Dazi, calo dei consumi, cambiamenti climatici e comunicazione inefficace: il settore vitivinicolo affronta una trasformazione epocale. Il settore è in difficoltà in tutta Italia, stretto tra calo dei consumi, mutamenti climatici e nuove sfide commerciali. L’inasprimento dei dazi USA peggiora un quadro già critico. È necessario un piano di rilancio strutturale, soprattutto per le regioni più esposte, come la Puglia. L’altro ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, partecipando a un incontro a Palazzo Chigi con i rappresentanti della filiera vitivinicola, ha sottolineato la necessità di una strategia condivisa a tutela del vino italiano, oggi minacciato da pressioni internazionali, dazi statunitensi e derive proibizioniste.
Nei giorni scorsi ho sollecitato un approccio diverso alla crisi del vino. Non è solo una questione agricola o commerciale: serve un cambiamento profondo, che investa anche la comunicazione e il rapporto con le giovani generazioni. Il recente aumento dei dazi USA del 15% sul vino europeo imbottigliato e frizzante è solo l’ultima aggravante in un contesto già complesso.
Il vino italiano da tempo affronta trasformazioni strutturali: consumi interni in calo, cambiamenti climatici, dinamiche globali sempre più incerte. Tutti segnali che richiedono strategie nuove e coraggiose. E proprio in queste settimane, alle porte di una vendemmia che si preannuncia ottima per qualità e quantità, tornano a galla tutte le contraddizioni del sistema. Dopo due annate difficili si prospetta una vendemmia buona, con leggero anticipo di maturazione. Ma restano molte incognite: le giacenze in cantina — soprattutto per i rossi — sono elevate, mentre i prezzi delle uve tendono al ribasso in quasi tutte le regioni.
A pesare è anche la contrazione dei consumi, dentro e fuori casa. Anche nei ristoranti si beve meno vino, complice il ricarico (soprattutto al calice) e la crescente attenzione alla salute, alimentata da campagne anti-alcol spesso troppo generalizzanti. Il vino rischia di essere assimilato indiscriminatamente agli abusi di alcol, allontanandosi dal modello di consumo consapevole e culturale che l’Italia ha rappresentato per decenni.
A livello internazionale, le difficoltà aumentano: oltre ai dazi USA, si registra un ritorno a politiche protezionistiche in mercati strategici come la Cina e la Russia. Il quadro è chiaro: non è una crisi passeggera. Serve una strategia ampia e duratura, che rafforzi la filiera e riequilibri domanda e offerta.
Il rilancio del vino passa anche da un nuovo modo di raccontarlo e tutelarlo. Serve una promozione più incisiva, capace di restituire valore alla cultura del “bere bene”, fondata su qualità, territorio e convivialità. Ma occorre anche agire sui volumi: la questione delle eccedenze non può più essere ignorata. Esistono strumenti — come la regolazione delle rese (a partire da quelle che consentono 400 quintali di uve per vini da tavola) e la revisione delle autorizzazioni di impianto — ma servono visione strategica e coraggio.
In questo contesto, la Puglia si trova in una posizione particolarmente delicata. Con una media annua di circa 11 milioni di ettolitri, è la seconda regione italiana per volume produttivo dopo il Veneto. Ma ancora troppo vino è classificato come da tavola o IGP, e la quota di DOC e DOCG resta limitata. Questo la rende più vulnerabile alle oscillazioni del mercato e alla pressione sui prezzi.
Nel Salento, la crisi colpisce duramente le aziende che puntano su vitigni autoctoni come Negroamaro, Primitivo e Susumaniello. Le giacenze dei vini rossi sono elevate, i contratti spesso sottocosto, e anche le aziende che producono biologico e qualità faticano a ottenere il giusto riconoscimento.
A ciò si aggiunge una debolezza strutturale sul fronte della comunicazione e dell’internazionalizzazione. Troppo spesso il vino pugliese è percepito come prodotto di massa, anziché come espressione autentica di un territorio ricco di storia, biodiversità e cultura contadina.
Eppure, qui si trovano alcuni dei paesaggi vitati più antichi e suggestivi d’Europa, lungo l’Appia Antica, in contesti ideali per valorizzare il vino attraverso enoturismo, agricoltura biologica e narrazione delle identità locali.
Serve un piano nazionale di rilancio — come indicato anche dalla premier — ma che si concretizzi a livello regionale, partendo dalle aree più vulnerabili. Un piano che investa in promozione, formazione, filiera corta, ma anche in strumenti per la gestione delle eccedenze. Che favorisca aggregazioni tra produttori, accesso a nuovi canali e differenziazione dei mercati.
Oggi non basta più produrre. Occorre saper vendere, raccontare, innovare. E bisogna farlo parlando ai giovani, ai mercati emergenti, alle reti digitali. Il vino non è solo una bevanda alcolica: è patrimonio culturale, paesaggistico e sociale. È tempo di riconoscerlo come tale, e di proteggerlo con azioni concrete e coraggiose.
E la Regione Puglia? E’ chiamata a fare la sua parte evitando sprechi e finalizzando con rigore e coraggio meglio i suoi interventi nel settore.
Carmine Dipietrangelo
Amministratore di Tenute Lu spada
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