May 2, 2025

Giornata-mondiale-della-lentezza-logo[1]Il 13 maggio si celebra la Giornata Mondiale della Lentezza. Dopo Milano, New York, Tokyo, Shanghai e Londra, è Parigi la città simbolo dell’evento di quest’anno. E, a quanto è dato sapere, la Ville Lumière si sta preparando all’appuntamento con un maggior utilizzo di bici, mezzi pubblici e car sharing. Oltre ad una più estesa fruibilità delle aree verdi e degli spazi ricreativi.

 

In questa giornata (e per tutta la settimana) la parola d’ordine rimane: rallentare! In che modo? È sufficiente che ciascuno compia anche piccole azioni ispirate ad un modello di società più riflessivo.
Un modello che, tra le altre prerogative, ha quella di combattere la tristezza, riscoprendo una gioia di vivere che già esiste in noi. Anche se non lo sappiamo.

 

Per rimanere in ambito salentino lo “Studio Ambientale Avanguardie” di Nardò propone ˗ per l’11 maggio ˗ un itinerario circolare tra la costa e l’entroterra, tra l’acqua di mare e l’acqua dolce, tra il blu e il verde.

Un trekking tra le opposte sponde di “un’area prima liquida ora solida, che dopo la bonifica e l’aggressione edilizia sta cercando un nuovo equilibrio nella creazione delle aree protette”.

 

Ma cosa ha spinto a creare, tra le tante ricorrenze mondiali, questa Giornata? La constatazione che, purtroppo, è scomparso il piacere della lentezza.

«Dove mai ˗ si chiede Milan Kundera ˗ sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri fra i campi, insieme ai prati e alle radure, insieme alla natura?».
Dove è finito ˗ aggiungo io ˗ l’otium dei nostri padri Romani? Quell’atteggiamento riflessivo sul proprio comportamento e sui valori più alti della vita? Un ozio che, nel mondo di oggi, è diventato sinonimo di inattività. E, come si sa, chi è inattivo è facile preda della noia, e costantemente alla ricerca di quel movimento che gli manca.

 

new yorkBarbara Ehrenreich, in “Dancing in the streets, the history of a collective joy”, ricostruisce la vita di strada delle grandi città come una straordinaria occasione di celebrazione, festa collettiva, vita sociale, allegria dello stare insieme.
Ma per poter fare musica per strada, per potere fare giocare i bambini al gioco universalmente noto della “campana” bisogna avere il ritmo giusto, quello profondamente umano che consente di non aver paura delle auto che arrivano e non avere la schiavitù della “meta”, del posto da raggiungere al più presto possibile.

 

Lo “slowing down” che New York si è imposto da qualche tempo ha senso solo se la città e le sue strade ritornano ad essere un posto per fermarsi, per passeggiare, per lo strascicare dei piedi di chi si sta leccando un gelato in santa pace.

La città che non dorme mai sta cambiando faccia: piste ciclabili, semafori più lunghi, autobus per gli anziani, parchi per bambini…

Ha deciso cioè di andare più piano perché la popolazione invecchia ma anche perché uscire dalla frenesia può essere un buon affare.

 

C’è da augurarsi che torni anche da noi il piacere del passeggio, il sano esercizio delle vasche lungo i Corsi, lo struscio socializzante tra i giovani, la siesta al bar e quella, sempre benefica, “post prandium” (infatti, secondo la scuola medica salernitana, dopo cena o si riposa o si passeggia lentamente…).

Senza contare ˗ è ancora Kundera a dirlo ˗ che c’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio.

Se camminiamo per strada e cerchiamo di richiamare alla mente qualcosa che ci sfugge, che cosa facciamo? Istintivamente rallentiamo il passo e, forse, riusciamo anche ad acciuffarlo quel ricordo.

Viceversa, se camminando riviviamo un’esperienza negativa, aumentiamo l’andatura quasi a voler porre una distanza tra noi e quello spiacevole ricordo.

 

Matematicamente questa situazione si può rappresentare con due equazioni: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio.
Questo è uno dei tanti casi del primato della lentezza sulla velocità.

Anche se… Anche se è sempre in agguato il pericolo di continuare sulla strada della velocizzazione.

È notizia di questi giorni l’uscita sul mercato di un software che serve a leggere molto più rapidamente, risparmiando agli occhi quel movimento che li porta a spostarsi su una riga scritta, perdendo così tempo prezioso.

 

Questo programma, invece, fa passare davanti ai nostri occhi parola per parola di un testo. Tenendole visibili un tempo minimo, quello necessario perché il nostro occhio le riconosca senza leggerle completamente. Eliminando così la “perdita di tempo” di scorrere tra le righe di un testo!

 

Se devo essere sincero l’idea di un testo che si possa leggere lasciando gli occhi impassibili, senza la curiosità, senza cambiare la velocità di lettura a seconda della passione, dell’impazienza, della lentezza data dalla meditazione, o dalla concentrazione o distrazione, mi lascia molto perplesso.

 

riposoUn principe indiano scomparso nel 1989, M. Masud R. Khan, in un saggio intitolato “The Privacy of the Self” diceva che “la creatività è un campo coltivato a maggese”. Cioè un luogo dove si aspetta per capire le cose. Allo stesso modo di come si fa riposare il campo per poi seminarlo con miglior profitto. Aspettare è dunque tutto. Non solo nella lettura ma in tutti gli eventi che accadono nel corso delle nostre giornate “schizzate” dalla mania di fare sempre di più e sempre più velocemente.

 

“C’è un tempo per ogni cosa ˗ dice Qohelet ˗, un tempo per ogni faccenda sotto il cielo: per nascere e per morire, per piantare e sradicare le piante, per uccidere e per guarire, per demolire e per costruire, per piangere e per ridere, per gemere e per ballare, per gettare sassi e per raccoglierli, per abbracciare e per astenersi dagli abbracci, per cercare e per perdere, per conservare e per buttare via, per stracciare e per cucire, per tacere e per parlare, per amare e per odiare, per la guerra e per la pace. Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?”.

 

Allora gustiamocela questa Giornata. Con lentezza, assaporandone tutte le ore, i minuti, i secondi… Andiamo a zonzo come il flâneur, il gentiluomo di Baudelaire che vaga per la città esplorandola. Siamo proprio sicuri di conoscere la nostra città, il nostro territorio…?
E quale dev’essere il ritmo da dare ai nostri passi?

Non c’è dubbio alcuno: un “andamento lento”, alla Tullio De Piscopo, uno scivolare come un’onda libera che ti porta via…

 

Guido Giampietro

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