September 18, 2024

Giuseppe Blasi è l’autore di “Brindisi mia”, una poesia dedicata alla città pugliese e che racchiude al suo interno un messaggio per la cittadinanza tutta, un segnale politico di stampo identitario.

A detta dell’autore stesso, si tratta di “una poesia semplice dal contenuto significativo. Pertanto era inevitabile che la scrivessi in dialetto”.

Brindisi mia, quantu mi manchi…
Avi assai ca no ti vetu
e no ti sentu comu a prima.
Ti ricordu ancora quandu brillavi,
pi mei eri la chiù bella,
mi facivi emozionari.
No si chiui quedda di na vota,
ma no ti disperari,
prima o poi tuerni a brillari.
Non eti mica colpa tua,
ca di bendda si bendda
e la storia non ti manca.
E dicimulu na vota,
eti lu populu ca ti rruvina.
Cumbatti sempri Brindisi mia,
no ti firmari,
ca li cosi prima o poi ‘anna cangiari.

 

L’autore spiega:

“Questa è una poesia che ho scritto un po’ di tempo fa, mentre a scuola – studente dell’istituto professionale Alberghiero di Brindisi – iniziavo a studiare la storia della mia città. Il testo è dedicato a Brindisi e cerca di coniugare le impressioni attraverso gli occhi di una persona adulta e di un ragazzo -che lavora e continua a studiare- di 19 anni.
Talvolta, quando la facevo leggere ai miei professori, mi chiedevano perché proprio con gli occhi di un adulto: si cerca spesso di mettere in primo piano la visione fanciullesca di pascoliana memoria quando si scrive una poesia. Io, però, ho sempre creduto che un adulto abbia visto passare gli anni più belli anni della vita di questa città, l’ha vista crescere insieme a lui negli anni dello sviluppo che l’ha travolta. Proprio per questo ho chiesto ai miei genitori, ai nonni com’era questa città: me l’hanno sempre raccontata con tanta malinconia per ciò che era e che oggi non è più. L’ho voluta raccontare anche con gli occhi di un ragazzo, della persona che sono, con lo sguardo di chi la vive oggi, tra degrado e opportunità mancate o assenti, con le sue potenzialità e i suoi difetti.
Queste due visioni si sposano perfettamente, perché l’adulto guarda il passato, lo rimpiange e spera in un futuro, il ragazzo guarda il presente, lo critica anche aspramente, però pure lui spera nel futuro. Così vengono incatenati tra loro tutti e tre gli archi temporali: passato, presente e futuro. E quest’ultimo è presente in tutte e due le prospettive, dell’adulto e del ragazzo”.

 

Le due visioni sono tra loro distinguibili, leggendo attentamente la poesia. Già dai primi versi si percepisce un po’ di malinconia per il passato che contraddistingue l’adulto, con quel “mi manchi” (v.1) come non ci fosse più ciò che vi era una volta, con quel “Avi assai” (v.2) che è un’accezione temporale nel dialetto locale che sta a significare “da molto tempo” e ancora con quel “mi facivi emozionari” (v.6). Infine arriva la speranza nel futuro con quel “prima o poi tuerni a brillari” (v.9), che in italiano sta per “prima o poi torni a brillare”.
Successivamente si va a delineare una visione più ramificata nel presente e realista, con quel “Non eti mica colpa tua, ca di bendda si bendda e la storia non ti manca.” (v.10-12), che in italiano sta per “Non è mica colpa tua, per essere bella sei bella, e la storia non ti manca”, e ancora con “eti lu populu ca ti rruvina” (v.14) e infine quella speranza nel futuro che sta nel “li cosi prima o poi anna cangiari”, che in italiana sta per “le cose prima o poi dovranno pur cambiare” (v.17).

 

L’autore spiega come la sua poesia sia chiaramente un appello alla cittadinanza. “Non mi voglio soffermare molto sulla visione adulta presente all’interno della poesia, che riguarda il passato, ma piuttosto sulla mia visione, quella del presente della città. Una prospettiva che non è pessimistica, anzi; nella poesia scrivo …

 

Articolo a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo
Foto: Stefano Piccirillo

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