Etichetta: Cherry Red Records
Genere: shoegaze / rock
Dici Swervedriver e pensi shoegaze, non potresti fare altrimenti. La band inglese fa parte degli alfieri dei “fissascarpe” (nome natodalla necessità di tenere sotto controllo tutti i pedali, durante le esibizioni dal vivo, per poter controllare gli effetti così da ottenere il famoso muro sonoro, marchio di fabbrica del genere) ed insieme ai My Bloody Valentine, Slowdive, Ride e Catherine Wheel, ha contribuito a definire le caratteristiche (ma anche i limiti) di uno stile musicale oggetto di una vera e propria rinascita da qualche anno a questa parte.
“I Wasn’t Born To Lose You” è arrivato improvviso, forse perché meno atteso di quello dei ben più titolati (e seminali) My Bloody Valentine e Slowdive, dopo ben sette anni dalla reunion del 2008, che aveva visto la band ripercorrere le orme del passato, senza sfornare nulla di nuovo.
Sin dai loro esordi gli Swervedrive si sono contraddistinti dai loro colleghi “intimisti” per un approccio più aggressivo e rock, tanto da aver travalicato spesso i confini dello shoegaze verso sonorità maggiormente alternative.
L’ultimo “I Wasn’t Born To Lose You”ripercorre la biografia stilistica del combo inglese, con il caratteristico muro sonoro fatto di riverberi e distorsioni che si ripiegano su stesse per creare il classico effetto straniante, complici anche i numerosi effetti che filtrano il suono delle chitarre. La più grande novità la si nota principalmente a livello vocale, dove Adam Franklyn mostra una netta maturazione tonale, scostandosi dall’impostazione monocorde degli esordi, in questo senso colpisce soprattutto la melodica “Last Rites”.
La band non dimentica certo di pestare, confermando il suo status anomalo all’interno del panorama shoegaze, confezionando due pezzi aggressivi come “Red Queens Arms Race” e “Lone Star”, che tradiscono un’anima fortemente heavy e psichedelica, in particolare “Red Queens Arms Race” ha un riff dichiaratamente stoner di chiara matrice sabbathiana.
Ovviamente in un disco degli Swervedriver non potrebbero mancare i pezzi in stile “Raise”, ed ecco allora “Everso”, “I Wonder” o “English Subtitles”, pezzi che sembrano essere usciti dritti dagli anni Novanta, se non fosse per la data scritta sul calendario.
“I Wasn’t Born To Lose You”segna un gradito ritorno di una band che dopo il 1999 aveva fatto perdere le sue tracce, forse troppo presto, dimostrando come a distanza di quindici anni sia ancora possibile ritornare sulle scene musicali, con una prova degna di nota.
James Lamarina
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