April 2, 2025

“Il blues è il mistero che vive in me”. (Martino Palmisano)

Dario aveva imparato a suonare l’armonica. I vinili di Little Walter e Sonny Boy Williamson erano degli ottimi supporti sonori per affinare la tecnica sull’antico strumento a fiato. Joe suonava anche gli spoon, dei cucchiai sbattuti ritmicamente come rudimentali percussioni.
“Nessun genere come il blues ha saputo descrivere i sentimenti e la speranza”, raccontavano i due musicisti.

In effetti Dario e Joe condividevano esperienze drammatiche per motivi diversi. Oltre alla musica, sembrava che non ci fosse altra scelta per i mestieri che avrebbero potuto svolgere. I due amici iniziarono ad affinare la tecnica blues cominciando ad esibirsi come artisti di strada.

Inizialmente non avevano un posto fisso, ma i due nuovi buskers iniziarono a creare una mappa con le principali piazze e i posti più attrattivi del Salento.

Non sempre venivano accettati nelle feste popolari. Durante la sagra della “Pitta culle ulie”, un vigile urbano, noto nella zona per i suoi modi bruschi, pensò di intervenire durante una loro esibizione, minacciando i due artisti di sequestrare e rompere gli strumenti musicali se non si fossero allontanati subito dal paese. Il vigile era vicino alla pensione.

Aveva un passato come consigliere comunale nel partito di maggioranza. Referente per un politico leccese, aveva conosciuto e aiutato molti giovani in cerca di un posto di lavoro. Nonostante il carattere burbero, era venerato e rispettato dai suoi paesani. Avrebbe potuto fare contemporaneamente il sindaco, il vigile, il medico, il farmacista e anche il parroco del paese, nessuno avrebbe detto niente, nemmeno la chiesa a cui rivolgeva il suo impegno come laico cristiano nei fine settimana.

Una pancia pronunciata faceva da sfondo ad una divisa bianca con i bottoni dorati in sofferenza, i pantaloni corti sulle gambe, risaltavano i calzini bianchi a righe rosse sui mocassino neri e lucidi.

Era un ex capellone, gli erano rimaste delle lunghe ciocche di capelli grigi sulla nuda cute in bella mostra sul berretto. Era sempre ripiegato sul proprio dovere.

Aria buffa e mente scomoda, implorava un comportamento disciplinato durante le feste patronali. Girava voce che dopo giorni di lavoro per montare la grande cassa armonica nel centro della piazza del paese, il solerte vigile aveva fatto scattare i sigilli perché posizionata alcuni metri avanti, togliendo visibilità ai clienti seduti sui tavoli del bar del cognato.

Nonostante tutto, Dario e Joe cercavano di eludere i controlli. Con i primi soldi guadagnati sulla strada e in qualche locale, i due musicisti riuscivano a pagarsi la benzina durante gli spostamenti e a garantirsi la cena. Quella strana coppia, ben assortita musicalmente, cominciava a farsi conoscere. Nelle canzoni non c’era solo sofferenza ma anche tanta voglia di vivere, di credere e parlare con Dio:
“Yes, God is real, Oh He’s real in my soul. Yes, God is real. His love for me: Is just like pure gold, oh Lord. My God is real for j can feel”. (Mahalia Jackson)

In quei brevi viaggi nel Salento, i due buskers avevano incontrato altri artisti con cui avevano condiviso le storie personali davanti a un panino consumato nei fast food. Nacque così l’esigenza di trovare un posto dove riunire le varie anime dedite all’arte. La scelta cadde sul locale già esistente sul litorale adriatico. Rappresentava una sede stabile e sicura dove poter programmare gli spettacoli. L’idea era quella di organizzare una rete di artisti che potesse garantire un certo numero di spettacoli musicali e teatrali. Dario era diventato un personaggio tuttofare: cantante, armonicista, chitarrista, autore e organizzatore di eventi. Era soprattutto un ragazzo simpatico, capace e affidabile.

L’unico neo era l’uso del dialetto a tratti incomprensibile anche se pittoresco e divertente. C’era sintonia con tutti: gli sguardi, le battute e la comprensione venivano di conseguenza attraverso il feeling umano e artistico.

“Insieme a Joe stiamo lasciando il cuore e l’anima” – diceva Dario – “Ci dispiace che, a parte una ristretta cerchia di pubblico, non esiste molto interesse per il blues”.

Nel loro peregrinare da un posto all’altro, i due bluesman avevano conosciuto Gaetano, un nuovo artista folle che suonava un contrabbasso rudimentale. Era composto da una tinozza in lamiera con una corda fissata a un bastone poggiato sul bordo. La rilettura in chiave acustica di vecchi tradizionali e la bellezza delle canzoni fuoriuscivano allo scoperto. Ogni canzone era preceduta da una breve presentazione dove i musicisti spiegavano l’origine del brano:

“Ci piace suonare i vecchi classici e il blues tradizionale. Il nostro è un omaggio ai grandi padri del blues. Le nostre esibizioni sono anche un ringraziamento verso tutti quegli artisti neri che con sofferenza per la discriminazione razziale ci hanno donato e lasciato in eredità non solo la musica ma le grandi lotte sociali, i valori umani e un unico e grande pensiero, quello di essere uomini liberi e uguali, senza distinzione di sesso, colore e religione”.

L’esibizione acustica con gli strumenti scarni e tradizionali rappresentava un valore aggiunto. In questo affascinante viaggio, il film della vita diventa occasione per diventare protagonisti. Il blues è nella sostanza. Il sudore, le lacrime, il coraggio fanno da cornice a una nuova dignità fatta di piccoli gesti. Dopo aver suonato per quasi tutto il giorno, Dario e Joe cercavano di arrivare alla fine della giornata nel migliore dei modi. L’entusiasmo e l’eccitazione si respiravano nell’aria. Erano diventati operai della musica e andavano dove il blues chiedeva. La sera, la stanchezza svaniva come neve al sole. Le ore passate tra la folla a suonare Brown McGhee e Sonny Terry, Lightinin’ Hopkins, Mississippi John Hurt e Son House, sembravano rigenerare i due giovani. Nei brani c’era molta istintività e libertà creativa. Spesso ricorrevano all’aiuto di alcuni amici artisti che durante le esibizioni dipingevano malinconicamente scene di vita vissuta, racconti d’amore e interesse per la musica con il colore sui pennelli. Era un altro miracolo vissuto sulle strade.

“Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima”. (George Bernard Shaw)

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