuncia ai brindisini la istituzione della zona industriale
    Con la legge n. 1295 del 04.11.1951 è istituito il punto franco a Brindisi nell’area in contrada Perrino, prospiciente il seno di levante del porto, stabilendone i confini le agevolazioni e le modalità di accesso, i valichi e tutto quanto necessario per una simile struttura.

    Sono due gli articoli della legge che si ritiene evidenziare:
    Art. 9 – Nulla è innovato alle disposizioni del Codice di Navigazione o delle altre leggi e regolamenti, relativo all’uso delle aree pertinenti al Demanio pubblico marittimo ed all’esercizio della polizia marittima. – Restano pure ferme le disposizioni della Legge 1 giugno 1931 n. 886, relativa al regime giuridico delle proprietà in zone militarmente importanti.
    Art. 10 – L’Amministrazione e la gestione del punto franco è affidata al Consorzio del Porto di Brindisi.

    Il Punto Franco non ebbe poi, in quanto tale, il successo che si sperava, ma l’iniziativa valse a valorizzare le strutture portuali e fare emergere le grandi possibilità che il porto custodiva.
    23 marzo 2015 – Aldo Indini Cultore di Storia locale