May 2, 2025

il-cazzolarioPERLA NUMERO 3: DA “IL CAZZOLARIO”

 

Italiano: “Vorrei ricordarti che sarebbe auspicabile ed opportuno che tu rivolgessi tutte le tue attenzioni ai tuoi affari senza interferire nella mia vita privata

Brindisino: “Fatti li cazzi tua

 

n.b. Non è insolito che la suddetta espressione venga sostituita dalla meno generica “Viditi li cazzi tua” laddove la genericità del verbo “fare” viene appunto sostituita dalla puntigliosità del verbo “vedere” che quindi assume il significato di un invito all’interlocutore ad una maggiore concentrazione sui fatti occorsi alla propria sfera di intimità.

Molto diffusa è anche la versione interrogativa che si distingue da quella esclamativa suddetta per il tono e per la ultimatività implicita nella richiesta; cosi che la domanda “T’ha ffà li cazzi tua?” assume anche il significato di “Ora sono stanco delle tue interferenze e ti invito vivamente ad occuparti delle tue cose”.

 

La naturale rassegnazione insita nell’animo del brindisino unita alla profonda conoscenza dell’altrui petulanza ha fatto si che la domanda suddetta venga già, talune volte, nel momento stesso in cui essa venga formulata, considerata alla stregua di una pia illusione per cui la richiesta sovente non venga posta in modo definitivo ma limitata ad uno spazio temporale limitato e circoscritto esattamente a minuti 45.

La richiesta viene quindi così formulata “T’ha ffà treqquartidora di cazzi tua?”.

Va notata, a nostro avviso, la pacatezza della richiesta che, lungi dal chiedere all’interlocutore di cambiare totalmente le abitudini oramai insite nel proprio carattere e di occuparsi delle proprie cose per il resto della vita, non chiede nemmeno spazi temporali ampi (un decennio, un anno, sei mesi) ma soltanto 45 minuti che forse appaiono al dichiarante sufficienti a portare a buon fine la propria opra senza interferenze.

Non è dato sapere perché tale spazio temporale e non altri più netti come 30 o 60 minuti.

Taluni ritengono che proprio la puntigliosità dei minuti richiesti dovrebbe portare ad una riflessione maggiore e ad un conseguente accoglimento della richiesta.

 

Altra e maggiormente suggestiva variante è “Fatti li stracazzi tua” o “t’ha ffà li stracazzi tua?” laddove è chiaro l’intento offensivo contenuto nella particella maggiorativa “stra” esplicitamente indicativa del proprio giudizio negativo sui fatti e sulle cose appartenenti alla vita privata dell’interlocutore cosi che il significato possa assumere il tono di “Mi stai seccando con la tua curiosità e con la tua attenzione rivolta alle mie cose; perché non ti occupi dei tuoi fatti che notoriamente appaiono più strani e meritevoli di giudizi negativi?

 

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Esempio :
– “Gghiatò ma è veru ca figghiuta si’ndè scinduta? Matò ce uai, no Gghiatò?! E moi com’atà’ffari? Dici ca quiddu no’n’ci fatia, com’anna ffà cu ‘ssi sposunu? Si pensa doppu ca parturesci ,no Gghiatò?”
Carmelì, e no ‘tti va ‘ffaci trequartidora di cazzi tua?
No Gghiatò ca Cosiminu m’è dittu lu fattu e stava dispiaciutu
Carmelì, dinci a Cosiminu cu pensa a figghiusa la piccenna e cu ‘ssi faci li stracazzi sua

 

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il-piccionarioPERLA NUMERO 4: DA “IL PICCIONARIO”

 

Italiano: ““Caro amico, tu sei veramente pazzo. Non devi più azzardarti a fare simili illazioni sul mio conto. Non te lo consento; spero tu riconosca di aver detto una falsità.
oppure
La tua proposta è oscena; mi hai preso davvero per uno stupido o credi di essere tanto furbo? Vergognati
o ancora
Ma che domande vai facendo? Non vedi che la risposta è sotto i tuoi occhi?

