Sotto un traditore scroscio di pioggia di sapore autunnale salgo in fretta i gradini che mi separano dal porticato del Museo Archeologico Provinciale. Manca ancora qualche minuto all’appuntamento con la dott.ssa Emilia Mannozzi, così mi fermo e penso.
Penso al suo carattere schivo, intuito nel corso delle telefonate dei giorni scorsi. E mi chiedo se sarò capace di stabilire un dialogo che, al di là dei possibili mutamenti della gestione museale, faccia comprendere ai lettori anche il momento delicato che il Museo (e non solo quello) sta attraversando dal punto di vista ordinativo-organizzativo a causa di una Provincia che c’è, ma al tempo stesso non c’è.
L’ascensore che con una lentezza esasperante mi porta al secondo piano non fa altro che alimentare i timori che però, dopo una stretta di mano, si dissolvono come nebbiolina al sole ed è un vero piacere sentire parlare la Mannozzi: da architetto, da funzionario pubblico (come ama puntigliosamente definirsi), da direttrice di Museo. Cita spesso gli articoli del Decreto Legislativo n.42/2004 relativo al “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. Capisco che per lei è la Bibbia. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, direbbe Qohelet e, allo stesso modo, lei afferma: «È tutta spiegata nel Codice la politica che i vari Ministri della cultura, compreso Franceschini, stanno attuando».
Naturalmente non tralascia di parlare del “suo” Museo e delle difficoltà pratiche con cui deve combattere da quando l’è caduta sulla testa la spending review. Parla della didattica museale che cerca di privilegiare a ogni costo perché è sui giovani che bisogna fare leva per salvaguardare il patrimonio culturale.
S’inorgoglisce quando accenna all’importanza della Sezione subacquea del Museo e alle esposizioni internazionali dei Bronzi di Punta del Serrone.
Abbassa lo sguardo in segno d’impotenza e sofferenza per il momento d’incertezza che grava sul personale, anche se dal 12 luglio è tutto transitato alle dipendenze della Regione.
Ma ascoltiamo la diretta interessata:
“”Cos’è un museo? Per Andrè Malraux non è un luogo di morte ma di vita. Un luogo dove, più che immagazzinare opere fruite, si ha cura di metterle in contatto le une con le altre e, in questo contatto, di farle vivere all’infinito. L’occhio ascolta, i muri parlano… Si trova d’accordo con questa definizione?
Di alcuni uomini si è buttato lo stampo…. Sono pochi quelli che come Malraux hanno saputo sprigionare capacità visionaria. Condivido con lui il principio dell’arte come linguaggio universale dell’umanità e come testimonianza di cultura e di costume, capace di trasmettere per sempre la percezione e lo spirito di un popolo o di un artista. Tuttavia più semplicemente ritengo che nei musei si custodisce la memoria, che ci racconta il nostro passato, nella consapevolezza che non ci può essere presente senza passato e che ciascuno di noi è il risultato della propria storia.
Ancora Malraux afferma che “la sfida del nostro tempo consiste nel mettere a disposizione del pubblico le opere d’arte finora in possesso di pochi privilegiati”. Alla luce di questo pensiero come giudica il fatto che i depositi dei grandi musei siano strapieni di opere che difficilmente vedranno la luce del sole? Lei vede soluzioni alternative?
Finalmente oggi c’è una maggiore attenzione, non solo normativa, alla valorizzazione, finalizzata, ovviamente, alla pubblica fruizione. In tal senso mi risulta che il MARTA (Museo Archeologico Taranto) abbia organizzato alcune visite guidate tematiche di reperti presi dai depositi, nell’ambito delle campagne di aperture straordinarie promosse dal MIBACT, che ne prevede il sostegno economico solo per i Musei Statali. Negli altri casi tutte le spese vanno a gravare sui bilanci già traballanti degli Enti locali di riferimento. In mancanza di risorse il Ribezzo ha sempre cercato di adeguarsi con molti sforzi, ma ha dovuto fare delle scelte di priorità.
È d’accordo con la linea del Ministro Franceschini secondo cui dieci nuovi direttori saranno selezionati con un bando internazionale così che a dirigere i musei statali non saranno più solo italiani?
Ritengo che in Italia ci siano delle ottime professionalità, tuttavia se la ratio del legislatore è stata quella di prendere atto del processo di globalizzazione, forse è stato un modo per adeguarsi al fatto che molti musei stranieri sono guidati da direttori italiani.
È d’accordo che con un minimo di programmazione politica si sarebbero potuto ridurre le cadute negative che l’annunciata soppressione delle Province sta creando sulle istituzioni che dall’Ente di via De Leo dipendono?
