Gli eventi storici degli ultimi mesi mi hanno persuaso a fare delle riflessioni sulla mitezza.
Andando a ritroso ricordo: l’attuale guerra tra Ucraina e Russia; la rielezione di Mattarella; il bellissimo saluto della giornalista Elisa Anzaldo a David Sassoli, l’ex Presidente del Parlamento europeo, definito “il mite europeista”; l’incidente diplomatico nel 2021, tra Erdogan e la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen; la pandemia del Covid19 ed altro. Sono tanti i temi che affollano le menti e che destano le nostre preoccupazioni.
In questi giorni assistiamo alla guerra sempre più aspra tra Russia e Ucraina, osserviamo le tensioni tra Russia e Nato. Continuano i tentativi diplomatici, si cerca una negoziazione, preoccupa la situazione delle Borse, l’aumento dei prezzi, la fornitura del gas, etc.. Fino a qualche settimana fa a spaventare il mondo erano anche le eventuali guerre tra Israele ed Iran e tra Cina e Taiwan, attualmente invece si teme un conflitto planetario. L’economia mondiale era già in ginocchio per varie vicissitudini e questo conflitto non ha fatto altro che peggiorare la situazione danneggiando molti, per questo i nostri politici invitano alla calma.
Tutti abbiamo guardato sconcertati alla settimana folle del Quirinale, dove ogni venti minuti si proponeva un nome da candidare come Presidente della Repubblica, cartina di tornasole di una società alla deriva dove l’unica soluzione possibile è stata quella di rieleggere nell’ottava votazione Mattarella, certo una persona degna, ma ormai pronta al pensionamento; interprete di questa società si è fatto carico del fardello di governare questo paese, aprendo un’agenda molto impegnativa; sono stati tanti gli slogan passati sui social a tal proposito. La sua rinomina ha visto applaudire il suo discorso fondato sulla “dignità” ben cinquantacinque volte (un numero che potrebbe far impressione o far ridere) fino alla stucchevolezza, perché in fondo ha rappresentato una delle poche speranze su cui appoggiarsi. Tutti aspiriamo alla stabilità del nostro paese, alla dignità di chi ci rappresenta, ad una figura politica autorevole con garbo e all’unità politica nel prendere decisioni importanti.
Nell’encomio funebre a David Sassoli abbiamo ascoltato come egli con la tenacia della gentilezza, con l’ostentazione del rispetto che aveva per gli altri, con la fermezza dell’educazione, con lo sfinimento del dialogo, con la forza della prudenza, con la dirompenza della sua mitezza, abbia sfondato in politica muri di gomma, dimostrando che queste virtù ritenute apprezzate in altre epoche e ancor meno in politica fossero lontane; invece, egli ha saputo dimostrare il contrario.
Ricordiamo tutti il gesto discriminatorio e lo sgarbo istituzionale di Erdogan ad Ursula von der Leyen, che ha pesato sui rapporti tra Turchia e UE. La reazione di Ursula in quella occasione, come ha scritto un giornalista, è stata “mite, ma ferma, pacata, ma determinata, tollerante, ma coraggiosa, esplicita, ma non polemica”. È rimasta mite dinanzi alle provocazioni, ha tenuto il tono basso e ha lasciato parlare i fatti.
Tutti abbiamo anche chiaro nella mente il ricordo del primo lockdown, le scene agghiaccianti viste in TV e anche in quel caso bisognava rimanere lucidi, miti, per ponderare le scelte più giuste da prendere. La pandemia ha rappresentato una sfida per tutti i paesi democratici del mondo e a tal proposito sono molti ad asserire che sia stato il covid a sconfiggere Trump. Questa pandemia ci ha messo di fronte a tante sfide, abbiamo potuto osservare tanti fenomeni che si sono scatenati, abbiamo visto la libertà personale che ci ha messo in pericolo e ha messo in pericolo anche gli altri. Abbiamo potuto fare delle considerazioni sull’egoismo, sul senso dell’onnipotenza, sullo sguardo dominante, sull’aggressività dei giovani, sulla solitudine, etc..
Questi esempi ci inducono a pensare come nei casi di conflitto la mitezza ci desta ad affrontare un dialogo chiarificatore, cercando prima di tutto di mettere da parte i pregiudizi, di esporre il proprio punto di vista con umiltà, di ascoltare con attenzione, comprendere la prospettiva dell’altro e avere veramente la volontà di risolvere il conflitto. Lo spirito della mitezza ci spinge a superare l’offesa, lo sgarbo, l’inganno subiti, con la correzione fraterna. La mitezza si oppone a ogni forma di prepotenza materiale e morale; è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione.