Brindisino: “Lu piccioni di sorda

 

n.b. Si noti come, in questo particolare tipo di esclamazione, il piccione, abbandona la propria genericità ed astrattezza per approdare a ben definiti e ristretti ambiti di appartenenza.
Poco importa al dichiarante se il proprio interlocutore sia o meno figlio unico e se nel caso abbia o meno sorelle.
Il dichiarante, infatti, non comunica all’interlocutore di voler utilizzare l’organo genitale dell’altrui sorella, nè svela di averne fatto uso, nè minaccia di farne presto, nè vuole comunicarne le condizioni e l’utilizzo più o meno frequente che ella ne fà; niente di tutto ciò.
Il dichiarante si limita a nominare tale organo come una sorta di invocazione lasciando all’interlocutore tutta la drammaticità di una situazione che lo vede spettatore dell’organo genitale della sorella (anche ipotetica) messo a nudo di fronte ad una platea abbastanza ampia e talora costituita anche da sconosciuti comunque molto interessati.

Si deve immaginare lo sconcerto che ognuno di noi proverebbe osservando una platea di gente non proprio amica spettatrice di un siffatto spettacolo.
Lu piccioni di sorda, quindi, acquista un significato di contrattacco rispetto alle corbellerie sino a quel momento ascoltate e che ci hanno visti soccombenti; sembra quasi che il dichiarante, di fronte a tanta faccia tosta non replichi ingiuriando o maledicendo, non reagisca con sproloqui o cattiverie ma, scegliendo la strada maestra, spogli l’interlocutore di qualsiasi difesa, mostrando a lui e a tutti gli astanti casuali le vergogne della sorella che da quel momento diventeranno oggetto conosciuto da tutti.

Possiamo ben immaginare lo sconcerto che in una società patriarcale come è quella brindisina tale locuzione provoca.

 

Taluni, non volendo correre rischi di sorta, e cioè l’esistenza o meno di una sorella, sia pure illegittima, nell’albero genealogico dell’interlocutore, ricorrono ad una più certa appartenenza che non può che essere quella materna: “Lu piccioni di mambata” quindi diviene la consacrazione dell’offesa più assoluta poichè, se anche con una sorella l’interlocutore potrebbe avere rapporti difficili o tesi che lo vedono quasi noncurante dell’offesa ricevuta, molto più difficile appare il caso che ciò possa verificarsi con la propria madre.

 

E’ solo in casi davvero gravissimi che il dichiarante non contento di divulgare le vergogne parentali altrui si spinga in giudizi di natura morale su vari membri della parentela femminile dell’interlocutore.
Non è raro quindi che le espressioni “lu piccioni di mambata” o “lu piccioni di sorda” vengano seguite da una specificazione maggiormente esplicativa sugli usi e le abitudini di madri e sorelle.
E’ chiaro quindi come l’espressione “Lu piccioni di sorda, quella puttana” non sia usata per definirne una, in caso di più sorelle, (e cioè, quella puttana come se le altre non lo fossero) ma esclusivamente per rafforzare il senso dell’offesa ricevuta o per rimarcare il grado di falsità e di irragionevolezza di quanto appena ascoltato.

 

Infinite, così come i gradi di parentela, sono le varianti che possono essere declinate in contesti specifici nei casi in cui si voglia aumentare o diminuire la carica di aggressività della frase.
E’ chiaro quindi che in una ideale scala di puntigliosità “Lu piccioni di nonnuta” assume un significato quasi giocoso se solo immaginiamo lo spettacolo, sicuramente poco entusiasmante, cui gli astanti sarebbero sottoposti.

 

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Esempio:

“Damià, allora iu e Rocco sciamu cu Sabrina e Lucia e tu vieni cu la machina tua; ci rrivi prima tui fani cincu biglietti e ‘ndi lassi li nuestri allu barr”
“See.., ca comu…, lu piccioni di mambata fazzu

 

 

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<strong>Tracce storico-letterarie</strong>

 

1. Edmondo De Amicis
Libro cuore – Novembre, Il mio compagno Coretti
Io ero un poco triste e allora mia madre mi mandò con il figliuolo grande del portinaio a fare una passeggiata sul corso.

A metà circa del corso, passando vicino ad un carro fermo davanti ad una bottega, mi sento chiamare per nome, mi volto: era Coretti, il mio compagno di scuola, con la sua maglia color cioccolata ed il suo berretto di pelo di gatto, tutto sudato che aveva un gran carico di legna sulle spalle.

Un uomo ritto sul carro gli porgeva una bracciata di legna per volta, egli le pigliava e le portava nella bottega di suo padre, dove in fretta ed in furia le accatastava.

Che fai Coretti?” gli domandai.

Lu piccioni di sorda” rispose asciugandosi il sudore della fronte.

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