May 1, 2025

Gentile professoressa/professore,

 

Le scrivo in qualità di genitore di un Suo alunno e questa volta non per complimentarmi con la Sua scuola così come è accaduto in occasione della così detta “notte bianca” ma per il bizzarro motivo di raccontarLe un mio sogno.
Mi dirà che ascoltare i sogni altrui è fatica impossibile ed è vero: credo anch’io che sopportare chi racconta le visioni stupefacenti di una notte popolata dalle proprie emozioni nelle quali si confondono esperienze, ricordi, timori e fobie personali sia impresa titanica ed eroica assieme, tanto è vero che ci sono categorie di professionisti che per farlo si fanno pagare e profumatamente anche … ma non divaghiamo.

 

Il sogno che Le racconterò, si tranquillizzi, è di quelli, per così dire, realistici: niente porte che si aprono sull’abisso, niente forme antropomorfe, niente cambi repentini di luoghi reali deformati da sinapsi impazzite.
Nel sogno della notte scorsa c’era solo Lei ed una assemblea studentesca nutrita e variegata.
Quell’assemblea studentesca aveva richiesto ed ottenuto che per tre giorni prima delle feste pasquali ed il giorno successivo a dette feste , le normali lezioni scolastiche fossero sostituite da una “settimana dello studente” con tanto di orari e programmi giornalieri.

 

La richiesta, in sostanza, era (follia dei sogni) che per quattro giorni, all’interno di un edificio scolastico pubblico, e negli orari destinati alle lezioni, una minoranza di studenti svolgesse tutt’altro.
Vaghi discorsi assembleari autogestiti sull’ambiente e sulle variazioni climatiche avrebbero preso il posto della spiegazione e dell’approfondimento sulle differenze culturali e sociali fra Sparta e Atene; fumose e politicamente orientate ricostruzioni della situazione in Ucraina avrebbero sostituito lo studio di Hermes che con la sola parola “thèlghein” trasforma la tradizione poetica classica; lo studio delle danze europee al posto dell’eroico tentativo della docente di matematica di introdurre i polinomi, estemporanei approfondimenti sulla buona scuola invece che lo studio dell’atomo e della molecola, e workshop (si, proprio workshop, come quelli della Fiera del Levante e di Vinitaly) sull’expo milanese e sugli abusi in divisa al posto di fero-fers-tuli-latum-ferre e poi cineforum e street art sui muri della scuola avrebbero provvisoriamente sostituito lo studio di Platone, di Hobbes e di Heghel : una follia, un incubo!
Lo so, gentile professoressa, lo so : sono cose bizzarre e strampalate ma i sogni, si sa, seguono follie imperscrutabili …
Insomma il sogno, l’avrà già capito, stava proprio per degenerare in incubo: in quella zona onirica nella quale i fatti si deformano e la realtà viene violata dalla fantasia allo stesso tempo più terribile e stravagante.

 

Il vero cuore dell’incubo era naturalmente dato dal dubbio lacerante che Lei, gentile professoressa, avesse davvero accettato tutto questo.
Non so se a quel punto ho sudato copiosamente, se inconsapevolmente ho allarmato i miei familiari emettendo dei lamenti, se ho irrigidito gli arti o digrignato i denti così come gli esperti dicono che accada durante questo tipo di sogni … non lo so.
Quello che è certo è che, qualunque manifestazione io abbia avuto , se l’ho avuta, è durata davvero poco, anzi pochissimo.

 

L’aula, quella grande aula che sino a poco prima mi appariva tetra e lugubre, ridondante di sciocchezze sulla responsabilità condivisa fra alunni e professori, sulla apertura della scuola alla società, sulla scuola a misura di studente e di altre mille fesserie del genere, si è improvvisamente illuminata di colori vividi e brillanti (potenza dei sogni), nel momento stesso in cui Lei, Professoressa, ha parlato.
A quel punto, gentile Professoressa, si è materializzato l’ossimoro del silenzio assordante … per quanto? non lo so … il tempo come lo conosciamo ed i sogni, si sa, non vanno mai d’accordo ….
Una musica (forse Gnossienne 1 di Erik Satie ? ) si era sparsa per l’aula immensa ed una sorta di calma serenità si stava impossessando di me per la certezza di essere sul punto di ascoltare esattamente tutto ciò che attendevo di sentire da tempo.

 

La scuola – ha detto (riporto i Suoi concetti che le parole esatte non le ricordo) – è altro rispetto alla società; è il regno della rielaborazione, della pazienza, della riflessione e del ricordo (ma mi sembra che la parola che Lei ha usato sia stata anamnesi, anà-mnesis) ; la scuola è l’accoglienza che le vecchie generazioni organizzano per le nuove generazioni trasmettendo loro tutto ciò che si è fatto prima del loro arrivo. La società è altra cosa : essa è plasmata dalla fretta, dalla frenesia e dall’azione. Per la scuola sarebbe un dramma ascoltare le sirene della società, assuefarsi ai suoi ritmi e praticare la stessa fretta. La scuola, ha aggiunto, non deve “comunicare” con gli alunni ma “trasmettere” qualcosa agli alunni e quel “qualcosa” è il sapere; la scuola, ha concluso, non deve rincorrere le mutazioni sociali e politiche, i valori che cambiano, il clima sociale che si rinnova, le esigenze degli allievi che si adattano alla società che cambia …
Quello che la scuola, sopratutto una scuola come il Liceo Classico, deve trasmettere è la cultura scolastica classica : chi decide di insegnare in questo tipo di scuola ha per obiettivo quello di fornire la conoscenza, di creare gente “colta”, di fornire gli strumenti perchè ogni alunno stabilisca poi da solo “come” dovrà essere e non “che lavoro dovrà fare” e chi decide liberamente di essere alunno in questa scuola sa che dovrà affrontare un corso di studi gravoso, originale e, per certi versi, unico ed entusiasmante.