L’uomo mite usa con moderazione l’eventuale potere, sceglie di non usare la costrizione e la prepotenza, preferendo la persuasione e il calore dell’amore. L’uomo mite malgrado l’ardore dei suoi sentimenti non è possessivo.
Se dovessimo cercare questo vocabolo in un dizionario troveremmo che si intende un “comportamento o atteggiamento ispirato a un senso di paziente e benevola umanità”. L’etimo indica un punto esattissimo di equilibrio, l’istante di perfezione del frutto, dolce, né acerbo né molle.
Una persona mite ha un carattere dolce, umano, gentile, disposto all’indulgenza; il mite è soave, piacevole, fiducioso, umile e temperato. Mitiga l’ira e la collera. Non serba rancore, non è vendicativo. Mantiene la propria compostezza e disponibilità. Il mite è rispettoso, cortese, saggio, pacato e accetta di subire anche un torto se questo significa preservare interessi e vite di altri; egli non è indeciso o remissivo, non è neanche arrogante e borioso, è lontano dagli eccessi e dalla violenza.
Il mite non infierisce, ma cerca soluzioni. Si sforza di moderare i suoi impulsi, i suoi scatti di nervi, i suoi sfoghi. Ma se da un lato bisogna essere pronti a raffreddare l’ira per cose che riguardano il proprio io, di fronte al peccato pubblico o privato, senza cadere in eccessi di arroganza e fanatismo, in alcuni casi è necessario partecipare all’ira o almeno all’indignazione.
La mitezza caratterizza i rapporti fra gli uomini, essa è donazione verso l’altro e non tolleranza; non va confusa con la modestia o con l’essere pavidi o rinunciatari; non è prevaricazione dell’altro, ma è rispettare la dignità del prossimo. Non è bonarietà. È il contrario della sopraffazione e della protervia. Una persona mite non ostenta neanche la propria mitezza. Il mite esprime se stesso e non lo fa a discapito dell’altro. Qualcuno la definisce anche come un incrocio di sorriso e ironia.
La mitezza nella società contemporanea viene spesso concepita come indizio di passività e debolezza. Ma in realtà il mite è il “giusto”, è colui che è anche paziente in quanto non chiede o non pretende nulla per sé, perché sempre si dispone ad esser soggetto alla volontà del prossimo o di Dio. Dunque, se il mite è il giusto, è evidente che egli non possa compiacersi del male e non può essere indifferente alle numerose iniquità del mondo. La mitezza si veste anche di grande forza e franchezza quando si tratta di contestare l’ipocrisia e la malevolenza per far trionfare la verità e la giustizia. Quindi il mite non è vile, indolente, pigro o apatico.
Lo storico della filosofia Remo Bodei precisa in un suo volume che la mitezza, in senso proprio, va intesa come giusto mezzo tra l’iracondia e l’eccessiva calma o flemma, queste ultime possono rappresentare un distacco psicologico e spirituale talmente accentuato dalle cose o dai fatti della vita da poter sfociare persino nell’indifferenza e nell’ignavia.
Quindi la mitezza non è una forma di quietismo o di indifferentismo psicologico ed esistenziale; questa non va neanche confusa con il mansueto e docile riferito agli animali ammansiti. Il mite non è uno sprovveduto, ma uno che volontariamente si pone in una certa maniera di fronte alle provocazioni della vita quotidiana.
Come scrive Papa Ratzinger: “… i conquistatori vanno e vengono. Restano i semplici, gli umili, coloro che coltivano la terra e portano avanti semina e raccolto tra dolori e gioie. Gli umili, i semplici sono, anche dal punto di vista puramente storico, più duraturi dei violenti. Quindi c’è una fondata ragione storica e antropologica per considerare desiderabile e ammirevole la mitezza”.
Bisogna essere passati per molte amarezze per capire che la violenza compresa quella morale e ideologica è alla fine perdente. Il mite-giusto è sempre dalla parte degli oppressi e dei deboli e non mancherà di stigmatizzare comportamenti personali e sociali di peccato e strutture arbitrarie e violente di potere politico ed economico.
Viviamo in un mondo pieno di abusi e soprusi, dove la gente si agita freneticamente per occupare posti di potere o visibilità sociale, per affermarsi, opprimendo e sfruttando il prossimo. Quindi bisogna che ci si arrabbi con le persone giuste, nella giusta misura e per una giusta causa. Come riteneva san Gregorio Magno, bisogna essere molto più comprensivi verso l’ira per zelo che non verso l’ira per vizio.
