“Il Giorno che Verrà” è tra i 10 documentari più visti al “Green Unplugged Film Festival”. Il primo per visite tra i film europei.
Questa piattaforma web intercontinentale, gratuita e di libero accesso, giunta ad interessare la cifra record di 64 milioni di utenti, da circa 50 giorni ha avviato un festival planetario per promuovere la consapevolezza ed il rispetto della Terra, luogo che abitiamo transitoriamente e che merita maggiore cura e attenzione.
L’opera “Il Giorno che Verrà” è stata pensata e realizzata per essere un manifesto, un simbolo della più grande lotta oggi in corso sul nostro pianeta.
Una lotta che, come tutti i conflitti, genera morte. Una lotta spesso strisciante e silenziosa. Una lotta impari che vede, purtroppo, su opposti fronti le grandi multinazionali soprattutto dell’energia e della chimica, e le popolazioni, le comunità locali sottomesse e colonizzate in nome del mero profitto economico.
La battaglia per la difesa dell’ambiente, della natura e della salute dei popoli dovrebbe essere combattuta in maniera univoca da tutti gli esseri umani, indistintamente; invece la continua competizione economica, il potere del denaro, la sfrenata ricerca del benessere a tutti i costi, spostano gli equilibri, fanno perdere di vista i valori alla base della vita dell’uomo, di ogni uomo.
“Il Giorno che Verrà” è un piccolo esempio paradigmatico di come una comunità possa essere sottomessa ed ingannata con costanza e calcolo per mantenere elevati gli standard produttivi delle grandi società industriali.
Questo documentario non piace a tante persone.
Non piace alle industrie, richiamate alle loro responsabilità e negligenze oggettive nella gestione della salute dei propri lavoratori e del territorio nel quale insistono e operano.
Non piace ai politici, incapaci di anteporre la moralità ed il bene comune alle ovvie lusinghe ed offerte economiche provenienti dai grandi gruppi industriali, sicuri di risolvere le loro mancanze con interventi di superficie in grado di distrarre la pubblica attenzione.
A questo proposito, i settori privilegiati, nei quali si possono ottenere massimi risultati (di consenso popolare) con il minimo sforzo (economico) sono sempre i medesimi: lo sport (basket, calcio, tennis, ginnastica, vela, ecc…), l’intrattenimento, la cultura e gli spettacoli dal vivo (la stagione teatrale, i festival, le sagre, la musica, ecc…), la comunicazione (inserzioni sulle maggiori testate cartacee e on line; la pubblicità diretta e indiretta in qualsiasi forma e su qualsiasi supporto; gettoni di presenza, inviti, facilities varie ai giornalisti, addetti stampa, responsabili della comunicazione per specifici eventi pubblici e manifestazioni) e la scuola (visite guidate agli impianti, concorsi a premi “green”, borse di studio, corsi di apprendistato professionalizzante).
Di conseguenza, “Il Giorno che Verrà”, non è piaciuto o è stato volutamente ignorato da molti (non da tutti, per fortuna…) giornalisti, critici cinematografici e non, manager e operatori culturali, opinionisti, (meglio non parlare dei…) sindacalisti, operatori sociali, insegnanti, professori, intellettuali piccoli, medi e grandi…
Eppure, dal momento in cui è stato pensato, girato e poi reso pubblico, tanti sono stati i cambiamenti sociali ed economici che hanno riguardato il territorio analizzato e i temi trattati.
Il film ad esempio, si occupa direttamente e indirettamente di “carbone”. Nell’ultimo mese (con più forza che in passato) questo combustibile fossile è stato al centro di una campagna mediatica planetaria che ne evidenzia la nocività sulla salute dell’uomo, grazie agli interventi pubblici di due tra i più importanti leader della Terra: Papa Francesco, autore dell’enciclica ambientalista “Laudato Si'”; e Barack Obama, promotore della campagna “Clean Power Plan” per la riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera.
Che cosa ha generato nel mio Paese, in Italia, questa importante riflessione sul clima, sulle fonti di energia, sull’ambiente?
Al momento, pochi, timidi segnali: un paio di interviste del Ministro dell’Ambiente, un commento del Presidente della Repubblica, non pervenuto il Presidente del Consiglio.
Forse perchè il sistema energetico nazionale si basa per la maggior parte sull’approvvigionamento da fonti fossili?
Forse perchè le nostre maggiori multinazionali della produzione energetica e chimica (Enel/Eni) supportano e sostengono buona parte del sistema culturale e mediatico italiano?
