May 1, 2025

V PARTE
LE DONNE (SOLO QUELLE) E NON I CAVALIER, L’ARMI E GLI AMORI IO CANTO.
OMAGGIO ALLE PRINCIPALI FIGURE FEMMINILI PRESENTI NELLA LETTERATURA MONDIALE

LA CIUCCIA TOTALE E ASSOLUTA  (vietato ai minori di anni 18)
Lei giaceva ferma, immobile, sprofondata in una specie di sonno, di sogno. Rabbrividì solo quando percepì la mano di lui muoversi delicatamente, anche se in modo goffo e impacciato, tra i suoi vestiti. Però sapeva anche come spogliarla, quella mano, proprio lì dove voleva. Le tirò giù lentamente la sottile guaina di seta. Poi con un fremito di inaudito piacere, le accarezzò il ventre morbido e caldo, e le sfiorò l’ombelico con un bacio. E, immediatamente, dovette entrare in lei, penetrare la quiete terrena del suo corpo languido e arrendevole. Per lui fu un momento di pace intensissima entrare in quel corpo di donna…
Lady Chatterley è la classica femmina da rasko dei nostri sogni, l’ape vagina, la donna tutta tana, l’amante perfetta, assetata di sesso, che detiene un baule di voglie represse, di indicibili desideri freudiani, una che, pur essendo generosamente saziata dal suo ganzo, resta sempre insaziabile, perché deve recuperare anni di arretrato e perché si pone l’obiettivo di conquistare la catarsi liberatoria finale, dando un calcio alle convenzioni e all’etichetta.
Il maestro di provincia David H.Lawrence, dotato di una prosa un po’ decadente, pesantuccia e a volte quasi dannunziana nell’accezione peggiore del termine, con questo romanzo scandaloso, splendidamente osceno, precocemente hard, scritto nel 1928 a Firenze ma circolante solo dal 1945 in avanti, si dimostra davvero un maestro disegnando la figura della ciuccia perfetta, dell’eroica moglie che si ribella alla società, alla morale post vittoriane e al destino cinico e baro che ha voluto riservarle un marito cionco e impotente.

Connie-Con (vagina in francese) Chatterley è una donna colta, conosce la musica, la letteratura e le lingue, e proprio per questo viene attratto dal suo polo opposto, il rozzo, ignorante, Mallors, il guardacaccia che parla poco, dice parolacce, ma scopa come un dio.

E’ il sacerdote-pan signore dei boschi che l’inizierà al culto dell’eros selvaggio e totalizzante. Quello che compiono nel capanno, accanto al caminetto, mentre fuori la pioggia batte a macchina sulle foglie degli alberi. Non sono amplessi ma accoppiamenti carnali animali, che accendono la libera, naturale forza degli impulsi. I loro gemiti sono un canto primitivo, una sorta di inno pagano alla rigeneratrice potenza vitale del sesso.

 

Ancora una volta, Eros se ne fotte di Thanatos!

Quando è sotto il suo Siffredi, il volto di Connie si illumina di immenso, e secondo me non può che somigliare a quello della Giuditta klimtiana: narici dilatate dall’estasi, occhi semichiusi nel momento del piacere, bocca dischiusa ancora avida di baci e forse di qualcos’altro … Siamo ai famosi 21 di felicità, solo che in questo caso i grammi della canzone di Fedez non c’entrano… Connie in quei frangenti, non è solo lady Chatterley ma anche Lady Godiva, anche Pasifae, considerato che il suo torello la monta con foga appagante.
Connie è una femmina passionale dagli orgasmi multipli e il suoi corpo vibrante la raffigurazione plastica della lascivia elevata a categoria estetica. E’ la natura, lei non ci può far nulla, ha l’utero cannaruto, la vulva avida di nettare mascolino, la gola profonda, il secondo canale non oscurato (vedere l’elogio del culo della Lady fatto dal rude scopatore alla fine del cap.XV). Il suo avvinghiarsi come una piovra infoiata all’ implacabile amante, vero tecnico di carotaggi femminei, è il trionfo della lussuria intesa non come vizio o peccato, ma come arte e nobile virtù dionisiaca.

 

Sempre a proposito di estetica, questa ciuccia disinibita, aperta a godere dei tripudi dei sensi, persegue la sfera della felicità non attraverso canoni ispirati alla bellezza, ma alla durezza.

Il suo esigente durometro ha rilevato, nel rude guardacaccia, un penetratore con un valore della scala Shore pari a D100.

