L’INTERVISTA
Racconto di Vito Santoro
Leonardo percorse il viale osservando il numero civico delle abitazioni e si fermò davanti a una parete di travertino bucherellato che l’esposizione alle intemperie aveva reso scuro e opaco. Lesse i nomi stampati sui campanelli e suonò a uno di essi.
– Chi è?
– Sono Leonardo. Sono venuto per l’intervista.
– Ah, sì… quarto piano.
L’ascensore era rivestito con pannelli di finto legno e aveva ancora i tasti con i numeri illuminati. Leonardo non ne vedeva così da tempo, anche le abitazioni più vecchie erano ormai dotate di moderni ascensori con pratici comandi vocali.
Sul pianerottolo, la porta dell’appartamento era aperta di alcuni centimetri e Vincenzo, il vigile del fuoco, lo attendeva guardando attraverso la fessura. C’era un gatto che miagolava e Vincenzo si chinò per prenderlo in braccio. Poi aprì la porta.
– Vieni, vieni. È anziana ma devo tenerla ancora a bada – disse mentre accarezzava la gatta. – Appena vede la porta aperta cerca di scappare.
Vincenzo fece accomodare Leonardo nel soggiorno e, dopo aver chiuso la porta, lasciò andare la gatta. – Ha diciannove anni… sai, i gatti non vivono così a lungo e lei avrebbe dovuto lasciarmi già quattro-cinque anni fa… va a finire che schiatterò prima io di lei.
La gatta si diede una scrollata per sistemarsi il pelo e con un balzo si andò ad accucciare sul sofà. Si voltò di lato con l’atteggiamento strafottente tipico dei felini.
– Era piccola così, quando l’ho trovata – spiegò indicando le dimensioni con le mani. – Si era rifugiata su un albero di pino e non riusciva a scendere. Miagolava disperatamente. Sembrava il pianto di un bambino… chissà da quanto tempo si trovava lassù. I cuccioli di gatto lo fanno spesso: quando vedono un albero, d’istinto, si aggrappano sul tronco con le loro unghie affilate e in un batter d’occhio si ritrovano sui rami. Poi guardano di sotto, si rendono conto dell’altezza e non sanno come tornare giù. Mi arrampicai quasi fino in cima per poterla prendere. – Si accovacciò, sollevò il pantalone e abbassò il calzino per scoprire il polpaccio. – Rischiai pure di cadere e mi tagliai contro un ramo. Guarda che cicatrice! La vedi? Ci vollero quindici punti per chiuderla.
Leonardo rise scuotendo la testa.
– Che c’è da ridere?
– Perdonami. Non volevo metterti in imbarazzo.
– Ma quale imbarazzo! Voglio solo sapere cosa ci trovi di divertente nella storia che ti ho raccontato.
– Vuoi proprio saperlo?
– Certo che voglio saperlo – rispose seccato.
– Per un attimo ho pensato al mio articolo e alla storia del vigile del fuoco che per poco non lascia le penne per salvare un gatto.
– Tu non saresti salito su quell’albero, vero?
– Ma io non sono un vigile del fuoco.
– Be’, quel giorno non ero in servizio. E se vuoi proprio saperlo fino a quel momento i gatti non mi erano molto simpatici.
– E perché ti sei arrampicato su quel pino?
Vincenzo non rispose subito. – Non saprei come spiegartelo. Posso solo dirti che non ci pensai troppo a lungo.
– Capisco.
– No, non credo. Tu non puoi capire.
– Ora sei tu a mettermi in imbarazzo. Perché non posso capire?
– Perché sei troppo giovane.
– E quindi?
– Sei sposato?
– No.
– Quanti anni hai?
– Ventiquattro.
– Quelli della mia generazione a ventiquattro anni erano tutti sposati.
– Sì, ma che c’entra con il discorso di prima?
– Invece c’entra, perché finché non avrai figli molte cose non potrai capirle. – Si avvicinò al tavolo e spostò una sedia. – Mettiamoci comodi.
Leonardo lo scrutò incerto per un istante, poi si sedette.
– Bene. Perché un’intervista proprio a me? Sono in pensione da anni ormai.
– E’ un’idea del capo redattore. Lui ha bisogno di storie di vita vissuta, così come le chiama lui… servono per rendere il giornale sempre credibile. Io invece devo fare esperienza. Sai, ho iniziato il tirocinio da poco.
Vincenzo annuì. – D’accordo, sentiamo.
Il giornalista prese il cellulare e premette l’icona del registratore vocale. – Nella tua lunga attività al servizio dei vigili del fuoco sarai stato protagonista di molte storie interessanti. Me ne puoi raccontare qualcuna?
