Non ricordo periodi che abbiano visto la città divisa in due come una mela al pari di oggi, a seguito di una campagna elettorale apparsa stancamente ripetitiva e in una sorta di “stand by politico”, divisa a metà tra votanti e non votanti e divisa pressoché a metà tra chi ha vinto e chi ha perso.
Gli è che da molti anni la politica sampietrana si è immiserita nella contrapposizione più che nella proposizione, al di là di questa o quell’opera meritoriamente realizzata (e che va riconosciuta dall’avversario) o dell’accusa di ciò che non si è realizzato o lasciato in abbandono, (che pur deve essere riconosciuta, se vera o giusta, da chi la subisce). Questa mancata reciprocità di riconoscimenti, immiserito nel malato antagonismo del “o con me o contro di me, perché tutto quel che fa l’avversario, anzi il nemico, è sbagliato” è, in ogni caso, insufficiente a rianimare una città con il suo defibrillatore più potente, costituito da quel sentimento identitario di comunità, che pure ho sentito declamare, il cui smarrimento è alla radice di un disamore cittadino sul quale sono germogliati opportunismi, trasformismi, trasversalismi, galleggiamenti del tipo “Franza o Spagna, purchè se magna!” e nel quale gli opposti fanatismi sono stati e sono speculari alla riproduzione e alla riproposizione di un avvilente esistente.
Di fronte a questo spettacolo che dura da anni, non proviamo forse un tuffo al cuore quando rivediamo cartoline, volti, personaggi, luoghi, degli anni 80, 70, 60, 50, cioè dei tempi della nostra migliore gioventù?
Se chiudiamo gli occhi, non ne risentiamo l’odore, non ne riviviamo le emozioni, non naufraghiamo nel ricordo di una struggente bellezza e nella nostalgia di un tempo ormai ingiallito e perduto?
Non ci fanno amare di più la San Pietro di quando essa era il centro invidiato di un crocevia di economia, servizi, politica, cultura, il cuore pulsante di vita sociale attrattiva a cavallo tra Brindisi e Lecce, nella quale l’asprezza dell’infuocata battaglia politica, scevra dal fanatismo irrespirabile e volgare odierno, non deprimeva rispetto e civiltà dei rapporti politici, sociali, umani?
Gli è che l’ospedale, la Pretura, le marine, l’economia agricola, gli uffici pubblici, lo sport, la Biblioteca e gli istituti culturali pubblici e privati, pullulavamo di vita sociale e civile, erano il nostro vanto e orgoglio, avevano forgiato un sentimento comunitario che si sarebbe perduto nei decenni successivi, nonostante iniziative e realizzazioni anche meritevoli e notevoli, da qualunque Sindaco o Amministrazione prodotte.
Perché? Cos’è accaduto? Che ne è stato di questa storia?
Ovviamente sarebbe sterile e fuori tempo massimo ricercare colpe divisive che vanno consegnate e lasciate all’involuzione della storia politica e culturale del paese…nonché alla coscienza di ciascuno di noi.
Né sono puerilmente in discussione provvedimenti nazionali di governo cui poco o nulla potevano e possono le amministrazioni locali. Sarebbe vano andare, come novelli Proust, alla ricerca di un tempo perduto che sappiamo non tornerà più. E’ cambiato il mondo e, con esso, è cambiata la nostra vita.
Eppure ritengo utile cercare le radici di una perdita e di un disamore, in quanto senza passato non può comprendersi il presente né tantomeno avere e immaginarsi un’idea credibile di futuro, di una visione progettuale. Già, di un “Domani”, idoneo anche a svelenire il clima politico e sociale odierno.
Rivedendo il film dall’inizio dei miei ricordi, credo di poter dire che un corale sussulto di vitalità cittadina degno di menzione lo si è avuto, ad esempio, con la storica manifestazione contro la criminalità locale, che restò incredula e ammutolita dinnanzi all’inaspettato oceano popolare di reazione al crimine che avvolgeva il paese in un clima di omertà e che veniva denunciato da alcuni temerari giovani comunisti di belle speranze e da un paio di coraggiosi giornalisti del Quotidiano (Italo Poso e Marcello Orlandini).
Di segni di identità cittadina degni di memoria, in seguito, trovo traccia anche nella vasta reazione popolare, tramite la capillare raccolta di migliaia di firme, casa per casa, negozio per negozio, a tappeto in tutto il paese, contro il Porto Industriale che si voleva creare a Cerano, aggravandolo esponenzialmente di un inquinamento ambientale ancor più insostenibile, organizzato dal comitato 8Giugno negli anni duemila.
Ovviamente si accettano ben volentieri altre segnalazioni ed esempi, involontariamente sfuggiti, che concorrano a rintracciare quel senso comunitario identitario che oggi appare smarito.