Questo Mallors (Il nome di battesimo è Oliver ma compare poco nel romanzo), è molto falloso, ma la sua benigna arbitra non lo ammonirà mai: continuerà a farlo giocare come vuole, fino a farsi mettere in cinta, fino a farsi portare via dal marito e da quell’opprimente casa. E nel finale del romanzo, state tranquilli, la consapevole adultera non si butterà certo sotto un treno, ma al massimo sotto un altro macho. Per combattere il grigiore della vita, il tran tran domestico. Una volta fatto lo stretto necessario per adempiere anche minimamente ai doveri di compagna, tutto il resto è foia, solo foia…

 

Mi scuso se questa analisi ha suscitato indignazione in qualche lettore (più probabilmente lettrice), ma ho solo voluto cimentarmi in un nuovo “esercizio di stile” abbastanza sperimentale, quello che contempla un’esegesi formalizzata con il medesimo linguaggio hardcore con cui è scritto il romanzo preso in esame …

 

LA DIVINA NINFETTA
Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia., Lo-li-ta: la punta d“ella lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo-Li-Ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita”.

 

E ora ditemi se vi siete mai imbattuti in un incipit letterario più lirico, intenso, originale di questo. Un formidabile biglietto da visita con cui lo strampalato professor Vladimir Nabokov, russo fuggito prima in Inghilterra poi in Francia, infine nel nord America, dove venne naturalizzato cittadino statunitense, fornisce un piccolo assaggio di questo suo strepitoso novel tutto impostato su uno stile letterario sofisticato, elegante, volutamente ricco di ridondanze, allitterazioni, calembour, rimandi, citazioni, digressioni. Maniacale, almeno quanto la passione morbosa del maturo protagonista professor Humbert-Humbert (l’alter ego di Nabokov, che gioca persino a scacchi, proprio come il suo creatore), l’abuso dei dettagli che adornano il fil rouge della narrazione. C’è un intero capitolo dedicato all’illustrazione della tecnica tennistica della piccola Lo. E poi una miriade di zoomate che dettagliano ciò che, ad una prima, distratta lettura, può sembrare insignificante

 

Ma non è così! La magia del Maestro sta proprio in quella esagerata semina di indizi e fatterelli a prima vista superflui ma infine necessari per la ricomposizione di un puzzle che restituisca senso e unità a questo intreccio di storie minime intessute di particolari fluttuanti che infine convergono nell’anima del racconto e nel cuore dell’attento lettore. La cosa incredibile è che questo stile unico nabokoviano, malgrado la sua intrinseca letterarietà e l’uso di un lessico elaborato e alto, non stanca affatto, non satura, non implode, non scade mai nella grafomania greve ma, al contrario, avvince, cattura, strega il destinatario, lo fa sentire partecipe delle emozioni di quello psicodramma particolare ( E’ il primo romanzo che tocca, con tanta finezza, il tema della pedofilia)

Ma il mago Vladimir va oltre, spinge il gioco intellettuale fino ad avvalersi generosamente della tecnica dei rimandi intertestuali, delle allusioni, delle connessioni e delle citazioni, a volte implicite.

 

 

Questo professorone è avanti almeno di vent’anni nell’idea di coinvolgere il lettore a “giocare” con l’autore. Preannuncia Eco e soprattutto Calvino. Quando, nel 1979, Italo Calvino dà alle stampe “ Se una notte d’inverno un viaggiatore”, per più volte si rivolge direttamente al lettore (“Stai per cominciare a leggere il mio nuovo romanzo. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni pensiero. Ecc.”) proprio come aveva fatto, nel lontano 1955, il cantore di Lolita. Un’altra anticipazione dei costumi americani di quegli anni sta nella moda delle scorribande in auto per tutti gli States, tema del coast to coast che va dal leggendario “ On the road” di Jack Kerouac, il profeta della beat generation, al mitico “Thelma e Louise”, film cult del 1991.

 

 

Anche dal romanzo Lolita furono tratte due riuscite versioni cinematografiche, la prima, del 1964, per la regia del grande Kubrik, la sceneggiatura dello stesso Nabokov, con un convincente James Mason nella parte del maturo disturbato Humbert e un’eccezionale Sue Lyon in quella della ragazzina dodicenne..

La seconda versione è del 1997, per la regia di Lyne, con belle musiche di Morricone, Jeremy Irons nella parte di Humbert e la debuttante Dominique Swain in quella della diabolica , lunatica, piccola ninfa. Sì, perche le “ninfette”( termine di cui Nabokov ha il copyright esclusivo ), non sono affatto divine come nel mio titolo di testa, perché “ la loro propria natura non è umana, ma di ninfa (e cioè demoniaca) e intendo designare queste elette creature con il nome di ninfette “. Il romanzo “Lolita” vide la prima edizione italiana solo nel 1959, per i tipi di Mondadori, edita nell’elegante collana “Medusa”, copertina bianca con sottili riquadri verdi.

