May 4, 2025

Etichetta: Parlophone

Genere: pop, songwriter

Damon Albarn ha sempre avuto la fissa dei robot, pur non citandoli direttamente nei suoi testi ne riversava comunque la materia caratterizzate, la serialità apatica, nelle canzoni dei suoi Blur. Nome ingombrante quello della band di origine, con cui Albarn oggi nelle vesti di songwriter non può non fare i conti, anche se nel mezzo ci sono stati i Gorillaz, i The Good The Bad & The Queen ed i Mali Music, i Blur rimangono pur sempre i Blur, quel fenomeno musicale e mediatico che spopolò nella terra di Albione con scomodi paragoni di isterismo fanatico di beatleasiana memoria. Come un po’ tutte le star che divengono “consapevolmente” ingranaggi della macchina dello spettacolo, Albarn ha sviluppato una forma di autocoscienza riflessa (nelle telecamere, nei videoclip, nei pareri dei fan, negli spietati tabloid), che sfocia nell’immaginario del robot. Cos’è un robot se non una creatura artificiale creata per essere comandata, gestita, indirizzata? Forse un artista pop al vertice del successo non è da meno? Attento ad ogni minima sbavatura, costretto a “darsi” per non vedere la propria stella cadere, i consulenti d’immagine dietro ogni angolo. Albarn oggi ha 46 anni, 23 anni in più dall’esordio Leisure. Il tempo dei jingle scanzonati sembra essere finito, ai colori sgargianti dei video dell’adolescenza (il cui declino era già intellegibile nella tristissima epopea lattea di Coffe And TV) Albarn preferisce lo scarno colore bianco ed uno sgabello, gli unici elementi che spiccano nella copertina del suo Everyday Robots.

Un disco maturo, e non potrebbe essere altrimenti, che è prima di tutto la fotografia di un musicista che combatte le sue angosce, come la paura di rimanere soli in un mondo sempre più abbandonato a partecipazioni virtuali. Tono sommesso, soffici orchestrazioni ed un ritmo dilatato, sono questi gli ingredienti di Everyday Robots, a cui si aggiungono brevi incursioni nel gospel e l’elettronica. Un disco che è un viaggio nell’anima e nei ricordi di Albarn, come in “Mr. Tembo”, brano in cui compare il Leytonstone City Mission Choir, il coro delle domeniche d’infanzia passate in chiesa o la sincera confessione della dipendenza da eroina in “You And Me”, un sofferto ricordo degli effetti collaterali provocati dalla fama Blur. “Heave Seas Of Love” è invece il brano finale che vede la collaborazione dell’elettronico Brian Eno. Pare che i due si siano incontrati in palestra e che Albarn abbia parlato ad Eno del suo progetto, suscitando il suo interesse (due musicisti di fama mondiale si incontrano in una palestra e decidono di collaborare, succede anche questo).

Everyday Robots è il disco della conferma, frutto di un lavoro ricercato ed accurato che dimostra le doti compositive di un Albarn oggetto del duello tutto casalingo con l’altro pezzo da novanta dei Blur, Graham Coxon, spesso citato come talentuosa mente pensante della band. Un disco da ascoltare, avendo l’accortezza di mettere da parte i Blur.

James Lamarina

No Comments