Nello stesso tempo occorre riconoscere autocriticamente che anche negli anni “eroici” si è sbagliato qualcosa che ha concorso al medioevo odierno: 1) Nell’inseguimento di un travagliatissimo Piano Regolatore di mera sanatoria che, per il dimensionamento raggiunto, ha impedito e impedisce tuttora uno sviluppo urbanistico diverso e qualitativamente più vivibile del paese; 2) in una zona Artigianale il cui Piano è rimasto chiuso nel cassetto per una decina d’anni -cosa che il compianto assessore socialista di sinistra Norberti avrebbe pubblicamente rimpianto; 3) nella centrale a carbone di Cerano che, benchè avversata dal PCI di San Pietro, in quanto il componente locale del Comitato Federale, Luigi Zonno, su mandato dell’allora giovane segretario di Sezione, votò contro quell’insediamento, che fu approvato invece dal restante organismo provinciale, in un contesto, occorre riconoscerlo, di “debole e flebile” contrasto istituzionale, a differenza di quanto fece Carovigno, che combatté strenuamente, vincendo, contro l’insediamento di una centrale nucleare, al posto della quale ci ritrovammo in sostituzione la nostra centrale a carbone!
Ma a queste non uniche radici “antiche”, nei decenni successivi, se ne sono innestate altre “più moderne”.
Innanzitutto una degenerazione del costume politico nazionale di quel che restava dei partiti, i quali sono diventati disinvolte porte girevoli e culla di ogni inimmaginabile trasformismo e opportunismo, con la conseguente scomparsa di ogni elementare deontologia politica. Abbiamo visto tutto e il contrario d tutto, figli dei tempi… e di un sovraprezzo politico locale.
Può ad esempio disconoscersi che il nostro Ospedale, e non per sciocco campanilismo, ma per la sua baricentricità tra Brindisi e Lecce, per la quantità degli spazi, ma soprattutto per i tanti reparti guidati da un fior fiore di famosi ed eccellenti primari, avrebbe potuto e dovuto conoscere, con una oculata e avveduta, non ragionieristica, programmazione sanitaria e ammodernamento infrastrutturale e urbanistico, e con una più accurata selezione e formazione del personale, un futuro non come quello che oggi si delinea, e idoneo anche a prevenire e a sgravare l’inevitabile ingolfamento del Perrino cui assistiamo?
La Stessa “privatizzazione” della gestione cimiteriale nonché la ”esternalizzazione” del servizio fiscale, al netto delle travagliatissime e dolorose vicende amministrative e giudiziarie innestatesi, non hanno forse fatto inevitabilmente lievitare i costi a carico del cittadino e contribuito a depotenziare l’offerta qualitativa della macchina comunale?
Le marine poi meriterebbero una riflessione molto più amara e articolata.
Ovviamente, qui non si pretende di avere presuntuosamente l’esclusiva della ragione, ma semplicemente si propone di aprire con tutti indistintamente, e collettivamente come comunità, una discussione su ciò che può non essere andato del nostro passato, per non riprodurne gli errori, e ciò che si può e si deve perseguire per il futuro, indipendentemente dalle responsabilità e dal colore amministrativo, oltre ogni deresponsabilizzante e spesso volgare tifo da curva sud o nord che siano, di destra, di centro o di sinistra !
Da inguaribile amante della lezione di Gramsci che cerca di ragionare sulle cose e da berlingueriano impenitente, estraneo a ogni via armocromatica al socialismo, continuo a ritenere, da anni senza la tessera del mio partito, che la sostanza sia più utile e duratura della forma o dell’immagine, fuggevoli come sono.
La vita dei cittadini, oggi come ieri, non vive di apparenze, post, like e twit, ma di condizioni materiali, non di meta vita, ma di vita reale, come il crescente inarrestabile astensionismo dovrebbe insegnare!
San Pietro sembra aver perduto le sue chiavi identitarie. Le è rimasto solo il meritevole gruppo musicale “Santu Pietru cu tutte le chiai”, grazie a Mimino Gialluisi che continua a ravvivare un sentimento perduto!
Eppure, ricominciare è sempre possibile, a patto che si prenda coscienza che occorre ripartire dalla promozione di una rigenerazione morale e civile occorrente alla nostra comunità, cominciando ad esempio a utilizzare nella squadra di governo, con le prerogativa dell’autonoma sindacale, le migliori energie per qualità, competenza, affidabilità, senza il manualetto “cencelli” della bisogna. Sarebbe una svolta!
La città lo chiede soprattutto a quelle giovani e a quei giovani del nuovo assetto istituzionale, qualunque esso sia, negli occhi dei quali desideriamo intravedere i nostri occhi ventenni accesi unicamente dalla speranza e dalla voglia di rendersi utili alla comunità. Ad essi ci sentiamo di aprire e accordare il nostro credito di fiducia, affinché l’Oggi non disilluda il Domani di Lucia Argentieri, la quale lodevolmente afferma di voler riunire una città divisa, per il cui condivisibile obiettivo questo è un disponibile, umile contributo.
Ernesto Musio
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