Ci sono ormai tonnellate di pubblicazioni scientifiche internazionali che attestano la nocività per la salute dell’uomo dei sistemi tradizionali di produzione industriale con l’utilizzo di combustibili come il carbone, o il petrolio.
Possibile che non si riesca ad attivare nel nostro Paese un serio dibattito per l’avvio di una nuova rivoluzione industriale che tenga in dovuta considerazione anche i più recenti studi scientifici per la tutela della salute pubblica?
Perchè i nostri grandi artisti, intellettuali, scrittori non parlano (tranne rarissime eccezioni) di questo che è “il tema”?
La crisi economica, il disagio giovanile, il ritardo del mezzogiorno, sono tematiche importantissime, ma ritengo indissolubilmente connesse a questo argomento basilare: la necessità di programmare con serietà e lungimiranza il futuro economico/industriale del nostro Paese rispettando l’ambiente e la salute delle persone.
Il nostro sistema di produzione industriale è oggettivamente obsoleto.
L’esempio più citato è l’ILVA di Taranto.
Ma nessuno (tranne “Greenpeace” con decisione, “Legambiente” e “WWF”, timidamente) parla di Brindisi, perchè?
Ho visto numerosi programmi televisivi, documentari, artisti, intellettuali, denunciare, schierarsi al fianco della popolazione tarantina. Perchè la stessa mobilitazione non avviene per i brindisini, per i leccesi?
Eppure (i pochi) numeri a disposizione sono molto preoccupanti.
L’Agenzia Europea dell’Ambiente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli studi del Centro Nazionale delle Ricerche non possono essere sminuiti o trattati come documenti “politici”, messi in circolazione con l’unico scopo di demonizzare la produzione industriale ed il suo indotto. Questa prospettiva, questa distorsione della realtà consente ai soggetti interessati (ed in mala fede) di mantenere vivo il dualismo, il conflitto tra industria e ambiente, tra lavoro e salute.
Non avendo sufficienti strumenti per affrontare questa problematica su scala nazionale, ritorno al microcosmo che conosco meglio.
Brindisi, la mia città, luogo in cui è ambientato “Il Giorno che Verrà”, area ad alto rischio ambientale (per Decreto Presidenziale e Ministeriale, per l’Agenzia Europea dell’Ambiente) con una zona industriale grande 3 volte la superficie urbana abitata, continua ad essere (purtroppo) paradigmatica da questo punto di vista.
Negli ultimissimi anni, l’Enel, proprietaria della Centrale Termoelettrica alimentata a carbone più importante d’Italia, messa sotto pressione da una piccola parte dell’opinione pubblica, ha reagito con grande prontezza e scientificità mediatica, raddoppiando, triplicando i finanziamenti allo sport, all’intrattenimento, alle attività sociali del territorio brindisino. Recentemente è arrivata addirittura ad offrire un sostegno economico al limitrofo Comune di Torchiarolo (il più vicino alla Centrale “Federico II”) per incentivare l’istallazione dei filtri per camini domestici, ritenuti dall’ARPA Puglia responsabili dei continui sforamenti per eccessive emissioni da PM10, le polveri sottili potenzialmente cancerogene…
Sempre di recente L’Enel, sotto processo per dispersione di polvere di carbone in atmosfera, dopo oltre 20 anni di esercizio, si è decisa a costruire due cupole coperte che sostituissero l’enorme carbonile scoperto (capacità 750 tonnellate), collocato a ridosso della Centrale di Cerano. Una gigantesca macchia nera, visibile però solo dall’alto, che costituisce il più grande bacino di rifornimento carbonifero del nostro Paese.
I passi in avanti fatti non sono dunque trascurabili…
Anche l’Eni, con la sua centrale a turbogas e l’impianto di “cracking” all’interno del Petrolchimico, costruito negli anni ’60 a poco più di un chilometro e mezzo dal centro abitato di Brindisi, ha provato a darsi da fare. La strategia di comunicazione del colosso a sei zampe è opposta rispetto ai cugini elettrici. Sotto inchiesta per aver bruciato rifiuti industriali tossici, scaricandoli direttamente in atmosfera (e quindi sulla città di Brindisi e Lecce) attraverso le torce dell’impianto, se l’è cavata con una piccola multa da circa 100 mila euro, ritornando a “sfiammare” ed inquinare con strafottente continuità. La cosa incredibile è che, dopo oltre 50 anni di attività, ancora oggi non sia possibile istallare dei misuratori che possano effettivamente controllare con continuità le emissioni in atmosfera provenienti da questi impianti.
