Alle sette l’ora che, dicono, sia delle farfalle percepisco un rumore insolito. Il tempo di scrollarmi da dosso l’ultimo sonno, quello più dolce, e realizzo che proviene dal sovrapporsi dello squillo del telefono al trillo della sveglia. Vale a dire, il massimo della iattura. Do la precedenza al primo.
È il Direttore del giornale. Mi chiede di andare in contrada Masseriola perché gli hanno riferito che sta accadendo qualcosa di grosso.
«Ci andrò» gli rispondo sbadigliando.
«Forse non mi sono spiegato! aggiunge lui alzando il tono della voce quel tanto da farmi comprendere che c’è aria di scoop in giro Devi andarci subito!». E chiude. Anzi, no. Prima di chiudere m’ingiunge di mandargli il pezzo in mattinata. Sempre che ne valga la pena, naturalmente.
Scatto come una molla. Poi ci ripenso e freno. Io non devo fare carriera, mi dico. I tempi in cui sognavo di fare reportage alla Indro Montanelli sono passati da un pezzo. Poi, però, s’intromette la coscienza (sempre lei!) e mi risolvo ad andare.
Il traffico praticamente inesistente mi fa ricordare che, tra l’altro, è domenica. Domenica! Cosa sarà successo di tanto importante o di tanto grave in contrada Masseriola all’alba di una domenica mattina di fine maggio?
Un incendio di vaste proporzioni dei carciofeti graziosamente incipriati di nero-carbone, oppure… Oppure è collassata l’unica costruzione esistente nella zona: il PalaPentassuglia. Proprio quello che ci mancava! Così non solo non si realizza il fantomatico ampliamento della struttura, ma si perdono anche quei (pochi) posti che consentono di militare in Serie A.
Appena lascio la tangenziale vedo, sullo sfondo, la “Casa dell’Enel” mezza diroccata. Terremoto? Lo escludo perché, fino a quel momento, non avevo avvertito alcuna scossa. Sabotaggio? Anche l’uscita prematura dai play off scudetto non giustificava azioni eclatanti da parte della tifoseria più delusa. Dimostrazione da parte dell’Isis? No, loro ce l’hanno con i siti archeologici e con le chiese.
Mentre congetturo sono giunto sul luogo, o meglio, a ridosso della recinzione che lo cinge come se si trattasse di una installazione militare off limits. All’interno un andirivieni frenetico di camion, ruspe, bulldozer, betoniere. Tutt’intorno un frenetico brulicare di operai con i caschetti bianchi e uomini della security con le uniformi blu e i berrettoni da policemen americani. È uno di questi che mi redarguisce sorprendendomi a fare una foto di pochi pixel col telefonino di prima generazione.
Gli faccio vedere la tessera di giornalista e, sforzandomi di fare la voce grossa, gli dico che voglio parlare col Capo di quell’ambaradan. Sparisce nel nugolo di terra che s’alza dal suolo e viene sospinta in ogni dove da un refolo di vento.
Nell’attesa osservo meglio quello che rimane del glorioso palazzetto. Il tetto è stato scoperchiato e abbattuta, per tutta la sua lunghezza, una delle pareti. Come in un intervento a cielo aperto, il cuore dell’impianto quello che batteva all’unisono con i cuori dei tifosi attende rassegnato l’inizio di quella che potrebbe rivelarsi una rischiosa operazione.
«Che diavolo sta succedendo qui?» chiedo al responsabile del cantiere nel frattempo sopraggiunto.
«Da questa notte è scattata l’operazione “PalaEventi, avanti tutta”».
«Mi sta dicendo che non solo è stata indetta la gara, ma che sono stati assegnati anche i lavori? E tutto questo senza che nulla sia trapelato in città e negli ambienti vicini alla Società New Basket Brindisi?».
«Affermativo. E ora, noi della Ditta, dobbiamo darci da fare, anche perché le penali, in caso di ritardi nell’esecuzione dei lavori, sarebbero veramente alte».
«Scusi, ma questa Ditta da dove viene?».
«Da Cremona».
«E quanto tempo impieghereste per consegnare il palazzetto?».
«Prego, PalaEventi. Credo che dobbiate entrare in quest’ordine di idee. Questa sarà una signora struttura non solo sportiva da seimila posti, ulteriormente ampliabile…».
«Sì, va bene. Ma le riformulo la domanda: quando sarà pronto?».
«Entro il prossimo 30 settembre. La squadra sarà in grado di giocare qui fin dalla prima giornata del campionato».
