Sono passati venti anni dal Venerdì Santo del 1997, quando la corvetta Sibilla della Marina Militare Italiana, in un tragico tentativo di attuare il blocco navale nei confronti dei profughi albanesi in fuga dalla guerra civile, speronò la motovedetta albanese Kater I Rades, affondandola con il suo carico di donne e bambini a bordo.
Una tragedia che anche quest’anno, a Brindisi, sarà ricordata con una cerimonia che culminerà con un lancio di fiori in mare, in memoria dei tanti migranti che in esso perdono la vita.
L’appuntamento è per martedì 28 marzo, alle ore 16.30.
Un’iniziativa che, oltre a ricordare le vittime della KATER I RADES, vuole accendere i fari sulle mille stragi in mare, in nome del rispetto dei diritti dei migranti, contro ogni tentativo di farci vivere nel terrore e nella paura.
Il Comitato “Migranti e Mediterraneo” di Brindisi che organizza e promuove la manifestazione, sottolinea l’imprimatur decisamente politico di un’iniziativa che vuole andare oltre la semplice ricorrenza e l’emozione per chi ha perso la vita su una carretta del mare: “le orrendi stragi perpetrate in Mezza Europa sono inserite nel quadro di chi vuole importare nelle nostre città il clima della guerra civile a cui conseguono limitazioni dei diritti e il covare l’odio con chi è ritenuto diverso per il colore della pelle, della lingua, della religione, della condizione economica.
A vent’anni di distanza, guerre e calamità hanno colpito altri paesi determinando flussi di profughi e migranti in direzione del nostro continente.
Per dire no alle guerre, al razzismo e alla xenofobia montante nell’Europa in crisi di identità e colpita dal terrorismo stragista ci ritroveremo a Brindisi, a lanciare in mare i fiori, come ogni anno in segno di riconciliazione e amore nei confronti di tutti coloro che soffrono, che sono costretti a fuggire e lasciare la terra natìa, le loro case, i loro cari, a causa della follia della guerra, della rapina dei loro territori, dallo sfruttamento, la fame, la paura per la propria vita e dei figli.
Oggi siamo in presenza di un quadro allarmante di grave instabilità (a cui ha contribuito oltre un decennio di” guerre umanitarie”, innescando altre guerre civili, terrorismo, violazioni di diritti umani, carestie, ecc) che coinvolge tutti i paesi della costa sud del Mediterraneo e l’Africa Subsahariana, con l’eventualità di flussi migratori di rilevanti dimensioni, diretti verso l’Europa e aventi come prima tappa l’Italia.
Le associazioni antirazziste brindisine che hanno dato vita al Comitato Migranti e Mediterraneo di Brindisi, ritengono opportuno che occorra costruire un sistema di accoglienza e di integrazione, non basato sulla cultura dell’emergenza e che non lasci il peso delle conseguenze dei flussi migratori , sulle spalle dei bilanci sempre più ristretti delle amministrazioni locali, e sull’abnegazione del volontariato, ma che veda l’impegno progettuale e finanziario del nostro Paese con il contributo dell’intera Europa.
Un sistema di accoglienza che preveda la promozione di una cultura della multietnicità e basato sulla solidarietà umana, che ancor oggi manca a questa Europa più interessata a” bilanci , spread, interessi sul debito”, ma poco alla vita, sempre più difficile, di chi ci è nato o ha deciso di viverci.
Come antirazzisti e pacifisti brindisini riteniamo importante testimoniare il ruolo della nostra città come luogo di incontro, accoglienza, confronto e dialogo con i popoli che vivono sulle sponde del mare che ci bagna e ci unisce tutti”.
Parole e slogan razzisti possono tramutarsi, come è successo anche qui a Brindisi, in atti di intolleranza contro uomini e donne, venuti da lontano, che cercano di guadagnarsi duramente e onestamente, un misero salario.
Da tempo le associazioni che operano nel campo dell’accoglienza e della solidarietà, nella città di Brindisi, hanno lanciato grida di allarme su questo argomento, chiedendo un maggiore coinvolgimento delle istituzioni e di tutta quella parte sana della città che non dimentica quel grande momento di solidarietà che la vide coinvolta, nel marzo del 1991, quando accolse 20.000 profughi albanesi”.
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