Al Dlgs n. 56/2014 c.d. legge Delrio sono seguite varie circolari e leggi che in corso d’opera hanno snaturato le intenzioni iniziali del legislatore, tra cui quella di diminuire i costi della politica. Invece a rimetterci sono stati i lavoratori che sebbene il legislatore in fase iniziale sembrasse voler salvaguardare nelle professionalità acquisite e nei corrispettivi economici di fatto, almeno per alcuni, le cose sono andate diversamente, in termini di perdita di salari accessori e professionalità acquisite.
Come state vivendo, lei e i suoi collaboratori, il passaggio non semplice dalla Provincia alla Regione? Soprattutto, come vedete il futuro?
Se è vero che numerosi studi indicano il trasloco quale terzo principale fattore di squilibri emotivi dopo il lutto ed il licenziamento, il trasferimento lavorativo forzato dei dipendenti, aggravato da un lungo periodo di incertezza lavorativa che faceva, tra l’altro, paventare anche la possibilità di licenziamento, di sicuro è stata un’esperienza dolorosa e destabilizzante. Nonostante questo stato d’animo generale, abbiamo cercato di mantenere aperto il Museo in più occasioni possibili, durante gli approdi crocieristici, giornate particolari in allineamento alle campagne di promozione culturale del MIBACT oltre che per convegni, concerti, mostre ed eventi in genere, sempre in totale mancanza di risorse pubbliche, ma grazie alla collaborazione di associazioni di volontariato e sponsor privati. Grazie a questi ultimi, all’impegno profuso in questi anni al fine della divulgazione e promozione pubblicitaria, nonché al valore intrinseco del Museo che lo rende appetibile in circuiti nazionali ed internazionali, la rivista mensile Stil’è in edicola con il Sole 24 ore del 12 settembre, ha dedicato una intera pagina al Museo Ribezzo, come già ha fatto Repubblica, Rayanair, Freccia Rossa ed il Touring.
Faccio presente che con Legge Regionale n. 9 del 27 maggio 2016 le funzioni in materia di valorizzazione dei beni culturali e in materia di biblioteche, musei e pinacoteche, sono state trasferite, insieme alle loro sedi, alla Regione ed il personale a luglio ha firmato i nuovi contratti.
Il problema tuttavia continua a sussistere per il mantenimento delle spese di gestione degli immobili (luce, acqua, ecc), che la Regione non riesce a coprire completamente. Mi risulta che al fine di risolvere il problema siano stati avviati alcuni tavoli di concertazione con la Provincia e con il Ministero Beni Culturali e Turismo.
Tuttavia in questi giorni sono venuta a conoscenza della Delibera di riequilibrio di Bilancio n. 25 del 13 settembre 2016, approvata dal Consiglio provinciale, nella quale si dice che contributi vari e di altre ripartizioni arrivati nella casse provinciali, saranno finalizzati unicamente allo svolgimento delle funzioni fondamentali, mentre per “Turismo, Museo e Biblioteca, salvo comunicazione di copertura integrale dei costi di gestione o richiesta di volturazione delle utenze relative a energia elettrica, gas, acqua, fogna, vigilanza eccetera, da far pervenire, da parte della Regione Puglia, entro il 30.9.2016, i dirigenti competenti dovranno adottare, entro il 31.10.2016, ogni atto finalizzato ad evitare di sostenere le relative spese di gestione, ivi comprendendo la voltura/disdetta delle utenze, con conseguente chiusura delle strutture interessate”.
Le lascio immaginare quello che significherebbe interrompere un Servizio pubblico così importante, ma non meno in termini di perdita e fallimento politico per la città e l’intero territorio.
Qual è il “pezzo” del Museo “F. Ribezzo” che più di ogni altro le sta a cuore?
E’ come chiedere ad una mamma quale è il figlio preferito, specie considerato il pregio ed il valore del materiale esposto. Tuttavia prescindendo da un mero giudizio di valore, mi ha sempre affascinato il “rilievo” esposto nella sezione dedicata ai culti che rappresenta la Nèmesi, dea della Giustizia compensatrice, punitrice di ogni forma di deroga all’ordine naturale delle cose. Oggi questo termine si usa anche per intendere, ad esempio, una situazione positiva che giunge immediatamente dopo un periodo particolarmente sfortunato, sempre come atto predestinato alla compensazione.
Il 12 agosto u.s. due giovani turiste, recatesi nella toilette, sono rimaste “prigioniere” a causa della chiusura del Museo. E se, invece delle ragazze, si fosse trattato di due malintenzionati? Non dovrebbe costituire una norma primaria di sicurezza il controllo dei locali prima di ogni chiusura?