Come è stato osservato da Norberto Bobbio il mite “non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di confliggere e alla fine di vincere”. Non è cedevole e remissivo, perché non rinuncia alla lotta per debolezza, per paura o rassegnazione, ma si distacca dai beni e dalla cupidigia. Egli afferma che la mitezza è attiva mentre la mansuetudine è passiva.
La mitezza non è remissività e umiltà, ma è un atteggiamento, è una donazione, una disposizione d’animo. Oggi la mitezza vuol essere una reazione alla società violenta in cui viviamo.
Quando Bobbio afferma che questa virtù non può appartenere alla politica, egli intende nell’eccezione machiavellica di lotta senza limiti per il potere e considera complementari “la semplicità e la misericordia”. Comunque non è condivisibile eticamente e politicamente quando egli afferma che si tratta di una Virtù non politica e addirittura l’antitesi della politica, ma si deve sperare di far avanzare la mitezza nel mondo politico per migliorare i meccanismi perversi, per ottenere modalità più umane, più civili e più fraterne. La consapevolezza che questo mondo è pieno di negatività non è motivo di desistenza e di fuga dal mondo politico, ma motivo di resistenza e di lotta per migliorare la vita.
E mentre Bobbio ricorda nel Principe che i due animali simbolo dell’uomo politico sono il leone e la volpe, quindi il “mite” agnello non può essere un animale politico, Giuliano Pontara ricorda invece politici estremamente miti come Gandhi e Martin Luther King, la lotta non violenta degli insegnanti norvegesi al regime nazista nel 1942, le lotte non violente contro i regimi comunisti da parte di tanti intellettuali sovietici, la lotta non violenta in Cecoslovacchia nel 1968, la lotta di Solidarnosc in Polonia, le lotte non violente in America Latina, quella contro l’apartheid in Sud Africa, etc.. Sono metodi di lotta che tendono ad umanizzare, invece di disumanizzare l’oppositore, la mitezza in questo modo diventa forza e non rappresenta una rinuncia ad ogni lotta concreta contro l’ingiustizia.
In Occidente la mitezza compare come un valore nella predicazione di Gesù nel Vangelo secondo Matteo (5, 5; 11,29) ed è considerata da San Paolo uno dei frutti dello Spirito Santo (Lettera ai Galati, 5,22). La mitezza secondo il Vangelo su questo punto in linea con l’Etica nicomachea di Aristotele è inscindibile dal coraggio, altro che inerzia, codardia o viltà, come molti erroneamente pensano. Nell’eccezione cristiana e laica è vincere il male con il bene.
La mitezza che è la terza beatitudine per i cristiani è un atteggiamento che noi oggi riteniamo impopolare e le attribuiamo anche una sfumatura negativa.
Jacques Dupont ritiene la mitezza l’affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo, una carità attenta nei riguardi altrui.
Attraverso questa virtù è possibile costruire un nuovo volto della società. Occorre una grande attenzione verso coloro che sono più deboli, che sono dei miti per natura perché incapaci di difendersi. Non si tratta di mitezza falsa, ipocrita e superficiale, cioè l’impegno di ciascuno a comportarsi in modo mite e benevolo per ottenere in questo modo qualcosa dagli altri, persuadendo a fare quello che è più opportuno per noi e mantenendo buoni rapporti di facciata per quieto vivere. Non si tratta di moralismo.
Il filosofo Roberto Mancini nel parlare di mitezza, considera necessaria “una maturità interiore e una sicurezza che sono il frutto di un cammino educativo estremamente curato e, in definitiva, di una compiuta conversione. … La mitezza è la profezia di un altro mondo nel cuore del mondo che conosciamo”.
Alla base di tutti i rapporti fondamentale è il modo di intendere la fraternità, Giovanni Salonia afferma che “… L’idea della felicità ottenuta negando o zittendo il fratello si può rintracciare sia nelle grandi scelte della polis come nelle piccole scelte dell’oikos familiare o comunitario”, dal punto di vista teologico il progetto di Dio è innanzitutto il custodirsi reciprocamente.
Secondo Wenin bisognerebbe “trarre il bene dal male, trasformando l’invidia in desiderio e la gelosia in fraternità, per rendere certa la vittoria della vita”.
Purtroppo, in linea con Gianfranco Ravasi, l’uomo sembra rimanere affascinato dal mostro della violenza. Violenza che possiamo osservare ovunque: tra i popoli, nelle città, nelle scuole, nelle famiglie, nelle immagini, nel linguaggio, nei giochi. E l’aggressività distruttiva, problema della società, comincia con la lingua.