– Mah… a dir la verità non me ne viene in mente nessuna utile per farci un articolo sul giornale.
– Ma dai, non ci credo.
– Dico sul serio. Alcune delle esperienze che ho vissuto sono molto drammatiche e con il tempo ho imparato a rimuoverle. Altrimenti sarei uscito pazzo, credimi… e purtroppo ho anche rimosso quelle con un lieto fine – disse sollevando le spalle. – La gente crede che un vigile del fuoco si abitui alle tragedie, invece si sbaglia. S’impara solo a reagire, ma abituarsi no. Mai, non ci si abitua mai… Quella del gatto non potrebbe andare bene?
Leonardo non rispose e fermò la registrazione.
Vincenzo si alzò in piedi. – Preparo il caffè – e si diresse in cucina.
– Per me no, grazie.
– Sicuro? Io lo faccio ancora con la caffettiera.
– Con la caffettiera? Siamo nel 2031…
Il vigile del fuoco tornò con una moka Bialetti da tre tazze. – Da quanto tempo non ne vedi una così?
– Tantissimo. Quando ero piccolo mia madre ne aveva una uguale.
– Sono ormai introvabili. Le ha solo chi è riuscito a conservarle con cura. Sei proprio sicuro di non voler riassaporare un caffè vecchia maniera?
– Ti ringrazio. Come se lo avessi accettato.
– D’accordo. Come vuoi – e se ne ritornò in cucina.
Leonardo si alzò dal tavolo e si guardò intorno. La casa era illuminata da un’intensa luce naturale. C’erano diverse piante, molto simili una all’altra, un forte odore di lavanda, e sulle pareti alcuni quadri dipinti con uno stile che imitava De Chirico. Si soffermò a guardare alcune foto incorniciate disposte in maniera ordinata su un tavolino di vetro. Ce n’era una di Vincenzo con la moglie al mare, un’altra con gli abiti eleganti a un ricevimento, un paio di foto della gatta. Al centro, più grande delle altre, la foto di una ragazza molto bella e con un sorriso radioso.
In quel momento Vincenzo ritornò con una tazzina fumante. – È mia figlia Sabrina.
– Complimenti. È bellissima.
– Qui era una ragazzina. Ora ha trentacinque anni, ma è sempre stupenda.
Leonardo guardò l’ora. – Si è fatto tardi – mormorò. – Ho un appuntamento.
– Questa foto l’ho scattata io. Pochi giorni prima della bomba.
– Quale bomba?
– La bomba alla scuola.
– L’attentato alla Morvillo-Falcone?
– Sabrina frequentava quell’istituto. Avevo appena staccato dal turno e quella mattina la stavo accompagnando a scuola. Mi trovai lì davanti proprio nel momento dell’esplosione. Un boato spaventoso… vidi alcune ragazze sbalzate via come bambole di stoffa. Sabrina si coprì il volto con le mani e scoppiò a piangere. L’abbracciai e le gridai di allontanarsi, e corsi verso le ragazze a terra. Ero stordito e mi fischiavano le orecchie. Le urla, gli allarmi delle auto… c’era fumo, una forte puzza di bruciato e in aria volava di tutto: detriti, foglie, pezzi di carta, cenere… il cuore mi scoppiava per come mi batteva forte. Una delle ragazze era viva e mi guardava con gli occhi impauriti… cos’è successo? Cos’è successo? Mi domandò… sanguinava molto… mi tolsi la maglietta e la usai per contenere le emorragie. Coraggio, le dissi, tra un po’ arrivano i soccorsi. Le tenni stretta la mano e la rincuorai finché non arrivò l’ambulanza. Quando la portarono via, mi misi in macchina e la seguii fino in ospedale.
Leonardo ascoltava il racconto in silenzio.
– Mentre attendevo nella sala dell’ospedale mi chiedevo ripetutamente il perché di una simile atrocità. Per quale ragione far esplodere una bomba vicino a una scuola massacrando delle ragazze innocenti? Non riuscivo a darmi una risposta. Provavo rabbia e un forte senso d’impotenza. Quando mi dissero che la ragazza si era addormentata per sempre scoppiai a piangere… e in quel momento smisi di chiedermi perché.
Vincenzo sorrise al giornalista e gli posò una mano sulla spalla. – Farai tardi al tuo appuntamento – e si avviò verso la porta d’ingresso.
Leonardo lo guardò per qualche istante, poi si avvicinò e gli strinse la mano. – Grazie per avermi raccontato questa storia.
Il vigile del fuoco aprì la porta e, al rumore metallico della serratura, la gatta scattò verso l’uscita. Con un gesto rapido, Vincenzo l’afferrò e la strinse a sé. – Melissa…. resta qui, con me, Melissa.
Vito Santoro
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