La vicenda è successa durante il periodo delle mie ferie estive, tuttavia ho avuto modo di ricostruire i fatti sia dalle relazioni del personale presente, sia da quella che mi ha prodotto la Sicuritalia. Premetto che il Museo è dotato di un sofisticato sistema d’allarme, collegato con la centrale operativa della Sicuritalia, che prevede l’intervento delle guardie in caso di intrusione.
In aggiunta tutte le Sale espositive e molti spazi di collegamento sono dotati di telecamere.
Alla luce di ciò appare chiaro che se si fosse trattato di un malintenzionato sarebbe stato, comunque, intercettato. Nella fattispecie, il caso ha voluto che le ragazze siano uscite dall’immobile nel breve lasso di tempo previsto fra la chiusura dei locali e l’inserimento dell’allarme, portandosi nel cortile del Museo prospiciente piazza Duomo, a sua volta chiuso da un cancello. Eludendo, pertanto, la possibilità di far scattare l’allarme ed il conseguente intervento in loco sia della Sicuritalia sia del personale reperibile del Museo.
Si è concluso l’inventario del patrimonio (vasi, epigrafi, statue e monete antiche) della Biblioteca arcivescovile “De Leo” tuttora in affidamento al Museo? Si può sperare che la preziosa collezione rimanga ancora nella disponibilità del Museo?
Il lavoro che ha richiesto grande impegno da parte del Museo oltre che della Fondazione Biblioteca De Leo, è stato già concluso. Ora si tratta di sottoscrivere una nuova convenzione tra le parti, tenendo conto della situazione oggettiva. Il lavoro si è svolto con serenità sia da parte del personale del Museo sia da parte della Fondazione, pertanto conto su un “fine storia” orientato in tal senso.
Nella recente ristrutturazione del lungomare di Brindisi sono venuti alla luce reperti archeologici medievali probabilmente sovrastanti altri più antichi di epoca romana. La Sovrintendenza di Taranto ha ritenuto, dopo la catalogazione, di dovere “ricoprire” il tutto con una bella gettata di cemento. È giusto privare la città e le future generazioni della godibilità di un tale patrimonio?
Sicuramente saranno state assunte tutte le accortezze tecniche per la salvaguardia delle strutture ritrovate, magari in attesa di avere in futuro maggiori risorse per la loro eventuale valorizzazione o più tecnologie. La catalogazione potrà, di certo garantire i giovani nella conoscenza scientifica del sito e/o nella sua ricostruzione storica. I musei, dal canto loro, possono accogliere i manufatti ritrovati.
Nel corso del trentennio 1953-83 l’Amministrazione Provinciale ha acquistato oltre 200 quadri ispirati quasi tutti al paesaggio pugliese. In gran parte si tratta di “opere di decoroso descrittivismo e di semplici propositi decorativi. Pochi dipinti di qualche storico maestro salentino (Protopapa, Fanigliulo, Casciaro) o di artisti più noti in campo nazionale (Picinni, Cantatore, Cassinari, Crippa…)”. Queste opere, opportunamente schedate, sono sparse nei vari uffici dell’Amministrazione Provinciale e presso altri Enti della Provincia. Secondo lei, nel caso di soppressione della Provincia, cosa capiterà a questo patrimonio culturale?
Auspico che possano essere, in ogni modo, oggetto di pubblica fruizione.
C’è una domanda che avrebbe voluto le avessi rivolto?
Se possibile vorrei io farle una domanda e magari estenderla a chi, nei fatti, saprà darmi una risposta. Quanti rappresentanti politici ed istituzionali brindisini o dei vari livelli territoriali, conoscono realmente il Museo? E quando si parla di cultura, tema spesso demagogicamente cavalcato, quanti sono realmente convinti del valore aggiunto che deriva dalla salvaguardia di una delle massime espressioni culturali territoriali?””
I venti minuti preventivati per l’intervista sono diventati più di un’ora e, prima di congedarmi, si continua a discutere fino alla porta dell’ascensore. Sul pianerottolo si parla anche di questa Brindisi maltrattata o, forse, giustamente maltrattata. E qui le vedute, mie e della direttrice, coincidono come i cubi con cui i bambini ricompongono le figure.
Quando mi ritrovo sotto il porticato vedo allontanarsi un pulmino giallo che deve avere accompagnato qualche scolaresca in visita al Museo. E mi tornano alla mente le sue parole che sintetizzano i contenuti degli artt. 3 e 6 del Codice: «… La cultura non dev’essere fine a se stessa… La tutela del patrimonio culturale, insieme alla sua valorizzazione, devono essere finalizzate alla fruizione pubblica…».
Il cielo intanto si è schiarito. Che sia un buon segno per il futuro del Museo?
Guido Giampietro
Giornalista pubblicista
Articolo del 17/09/2016 ore 8.02
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