Fermate il mondo… Voglio scendere! È il titolo di una commedia amarognola del 1970 diretta da Giancarlo Cobelli. Con il film, però, questo articolo non ha nulla a vedere. Né il titolo è fuori luogo. Perché io voglio scendere davvero da questo mondo. E non perché condizionato dall’approssimarsi del fine corsa. Sì, insomma, dell’arrivo al deposito…
Nossignore. Voglio scendere perché il viaggio non m’interessa più, non mi coinvolge, non mi emoziona. E tuttavia conservo integra la curiosità, quella che, secondo Kadare’, se non si soddisfa provoca sofferenza. E siccome non ho intenzione di soffrire, voglio vedere dove questo mondo sta andando.
Il pretesto, l’ultimo in ordine di tempo, me lo dà il disegno di legge Cirinnà che regolamenta le unioni civili e che da un bel po’ tiene occupati i nostri parlamentari. Ma come? Con tanti problemi prioritari proprio adesso bisognava alzare questo polverone? Non basta l’inferno che vuole scatenare il nostro Presidente della Regione contro chi ha affossato il PD e la città di Brindisi?
Non voglio essere frainteso. Le unioni civili e le adozioni meritano da tempo una legge organica che ne disciplini la delicata materia, ma l’intreccio con le unioni omosessuali e la possibilità di dare anche a loro il beneficio dell’adozione mi sembra che abbia portato la discussione molto più in là di quanto ci si proponeva.
La frase del baronetto Elton John (“I miei figli, l’amore più grande”) mi lascia perplesso (insieme al cachet di 500.000 euro che noi abbonati RAI gli abbiamo versato per la sua comparsata!). Totò avrebbe esclamato: “Ma mi faccia il piacere!”.
Entrando nel vivo della discussione mi chiedo se c’è qualcosa di più umiliante, per una donna, di commercializzare la maternità. Esiste qualcosa di più triste delle fabbriche di bambini nei paesi in via di sviluppo? Quelle dove ricchi omosessuali prenotano un figlio che verrà strappato dal seno materno dopo qualche minuto dalla nascita.
A questo punto si è data la stura al variegato pensiero che soprassiede a questa problematica. E gli opinionisti, nemmeno a dirlo, si sono scatenati pro o contro. Come se si trattasse di una partita di calcio, quando invece è in gioco il destino di migliaia di bambini, non tutti destinati a diventare figli di baronetti.
Tra le voci a favore dell’adozione anche tra omosessuali si è levata quella, autorevolissima, di Claudio Magris. E mi fa specie che il mio scrittore preferito si sia schierato dall’altra parte, quella dalla quale io prendo le distanze.
Magris non affronta il problema se sia più nobile l’eros omosessuale o quello etero anche se lascia intuire per quale dei due propende. Infatti sottolinea come, a differenza della cultura biblica (che lo ha aborrito), quella classica, specialmente la greca (la più grande civiltà mai esistita) abbia celebrato il primo come l’eros più spirituale.
E continua: «L’unico criterio in base al quale affidare o no un bambino che abbia perduto i suoi genitori, o sia stato giustamente sottratto nel caso di loro non integrità o incapacità, è la dimostrata capacità di una persona, o di due, ma forse anche più di due, di amare, educare, tutelare la piccola vita che le (o loro) viene affidata».
I bambini adottati, caro Magris, hanno certamente bisogno di amore, specie all’alba della loro esistenza. Ma non è sufficiente. Perché quando cominciano a misurarsi con la vita che pulsa al di fuori del rassicurante nido approntato dalla coppia omosessuale, cominciano a porsi delle domande. E le domande, nel tempo, se non ricevono risposte plausibili, finiscono per creare infelicità.
Quali domande? Una su tutte: perché gli altri bambini hanno un papà e una mamma (anche se questa terminologia è stata soppiantata in alcuni registri anagrafici e scolastici da quella stupida di genitore 1 e genitore 2)?
E man mano che si faranno più grandicelli sentiranno il bisogno della figura paterna e di quella materna. Perché, Magris, anche gli uomini delle caverne, inconsapevolmente, rivestivano questi ruoli. Perché l’amore non può surrogare quel filo invisibile che si crea tra padre e figlio o madre e figlia. Perché c’è una voce, impropriamente chiamata “del sangue”, che è una vera forza in grado di spingerci alla ricerca dei genitori naturali.
Ebbene, se si vuole snaturare questo sentimento antico quanto il mondo, allora diamo agli omosessuali la possibilità, attraverso il mostruoso istituto dell’utero in affitto (un ritorno a pratiche neoschiaviste!), di adottare bambini che, da adulti, avranno a dir poco le idee confuse.
Ma se il mondo lo vogliamo salvare per davvero abbiamo allora l’obbligo di tenere presente che tra il capriccio di due adulti e i diritti di un bambino non dobbiamo avere alcuna esitazione nella scelta: si deve sempre difendere la persona più debole.
Guido Giampietro
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