L’Eni ha mostrato il medesimo “disinteresse” nei confronti della zona “Micorosa”. Una distesa di 50 ettari costituita da 1,5 milioni di metri cubi di fanghi e scarti industriali con valori di arsenico, cloruro di vinile ed altre sostanze tossiche, 4 milioni di volte superiori ai limiti di legge.
Un’area a ridosso degli stabilimenti Eni (peraltro inserita, ironia della sorte, in un Parco Naturale Regionale) utilizzata fino agli anni 90 dal colosso multinazionale come discarica per le proprie attività industriali. Avendo ceduto il terreno ad una società fallita, l’Eni si è “sbarazzata” del problema, risultando agli occhi della legge del tutto estranea alle operazioni di bonifica necessarie.
Qui, il passo in avanti è stato che il Governo di Roma ha inserito nel contestatissimo decreto “Sblocca Italia”, uno stanziamento di 48 milioni di euro (il più alto esborso di denaro pubblico contenuto nel testo legislativo) per bonificare la suddetta zona Micorosa.
A riguardo, la cronaca ci segnala una piccola “anomalia”. Quando il Comune di Brindisi ha indetto la gara per l’assegnazione dei lavori, il soggetto vincitore del bando pubblico si è aggiudicato l’appalto con un ribasso del 74% rispetto alla cifra disponibile: una risibile “stranezza” passata, anche questa, nell’indifferenza generale.
Ma, alla fine, a chi vuoi che interessino queste quisquilie…?!
Seguendo “la Mappa” realizzata da Pierpaolo Petrosillo, uno dei protagonisti del ” Giorno che Verrà”, vorrei segnalare l’altro impianto a carbone presente nella floridissima zona industriale brindisina, la centrale “Edipower”.
La notizia positiva, in questo caso, è che la crisi economica ha messo fuori mercato la produzione energetica proveniente da questa industria che durante il 2013 ha deciso di fermare gli impianti. In realtà, la centrale “Brindisi Nord” avrebbe dovuto fermarsi, vista la sua obsolescenza e pericolosità per la salute pubblica, già nel 2004. Ma, sappiamo bene come funzionano le cose da queste parti, è inutile stare lì a sottilizzare…
Insomma, dopo varie vicissitudini finanziarie, vendite di quote alla Multiutility A2A, i grandi, nuovi dirigenti della società con sede a Milano si sono presentati a Brindisi con un fantastico piano industriale che prevedeva di riattivare la centrale a carbone; riducendo però le quantità e bruciando in co-combustione un nuovo incredibile ritrovato. Un combustibile inventato e brevettato dagli scienziati dell’A2A: la fantasmagorica “ecoergite”. Cioè, in poche parole, spazzatura essiccata.
Molto, molto salutare.
Su questi argomenti, le istituzioni locali sono state (stranamente) unanimi nel condannare l’iniziativa. Attendiamo il parere definitivo della commissione tecnica di valutazione ambientale che decide il nostro destino nelle stanze romane. Sperare bene non costa nulla…
Seguendo le tracce di Petrosillo, tanti sono gli episodi di cui potremmo parlare: dalle acque del porto divenute improvvisamente “rosse” per gli scarichi della Sanofi Aventis, ai pervicaci tentativi di riattivare la Piattaforma Polifunzionale per lo smaltimento di rifiuti speciali del Consorzio Asi; dalla volontà di raddoppiare “la montagna di rifiuti”, come discarica d’appoggio, sempre in zona industriale, ai vani e (fino ad ora) inutili sforzi per ottenere un’indagine epidemiologica che consenta finalmente di accertare con precisione lo stato di salute della popolazione brindisina.
In conclusione, la battaglia per la tutela dell’ambiente e del territorio procede con grandi sacrifici, combattendo una lotta impari sia per risorse umane che finanziarie.
Resta forte però l’orgoglio di aver dato con questa opera documentaria una maggiore consapevolezza della realtà circostante ai tanti cittadini (soprattutto giovani!) che oggi guardano alla zona brindisina con occhi nuovi.
Un impegno e una diffusione della conoscenza che è ormai impossibile da arrestare.
“Il Giorno che Verrà” non è stato realizzato con l’ambizione di essere un’opera d’arte, un film d’autore.
E’ stato ideato e attuato per scuotere le coscienze sonnacchiose di molti.
Ed in questo, sento di aver raggiunto il risultato.
Il modello di riferimento è il “cinema come fucile” del maestro argentino Pino Solanas. Un paragone irriverente, magari; ma che aiuta me, e chi mi sta a fianco con amore e dedizione, a continuare a credere nel cambiamento.
Buona visione e condivisione!
Simone Salvemini
Clicca qui per il link diretto al film:
http://www.cultureunplugged.com/documentary/watch-online/play/53675
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