 

Gentile professoressa, a quel punto Lei ha taciuto; una piccolissima e sparuta pattuglia di vocianti Le ha impedito di continuare mentre la quasi totalità degli alunni era incantata dalle Sue parole.
Ed è stato proprio guardando quella moltitudine di ragazzi e ragazze che la seguivano attenti e finalmente liberati dalla retorica della contestazione tout court, che Lei ha così ritrovato la voglia di continuare.
Non ricordo esattamente tutto ciò che ha detto; so che ha parlato di uguaglianza come valore sociale ma non scolastico; che ha spiegato come l’alunno( il futuro) debba necessariamente porsi in una condizione “minore” rispetto al professore (il presente) e alla cultura cui fa riferimento (il passato).
Ricordo che ha accennato al significato di “giudizio” che deve necessariamente essere applicato al grado di volontà, di passione e di capacità dell’alunno, e che una scuola senza giudizio è una scuola morta senza più alcun ruolo.
Il concetto da Lei espresso poi, sotto forma di consiglio, e cioè che forse sarebbe più proficuo impegnarsi per il dovere di avere doveri più che per il diritto di avere diritti ha provocato una vera e propria ovazione da parte di tutti gli studenti.

 

La parte più bella del sogno però è arrivata verso la fine : gli alunni erano felici e ingentiliti dalle Sue parole ed un rinnovato clima di fiducia e di passione per lo studio classico si era impossessato di moltissimi fra loro … … … parole come responsabilità, passione, serietà, gioia, dovere, maturità e coerenza si erano reimpossessate dei loro cuori … …
Io, gentile professoressa, non so come , ma ero lì e sapevo, come solo nei sogni si sa, che in quei momenti Lei ripensava alla pazienza ed alla forza che ogni giorno deve imporsi di ritrovare per svolgere più che il Suo lavoro, la Sua missione di “formatrice”; alle piccole grandi umiliazioni cui è sottoposta quotidianamente da una burocrazia cieca ed insensibile, all’orgoglio che nonostante tutto e tutti Lei conserva nella consapevolezza di svolgere il “più prezioso dei lavori”; al desiderio di porre fine ad una pazzia collettiva che, in nome del “politicamente corretto” sta uccidendo l’ultimo baluardo di serietà e di responsabilità che ci rimane … …

 

Gentile professoressa, ho esagerato: mi sono dilungato troppo e credo che il mio editore me ne chiederà conto.
La smetto qui.
Sappia soltanto che alle 6,15, inesorabile ed antipatica, la sveglia mattutina mi ha riportato alla realtà.
L’amara constatazione, gentile Professoressa, è stata quella di ricordare ancora una volta il monito di mia nonna che con accento leccese diceva a noi nipoti sognatori : no ‘dda retta a suenni …
Infatti la realtà si è manifestata lucidamente nei quattro giorni in cui qualche alunno ha tenuto in scacco l’intera istituzione scolastica, nei quattro giorni di lezione persi da mio figlio, nella occasione mancata di imporre uno straccio di regola, nell’amara accettazione da parte Sua di ammettere che un’ora di Sua lezione vale, nella comune opinione, ne più ne meno di un’ora di giovanili fesserie farneticanti.

 

Gentile Professoressa, tanti auguri.
Apunto Serni.
ps. la lettera era molto più lunga ma … … …

2 Comments

  • Rispondi
    giusemolf
    10 Aprile 2015

    Facente parte di quella scuola penso semplicemente che si è troppo abituati ad una scuola vista con i paraocchi (specialmente il liceo classico) nella quale bisogna stare costantemente con la testa sui libri ad imparare declinazioni, perifrastica passiva, ablativo assoluto, participio e via dicendo. Noi studenti del liceo classico di brindisi abbiamo solo cercato di proporre una didattica alternativa dando prova che non diamo esclusi dal mondo in quanto ci preoccupiamo dei problemi di cui sentiamo parlare ogni giorno e (forse) anche in modo superficiale, ecco, noi approfondiamo tali cose per poter dire si, di sapere grammatica greca e latina, matematica etc, ma anche di non rimanere fuori dal mondo. Penso che questa “lettera” sia solo un’enorme mancanza di rispetto nei confronti di studenti che si sono fatti in quattro per organizzarli.
    Tenendo conto del fatto che si, importanti ore di lezione sono state perse, vi sono studenti che saranno pronti a lavorare il doppio per recuperarle in quanto sappiamo che queste “ore perse” erano per giuste cause.

  • Rispondi
    Un farneticante
    10 Aprile 2015

    Potevi passare a dircele in assemblea ste cose… Ci piacciono quelli che la pensano come te!