“La decisione unilaterale di Eni-Versalis di chiudere i cracker di Brindisi e Priolo, confermata oggi, rappresenta un colpo durissimo alla sovranità industriale del Paese, con conseguenze devastanti per l’occupazione, la filiera chimica e la tenuta produttiva di interi territori. L’Italia diventa così il primo e unico Paese europeo a rinunciare alla produzione di etilene, elemento essenziale per la chimica di base e per settori chiave come automotive, packaging, biomedicale e costruzioni”. È quanto dichiarano il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo e il segretario generale della Filctem Cgil Marco Falcinelli a commento dell’audizione di oggi dei vertici di Eni davanti alla X Commissione della Camera dei Deputati.
“Questo avviene mentre l’Unione Europea sta lavorando a un ‘Critical Chemical Act’ che individua tredici molecole fondamentali da continuare a produrre all’interno dell’Unione, tra cui proprio l’etilene, ritenuto strategico per la competitività e la sicurezza industriale europea”, spiegano i dirigenti sindacali. “Inoltre, la Commissione europea prevede di includere la chimica di base nel meccanismo CBAM, il sistema di tassazione dell’impronta carbonica dei prodotti importati da Paesi terzi, proprio per evitare delocalizzazioni ambientali e industriali. L’Italia si pone così in contraddizione frontale con la strategia industriale europea, esponendosi a nuove dipendenze e penalizzazioni economiche”.
Per Gesmundo e Falcinelli “questa scelta non ha nulla a che fare con la decarbonizzazione. La chiusura dei cracker italiani comporterà un aumento complessivo delle emissioni di CO₂, a causa della necessità di importare etilene e derivati da Stati Uniti e Asia. Il trasporto su lunga distanza e il maggiore impatto ambientale dei processi produttivi esteri renderanno il bilancio climatico della decisione non solo negativo, ma profondamente incoerente rispetto agli obiettivi di transizione ecologica”. Inoltre, aggiungono “senza cracking, l’Italia, oggi prima in Europa per capacità di riciclo delle plastiche, rinuncia anche alla possibilità di sviluppare il riciclo chimico di questi materiali, una filiera strategica, innovativa e a basso impatto ambientale”.
“È gravissimo – sostengono il segretario confederale e il segretario generale Filctem – che le scelte di politica industriale non siano assunte dal Governo nell’interesse generale del Paese, ma delegate a una società partecipata dallo Stato che agisce prioritariamente secondo la logica degli azionisti e dei dividendi”.
Infine, “le dichiarazioni di Eni in merito a un presunto disimpegno della chimica di base in Europa sono fuorvianti. Si cita la messa in vendita di cinque impianti da parte di Basell come sintomo di crisi del settore, ma la realtà è ben diversa: quattro impianti su cinque sono stati acquistati, a testimonianza di un interesse industriale concreto, e l’unico rimasto senza acquirente è quello di Brindisi, proprio a causa della chiusura del cracking Eni, che ha reso insostenibile l’approvvigionamento della materia prima per potenziali investitori”.
I dirigenti sindacali ricordano che “le esperienze precedenti – Porto Marghera, dove per altro sono in corso scioperi unitari di tutte le organizzazioni sindacali, Porto Torres, Gela – dimostrano che le promesse di investimenti e reimpieghi fatte da Eni non sono state rispettate, lasciando dietro sé carenze occupazionali, perdita di competenze e desertificazione industriale”.
“Serve con urgenza un intervento pubblico deciso – concludono Gesmundo e Falcinelli – che metta in campo una strategia nazionale per la chimica di base, coinvolga nuovi soggetti industriali e utilizzi strumenti di politica industriale (come CDP o Invitalia) per difendere un settore che è strategico per l’autonomia produttiva, ambientale e tecnologica dell’Italia”.
COMUNICATO STAMPA CONGIUNTO CGIL NAZIONALE, FILCTEM CGIL
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