 

Quelli erano gli anni in cui le borghesie di tutto il mondo soddisfacevano la loro pelosa voglia di peccato e di pettegolezzo nutrendosi di storie scandalose. Negli Stati Uniti delle famiglie -tipo alla Doris Day, come nell’Italia bacchettona di Fanfani e di Padre Pio, andavano forte romanzi come “I peccatori di Peyton Place” di Grace Metalious ( 1956), da cui fu tratto una pellicola di successo, e film come “Scandalo al sole”(1957), che si avvaleva di una formidabile colonna sonora. Anche questo lavoro era tratto da un best seller, scritto da Sloan Wilson.

 

 

Lo scandalo procurato da “Lolita” fu dovuto solo all’argomento tabù, perché in effetti, nelle oltre quattrocento pagine del testo, non vi è una sola volgarità o descrizione di amplessi o comunque di giochi erotici. E’ uno dei rari esempi di erotismo lirico, di sesso praticato ma non descritto, di pornografia che rimane congelata allo stato potenziale, latente, in quanto sublimata a livello di passione amorosa vissuta ma non documentata. Solo clima psicologico, sensualità, una certa dose di ironia malinconica e il miracolo artistico di una prosa densa e fluida al contempo. “Lolita” è un doloroso canto d’amore ma, attenzione, anche di morte. E’ un iper romanzo che, come tutti i capolavori, si presta a vari livelli di lettura e quindi di godimento. Tutto dipende dalla sensibilità e dalla cultura di ogni fruitore-destinatario.

 

 

Un libro cult come “Lolita”, si presta magnificamente ad essere manipolato. Lo sapeva bene anche il prof. Nabokov che , nel suo ultimo romanzo del 1974, “ Guarda gli arlecchini”, ironizzò molto su se stesso e su quel famoso, tribolato romanzo.

 

 

Per quanto riguarda la parodia pura, non si può non citare la straordinaria “prova d’arte” del geniale Umberto Eco che, nel 1963, in “Diario Minimo”, sicuramente ispirato dalla curiosa coincidenza di chiamarsi Umberto proprio come il protagonista maschile del romanzo, si inventò quattro paginette irresistibili che facevano il verso a Lolita. Il pezzo si chiamava… Nonita ed era dedicato ad una flaccida, bavosa, cadente nonnina ottuagenaria.
Ecco l’attacco echiano: “Nonita. Fiore della mia adolescenza, angoscia delle mie notti. Potrò mai rivederti. No-ni-ta. Tre sillabe, come una negazione fatta di dolcezza. Mi chiamo Umberto-Umberto. Quando accadde il fatto soccombevo arditamente al trionfo dell’adolescenza. Etc.”

 

Ancora più avanti nel tempo, nel 1983, qui da noi, sulle pagine dell’ “Eco di Brindisi”, un oscuro pubblicista trentacinquenne propose un racconto breve dal titolo “Demita” Iniziava così: “Demita, fiore delle mie notti, fuoco del mio ventre. Mio peccatuccio, amore mio. Potrò mai riabbracciarti? De-mi-ta. Tre sillabe come una specificazione fatta con arrapante dolcezza. Mi chiamo Tina-Tina (n.d.r. Tina Anselmi , il primo ministro donna italiano).Quando accadde il fatto già soccombevo al trionfo della senescenza … ecc.

 

A pensarci bene, il gioco può continuare all’infinito. Per esempio, scorribandando nel campo … di calcio, si potrebbe tirare fuori un “Pipita”. Pipita, luce della mia Juve, fuoco del mio tifo. Mio eroe, campione mio. Pi-pi-ta. Tre sillabe come una tripletta fatta con mostruosa destrezza … Era Pi, semplicemente Pi, al mattino, nello spogliatoio, in mutande e con un calzino solo, ritto nel suo metro e ottantaquattro. Era Gonzalo, a mensa, in pantaloncini. Era Higuain sulle linee tratteggiate del campo. Ma nel mio cuore tifoso era sempre Pipita.”

 

Quella di essere parafrasata è la nobile fine che sempre viene riservata ai capolavori assoluti. Ne sanno qualcosa il “Don Chisciotte”, “I Promessi Sposi”, “La figlia di Jorio”…

 

Sull’argomento “Parodia” tornerò un’altra volta e in maniera più approfondita, perché è un genere letterario che mi ha sempre affascinato e che mi auguro risulti interessante anche a quei venticinque eroici lettori che hanno la pazienza di seguire i miei voli.

 

(fine)
Gabrierle D’Amelj Melodia

 

Le Donne (solo quelle), omaggio alle principali figure femminili della letteratura. Di Gabriele D’Amelj Melodia. I PARTE:
Le Donne (solo quelle), omaggio alle principali figure femminili della letteratura. Di Gabriele D’Amelj Melodia. II PARTE:
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