L’intera umanità necessita di cambiamenti partendo da ciascuno di noi. Non bisogna cadere nell’avidità. C’è necessità di un cammino di umanizzazione, perché viviamo in un mondo dominato dagli egoismi, dalla competizione, dalla rivalità, dalla prepotenza, dalla paura d’essere giudicati, prevaricati, emarginati, giudicati dei falliti se non lottiamo in maniera dura.
Negli ultimi decenni c’è una spiccata consapevolezza che la politica, come il resto della società, deve cercare non solo un dialogo ma un nuovo linguaggio dato dalla mitezza. Sul rapporto tra morale e politica si è sempre discusso e si dovrebbe continuare a farlo attivamente. È un cammino in salita, non facile, ma dev’essere una meta e una speranza, perché il giusto equilibrio giova a tutti. La mitezza, virtù per eccellenza è da praticare anche in politica, perché la gentilezza dei costumi diventi una pratica che renda più abitabili le nostre città. L’uomo “politico” nel senso di uomo della “polis”, dovrebbe pensare e agire eticamente, non dovrebbe decidere posponendo gli interessi della collettività ai propri. L’obiettivo politico della pubblica felicità è un miraggio, ma almeno si dovrebbe proporre la mitezza come antidoto alla politica distruttiva. Ci si auspica in politica il mite come anticipatore di un mondo migliore, perché la mitezza deve contrassegnare soprattutto chi svolge un ruolo di guida e anche in campo educativo è migliore la forza persuasiva della ragione che non i metodi coercitivi.
Per gli antichi greci la politica è tecnica regia, scienza del bene che mira a realizzare, attraverso l’azione pratica, il giusto mezzo fra gli eccessi della vita pubblica, fra i principi contrapposti e i diversi interessi di una società complessa.
In un mondo dove c’è la gara a chi urla di più, a chi è più forte e appare di più, il mite resta calmo e va avanti, sapendo di realizzare e realizzarsi anche sui tempi lunghi. Bisogna imparare a gestire le proprie emozioni.
Purtroppo, nella letteratura manageriale il mercato è sempre e solo descritto come un campo di battaglia. Sembrerebbe che nel mondo degli affari le virtù definite da Bobbio “deboli”, cioè mitezza, temperanza, moderazione, umiltà, modestia, sobrietà, innocenza, ingenuità e dolcezza non abbiano importanza, eppure nella vita sociale e civile le virtù deboli sono molto importanti e ci auspichiamo un po’ di sapienza e saggezza.
Anche se la storia ci ricorda con Gandhi ed altri che questa umanizzazione è possibile, spesso costoro sono considerati solo degli eroi da favola, che non riguardano le varie emergenze come le migrazioni, la delinquenza, la follia omicida che fa stragi di donne. A livello politico la gente comune, in preda a paure di vario genere, chiede sicurezza, giustizia severa, il rigore e la certezza delle pene.
Il filosofo Roberto Mancini in un suo scritto afferma che per far fronte al male senza farsene contagiare abbiamo bisogno di forze di guarigione, quali il coraggio, la misericordia, la speranza, la compassione, il perdono, la libertà solidale e responsabile, la cura educativa. E conclude così il capitolo sulla mitezza. “Promuovere le condizioni culturali, educative, economiche, sociali e politiche per la scelta della mitezza da parte di comunità, popoli, governi è una delle opere più urgenti nel tempo presente”.
Negli anni sono state tante le riflessioni fatte tra mitezza e politica, parola chiave del nuovo lessico politico. Si ritiene sempre che il capo carismatico debba essere prepotente e debba avere atteggiamenti arroganti. Il riferimento è sempre a Il Principe di Machiavelli e mai anche a L’educazione del principe cristiano di Erasmo da Rotterdam.
Come afferma papa Francesco questa società è piena di ombre che fermano le buone intenzioni, spesso i buoni governanti subiscono pressioni dal contesto e c’è una sorta di impotenza politica. Ma bisogna essere caparbi nell’ottimismo anche in politica. Qualcosa comunque bisogna farla, la politica è risolvere insieme i problemi degli altri, l’indifferenza non è un’opzione come insegnava Don Milani. L’aggressività sociale va educata ed è necessario far trionfare la mitezza come “civiltà”, affinché si contrapponga alla distruzione l’edificare.
Dott.ssa Anna Cinzia Gatti
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