«Sta scherzando. E come farete?».
«Per questa Ditta un lavoro del genere rientra nella normalità. Siamo reduci dall’Expo di Milano dove abbiamo realizzato due padiglioni per due Stati asiatici. Come faremo? Lavorando con squadre impegnate, a turno, in tutto l’arco della giornata. Ventiquattro ore su ventiquattro ore. I nostri ritmi di lavoro sono un po’ diversi da quelli di quaggiù…».
Non raccolgo la provocazione e aggiungo: «Le maestranze vengono tutte da Cremona?».
«Le potrà sembrare strano, ma l’80% è manovalanza locale. E devo ammettere che si tratta di gente in gamba».
«Mi scusi, un’ultima domanda. Tutto questo… sì, insomma… questo grosso appalto vi è stato affidato dall’Amministrazione Comunale di Brindisi…?».
«E da chi se no? Avete gente seria nel Palazzo. Gente con le idee chiare. Sì, lo so, avete dovuto tribolare un po’, ma alla fine le promesse sono state mantenute. E i risultati vi ripagheranno dei ritardi, delle lunghe discussioni sul tipo d’intervento, dei bastoni tra le ruote posti dalle opposizioni, dagli ambientalisti, da chi non ama lo sport…».
«E ci sarebbero tutte le coperture finanziarie, naturalmente».
«Naturalmente. Non c’imbarchiamo in imprese donchisciottesche, noi».
Trasecolavo. Mi pareva di vivere in un’altra realtà. Mi era veramente difficile accettare l’idea che fosse stato risolto questo penoso problema dell’adeguamento del PalaPentassuglia alle accresciute esigenze di una squadra che oramai calca alla grande non solo i più prestigiosi parquet d’Italia, ma anche quelli d’Europa. Certo sarebbe stato più logico costruirne uno ex novo. Probabilmente sarebbe costato anche meno e sicuramente sarebbe stato più funzionale. Ma tant’è. L’importante era avere questi benedetti seimila-posti-seimila per dare un po’ di ossigeno alla Società. Mi sovvenne un’ultima domanda.
«Vi è stato affidata chiesi anche la sistemazione dei tracciati stradali, dei parcheggi, dell’illuminazione e di quant’altro renda “civile” l’avvicinamento o l’allontanamento degli spettatori dall’impianto?».
«Sicuro! rispose quello abbozzando un sorrisetto Ma ora consenta a me di farle una domanda».
«Prego».
«Sventrando mi passi il termine la struttura ho potuto constatare de visu le condizioni da Terzo Mondo in cui i tifosi, per molti anni, sono stati costretti a seguire le partite. Seggiolini praticamente attaccati l’uno all’altro e, soprattutto, un pericolosissimo camminamento per raggiungere il proprio posto. Lì bastava fare uno sternuto un po’ più forte del normale e si rischiava di volare sul parquet. E poi l’inadeguatezza del settore ospiti e una vergognosa sistemazione della postazione stampa. Ma come avete fatto ad andare avanti in simili condizioni? Quale forza vi ha consentito di trovare un posto nel basket che conta?».
Avrei dovuto rispondergli che la forza è quella della gente del Sud. Avrei dovuto parlargli della laboriosità del popolo di formiche di Tommaso Fiore. Avrei dovuto spiegargli che l’amore per i colori della propria squadra gli stessi della propria città fa superare non solo i disagi ma acuisce i sensi nel prevenire i pericoli. E invece, per salvare anche la faccia dell’Amministrazione (che poi è la faccia di ciascun cittadino), mi tirai fuori dall’impasse dicendogli che l’entusiasmo riesce a fare vedere il bello anche dove non c’è.
Scattai qualche foto e poi salutai il gentile interlocutore. Ripresi la via di casa e intanto pensavo a quello che avevo visto e sentito. E mi spiegavo anche perché il sindaco, il giorno del saluto di commiato alla squadra nel foyer del Verdi, non avesse fatto cenno alcuno al PalaEventi. Voleva che a parlare fossero, finalmente, i fatti e non le chiacchiere. Mi riappacificai idealmente con lui e con tutti quelli che avevano remato contro questo grande progetto. L’elefantiaca macchina dell’Amministrazione si era alla fine mossa e la Ditta di Cremona avrebbe consegnato il nuovo palazzetto per l’inizio della stagione 2015-16.
Purtroppo la nota stonata giunse qualche minuto dopo. Quando, sistematomi davanti al computer per scrivere il pezzo, mi svegliai da quel sogno bellissimo…
Guido Giampietro
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