Una premessa è d’obbligo prima di affrontare un argomento che trasuda arroganza e fame di giustizia, gossip e pietas.
Dice Dante nel Canto XIX del Paradiso (vv. 79-81): «Or tu chi se’ che vuo’ sedere a scranna / per giudicar di lungo mille miglia / con la veduta corta di una spanna?» (Ora chi sei tu che vuoi ergerti a giudice e sentenziare a mille miglia di distanza, con la vista che a malapena arriva a una spanna?).
No, non intendo ergermi a giudice nella vicenda “Fabrizio Corona”.
Il mio intervento, in attesa delle decisioni finali della magistratura, vuole limitarsi a un riassunto di cronaca, non certo a una anticipazione di sentenza. Meno che meno a giudizi moralistici. E allora perché parlarne? Perché richiamare alla mente quella che è stata la filosofia di vita di questo personaggio mediatico può tramutarsi in un invito alla riflessione. Specie da parte dei suoi fan.
Sottolineo “riflessione” e non vuoto chiacchiericcio da talk show!
Inizio dall’ultimo atto della vicenda. La Cassazione, qualche giorno fa, ha revocato la decisione (del febbraio 2014) del gip del Tribunale di Milano in base alla quale, applicando la “continuazione dei reati” accumulati dall’ex fotografo in pochi anni di autentica follia, il cumulo della pena totale era sceso da 13 anni e 2 mesi a 9 anni. Niente sconto di pena, dunque e, per di più, Corona viene condannato al pagamento delle spese processuali.
Precedentemente c’era stata la richiesta della madre affinché al figlio venisse concessa “solo” una grazia “parziale” di due anni e sei mesi. In tal modo si sarebbe cancellato il reato ostativo di estorsione ai danni del calciatore Trezeguet e sarebbe stato possibile l’accesso a una pena alternativa.
La richiesta era stata formalizzata l’8 dicembre u.s. allorché il diretto interessato, attraverso l’avv. Ignazio La Russa, aveva scritto al Presidente Napolitano chiedendo questa grazia parziale. Nelle more della definizione della pratica (spetta al magistrato di sorveglianza valutare il comportamento del detenuto, cui si aggiunge il parere del Ministro della Giustizia) il Presidente della Repubblica si è intanto dimesso…
In sostegno dell’ex re dei paparazzi, viene anche lanciato l’hashtag #penaalternativapercorona e don Mazzi dichiara che lo accoglierebbe nella sua comunità Exodus (dove è già presente Lele Mora, a suo tempo compagno d’avventure di Corona).
Intanto, il 22 gennaio, il Tribunale del Riesame di Milano prendeva in considerazione la richiesta di detenzione domiciliare presentata dai suoi avvocati, basata su ragioni di salute. Corona soffre di una psicosi (attacchi di panico, crisi d’ansia e depressive), si è chiuso in se stesso e non esce più dalla cella. Insomma, manifesta inequivocabilmente una incompatibilità con il carcere.
Secondo il medico ha una personalità “narcisistica” e “borderline”. Il primo disturbo lo fa sentire superiore alle altre persone dalle quali ha bisogno di essere ammirato e per le quali non ha quasi nessuna sensibilità. Il secondo gli fa provare emozioni eccessive e variabili.
Ma quali sono i reati per i quali Corona dovrebbe scontare una pena così severa? Sinceramente tanti, troppi, per questo giovanottone che, con le sue guasconate, ha riempito le cronache gossip degli ultimi tempi.
Diciamo che è stato condannato in via definitiva (c’è però da dire che mai Giustizia, in Italia, è stata più celere!) per aggressione a pubblico ufficiale, estorsione e tentata estorsione, estorsione aggravata e trattamento illecito dei dati personali, detenzione e spaccio di banconote false, detenzione e ricettazione di una pistola, violazione di domicilio, appropriazione indebita, falso, corruzione, bancarotta ed evasione fiscale…
Per meglio definire il quadro della personalità del soggetto, a questi reati passati in giudicato dovrebbero aggiungersi i comportamenti privati non sempre insindacabili quali i rapporti burrascosi con note donne dello spettacolo, la partecipazione “taroccata” al reality show “La fattoria” (sembra che sapesse benissimo quando sarebbe uscito dal gioco), l’insuccesso dell’affidamento in prova ai servizi sociali (poi revocato), la latitanza di sei giorni a Cascais, la dichiarazione d’essere una sorta di Robin Hood moderno “che prende ai ricchi, ma per dare a se stesso”…
Tolstoj diceva che «dov’è un tribunale è l’iniquità». È questo il caso di Corona? Si può ipotizzare un fumus persecutionis nei suoi confronti? Va be’, parcheggiava le sue supercar in doppia fila. Guidava senza patente. A proposito di George Clooney dichiarava: «Sono più bravo. E poi lui è gay, io sono bisessuale»…
Ma è giusto che questo moderno latin lover, questo esemplare dell’italica sfrontatezza debba trascorrere tanti anni in carcere? Quando chi ammazza entra ed esce dalle patrie galere in men che non si dica?
E la sua affermazione “Si sta giocando con la mia vita” potrebbe insinuare il dubbio? Non quello che prende le mosse dal digesto giustinianeo (In dubio pro reo), ma un’incertezza più umana, ad uso e consumo dell’uomo della strada.
“Dura lex sed lex” diceva Domizio Ulpiano. E su questo siamo d’accordo. Ma perché la lex è dura, e soprattutto veloce, con lui? Forse che l’alone di machismo e di macchina da soldi che lo ha portato agli onori (si fa per dire) della cronaca ha finito d’ingenerare tra la gente comune dapprima giudizi invidiosi e poi una vera e propria intolleranza per una furbizia troppo votata al male?
Contro questa “persecuzione” della giustizia si è dapprima levata la madre. Ma viene spontaneo chiedersi dov’era (non solo lei, ma tutta la famiglia) quando il figliolo turbolento veniva bocciato all’esame di maturità per aver apostrofato un professore “ciccione e omosessuale”? E dov’era in tutto il lungo arco di tempo in cui il ragazzo, divenuto oramai giovane uomo palestrato, dileggiava i codici e metteva sotto i piedi le norme del bon ton?
Visto che le lamentazioni materne non hanno sortito l’effetto voluto, si è ricorso, da ultimo, alla richiesta dell’accertamento psichiatrico. Un atto doveroso considerato che già da un po’ Corona si trova, nel carcere milanese di Opera, in un regime di “grande sorveglianza” al fine di evitare possibili gesti inconsulti contro la sua stessa persona.
C’è da pensare che le critiche condizioni di salute (ove accertate) apriranno di nuovo la porta all’affidamento ai servizi sociali. Rimane da augurarsi che questa volta il provvedimento possa dare i suoi frutti.
Qualunque sarà l’epilogo giudiziario della vicenda, credo che si dovrà considerarla con la lente della umana pietà. Ma non quella cui si riferisce Balzac quando afferma: «Il sentimento che l’uomo sopporta più difficilmente, soprattutto quando lo merita, è la pietà. L’odio è un tonico, fa vivere, ispira la vendetta, mentre la pietà uccide, rende ancora più debole la nostra debolezza».
La pietas di cui parlo, invece, deve nascere dalla tenerezza e non dal disprezzo, dalla comprensione e non dalla chiusura tout court. Perché, dietro la maschera dello spaccone e del ribelle, si sta rivelando una personalità forse deviata, ma sicuramente fragile.
Guido Giampietro
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