La locuzione latina, così come ci è pervenuta, è priva del punto interrogativo che io però ho messo perché non sono del tutto convinto dell’assioma che le parole, a forza di ripeterle, finiscano per essere comprese.
Dunque “repetita iuvant” è un titolo che ha la sua ragione d’essere.
Da qualche giorno sta passando sulle pagine di Facebook una proposta che, prendendo le mosse dall’avviso di vendita del fabbricato che si “appoggia” alla cinquecentesca Porta Lecce, lancia l’idea del suo acquisto da parte del Comune e del successivo abbattimento allo scopo di liberare dalla morsa il lato sinistro di quell’importante vestigia.
Apprezzabilissima idea, ma non proprio originale, visto che, a manifestarla per primo, è stato il sottoscritto sul magazine Tutto Brindisi (Anno 14, numero 7, aprile 2009). Ma non è questo il motivo che mi spinge a tornare sull’argomento.
Ricordo che per convincere gli amministratori brindisini facevo riferimento a una istituzione che a quei tempi costituiva una forte provocazione nella lotta all’abusivismo edilizio e al degrado ambientale.
Mi rifacevo, cioè, all’associazione “Coppula tisa”, attiva nel basso Salento, di cui era stato co-fondatore un regista a quell’epoca emergente Edoardo Winspeare che tanto lustro avrebbe dato alla nostra Terra con le sue opere che, oltre alla bellezza delle storie, portano i profumi della terra e del mare e la luce inconfondibile del cielo salentino.
L’associazione, tuttora operante, prende il nome dal personaggio del fumetto satirico ideato da Norman Mommens e raffigurato da una lucertola con la coppola all’insù, come usavano i nostri fieri contadini d’una volta. Essa, grazie a contribuzioni pubbliche e private, si prefigge lo scopo di acquisire manufatti e siti classificabili come brutture nei confronti del paesaggio (ultimi, in ordine di tempo, le discariche abusive sorte come funghi nelle campagne e lungo la costa) e, successivamente, abbatterli o bonificarli al fine di restituire dignità al territorio.
L’obiettivo, contrariamente a quanto può apparire, non è tanto la “demolizione” spettacolare (come quella degli ecomostri), quanto la “costruzione” di una nuova cultura che riaffermi la supremazia del bene naturalistico o storico, e perciò stesso da tutti godibile, rispetto a quello privatistico, necessariamente egoistico.
Partendo da questo significativo esempio ponevo la domanda a chi, nel caso dell’obbrobrio di Porta Lecce, spettasse l’onere di sanare l’abuso a suo tempo perpetrato. Naturalmente al Comune che aveva autorizzato la costruzione di quel fabbricato! E sempre al Comune competerebbe la sistemazione dell’area liberata, offrendo al cittadino e al turista la possibilità di godere appieno della bellezza della Porta, andando alla scoperta dei camminamenti di ronda, dei parapetti e delle cannoniere deputati ad assicurare la più efficace difesa del lato orientale delle mura.
E, perché no?, fantasticare sul trambusto che, nei momenti di pericolo, doveva esserci nei due locali voltati a botte, situati alla destra e alla sinistra della parte interna della Porta, adibiti a polveriere e alle esigenze del Corpo di Guardia.
Queste sono le opere che, se realizzate, possono giustificare inaugurazioni ufficiali con tanto di taglio del nastro tricolore. E non certo le rotatorie che vengono su come funghi o le sagre di cui è ricco il calendario delle estati brindisine!
Sono dunque soddisfatto per avere rilanciato, dopo circa sette anni, questa proposta? Niente affatto perché, ripeto, le cose ripetute non sempre vengono recepite. Per giunta le mie proposte non sono andate mai a buon fine. Tanto da ingenerare in me la convinzione che, entrate nella Rete, ne escano da qualche buco perdendosi tra le galassie…
Ma poi, a cosa mirano queste proposte? Prima ancora che a una tardiva riparazione urbanistica, a una esigenza di Giustizia. In un mondo dove in ogni momento si reclama Giustizia mi pare ovvio che venga invocata anche per ripristinare un Ordine sovvertito, una Funzionalità disattesa, una Bellezza mortificata.
Che senso ha continuare a cementificare (adesso anche il litorale nord…) quando, per rendere più vivibile l’ambiente e farlo apprezzare di più dai turisti, basterebbe ripristinare le antichità deturpate o addirittura sottratte alla vista occultando i resti che il sottosuolo restituisce in occasione di lavori pubblici?
Si fanno di continuo godibilissimi rendering di opere faraoniche che mai verranno realizzate (il Castello aragonese, il Collegio navale, la zona della Sciaia, il parcheggio multipiano nel cineteatro Di Giulio, il Parco della Rimembranza, il PalaEventi…) e non se ne fa uno che faccia vedere la sistemazione dell’area prospiciente Porta Lecce con il tratto di mura tornate alla luce, le aiole piene di fiori “petulosi”, gli arredi urbani e, perché no?, una bella fontana o magari il busto marmoreo del sindaco Filomeno Consiglio che, nel 1859, s’impose perché il monumento non venisse abbattuto.
In definitiva, perché il Comune dovrebbe acquistare quel (brutto) edificio? Qual è il senso vero di questa operazione di recupero? Si tratta dell’assunzione di una responsabilità storica collettiva sull’uso del territorio e sulla generale perdita del senso della bellezza. Oltre che della necessità di riappropriarci della nostra storia, per cercare di capirla.
Perché se non si capisce la storia non si capisce l’oggi (l’ha ripetuto fino all’ultimo Umberto Eco). E qualsiasi progetto di cultura rischia di diventare un vacuo esercizio d’immagine fine a se stesso.
Guido Giampietro
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