Giovanni Antonino, ex sindaco di Brindisi condannato dalla Corte dei conti nel 2011 a risarcire oltre 2,2 milioni di euro per danni erariali, verserà al Comune solo una piccola parte del dovuto: 252mila euro, rateizzati in 35 anni. Una cifra irrisoria rispetto all’entità della condanna, che riconosceva la responsabilità dei danni di immagine per fatti di corruzione, concussione e disservizio nell’esercizio della funzione pubblica.
Tutto nasce da una procedura di sovraindebitamento attivata da Antonino tramite il proprio legale – Vito Birgitta, segretario cittadino del Partito Repubblicano – e omologata dal giudice Ivan Natali del Tribunale di Brindisi. Il piano prevede versamenti mensili da 600 euro fino al compimento del 102° anno d’età dell’ex primo cittadino. Il giudice ha ritenuto congrua l’offerta rispetto alle condizioni patrimoniali dell’istante, giudicandola “più favorevole della liquidazione”.
Una valutazione che, però, non è stata condivisa da altri soggetti coinvolti nel procedimento. La Procura della Repubblica di Brindisi ha definito il piano “una presa in giro”, ricordando che il sovraindebitamento di Antonino deriva da responsabilità penali e contabili accertate in via definitiva. Anche la Corte dei conti ha espresso parere fortemente contrario, rilevando non solo l’origine dolosa del debito, ma anche comportamenti pregressi – come la donazione immobiliare ritenuta fraudolenta – che escluderebbero il requisito di “meritevolezza” richiesto dalla legge per accedere a questo tipo di procedura.
Nonostante ciò, il piano è stato omologato. A presentare tempestivo appello contro la sentenza è stata solo l’Agenzia delle Entrate. Il Comune di Brindisi, invece, non ha intrapreso alcuna iniziativa entro i 30 giorni previsti dalla legge.
Il sindaco Giuseppe Marchionna ha dichiarato di aver appreso della decisione solo dopo la sua pubblicazione e ha richiamato una questione di “delicatezza istituzionale”, vista la presenza del figlio di Antonino – Gabriele – alla presidenza del consiglio comunale.
La mancata tempestiva reazione dell’amministrazione comunale, che pure si era costituita nel procedimento, ha sollevato grosse perplessità. Pur senza formulare giudizi, resta il dato oggettivo: il principale ente creditore, il Comune, non ha proposto reclamo contro una sentenza che cancella oltre due milioni di crediti derivanti da un grave danno alla comunità. Un’occasione, almeno per ora, mancata per far valere l’interesse pubblico in una vicenda che per anni ha pesato sulla storia e sull’immagine della città.
Come ha osservato il Partito Democratico, quei fondi avrebbero potuto essere destinati alla messa in sicurezza delle scuole e delle strade. E come ha sottolineato l’ex sindaco Riccardo Rossi, colpisce che a impugnare la decisione sia stata solo l’Agenzia delle Entrate. Il silenzio del Comune, in un contesto tanto delicato, rischia di suonare come una rinuncia, se non altro sul piano della determinazione istituzionale.
È ancora possibile riconsiderare le scelte fatte. Ed il Comune, anche se sono trascorsi i termini per impugnare, lo può fare sia con un ricorso incidentale a quello presentato dall’Agenzia delle Entrate, sia con una memoria ad adiuvandum entro i termini legislativamente previsti. L’interesse della città, al netto di ogni “delicatezza”, merita risposte chiare.
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