May 3, 2025

Ci fu un tempo di ottimismo e crescita economica in cui a un titolo di studio seguiva più o meno proporzionalmente la possibilità di accesso diretto al mondo del lavoro.

Era un tempo in cui sulla soglia dei trent’anni era possibile immaginare di tirare su mattone dopo mattone una casa, acquistare un’automobile e chissà, se fortunati anche costruire una famiglia; una fascia di giovani ricompresa tra gli ultimi nati dei Baby Boomer e quelli a cavallo della generazione X, dal 1950 al 1980.

Trent’anni che pur costellati di tragedie politiche, lotte per i diritti, tagli alle gonne, anni di piombo promettevano a un certo punto, tra i 25 e i 30, la possibilità di costruire qualcosa.

 

Oggi, nell’epoca della velocità non solo su auto elettrica, ma di vita, dell’interconnessione globale, della piscosi post-crisi, è venuta al mondo una generazione disillusa; low cost, non solo nel modo di vestire, di viaggiare, ma soprattutto di valore.

 

È la generazione stage: retribuita tra l’euro e trenta e i tre euro l’ora che sogna di sbarcare il lunario passando da un tirocinio senza ticket restaurant e una vaschetta di pasta fredda cucinata la sera e uno che permette almeno di contribuire all’affitto, nella speranza che prima o poi ne derivi una certa stabilità. Una schiera di forza lavoro altamente qualificata ad alto tasso di turnover.

 

Un rituale di passaggio dove alle 50 ore settimanali di lavoro si affianca la favola della formazione, che giustificherebbe la bassa retribuzione, chiamata rimborso spese. Una fetta cospicua della società che al termine dei sei mesi si chiede “cosa ne sarà di me?”, ma nonostante tutto, aggiorna il curriculum e invia altre candidature. È la generazione che riesce a cambiare città con una destrezza impressionante, impacchettando la propria vita nello spazio di tre scatoloni.

 

Giovani iper-istruiti, che si aggirano nelle aule di master pubblici e privati e che col sostegno della propria famiglia, sperano in “un prima o poi anche a me”.

Laureati che vorrebbero pianificare almeno parte della propria vita, nella consapevolezza che però è impossibile, che hanno viaggiato e di cui spesso poco si racconta.

È la generazione Erasmus, contenta di aver amici in qualsiasi parte d’Europa e oltre, ma frustrata perché i propri coetanei, cittadini di altri Paesi alla veneranda età di 28/30 anni non avvertono quell’ansia da prestazione, che purtroppo permea il tipico millennials italiano.

 

Spesso ci si chiede perché i giovani in Italia crescano più tardi, la risposta è perché spesso viene negata la possibilità di crescere, di poter progettare il domani, di poter scegliere dove e da che parte stare.
Una generazione che pur lontana da casa, centinaia, anche migliaia di chilometri si è riunita sabato davanti alla tv o in streaming, per guardare lo speciale di Linea Verde sulla Puglia, sorridendo alle parole del pescatore che raccontando delle sciabbiche incorniciava un pezzo di storia e che con commozione sentiva vicino il profumo della fritta lontana, e così immediatamente un messaggio a parenti e amici con scritto “Mado come la vorrei ora”. Ragazze e ragazzi col mare tra i capelli, libri sul groppone e 400 euro in tasca per sopravvivere.

 

Sono le storie di coloro che ogni giorno si mettono in gioco nella speranza di un futuro, perché sanno che i diritti passano dai doveri, e in questo ci hanno sempre creduto. E così un nuovo stage inizia, un altro finisce, eppure non si perde mai la voglia di cambiare.

 

Ma l’attualità e la storia insegnano e segnano: accade infatti, che dopo otto anni anche per la Grecia sia finita l’era della Troika, l’Eurogruppo ha promosso il Paese alleggerendone il debito, si scopre poi che in Grecia uno stagista con un livello di formazione come in Italia può ottenere rimborsi che si aggirano tra i 500 e i 700 euro in media, con un costo della vita di gran lunga inferiore a quello italiano. E allora, anche i più forti sostenitori della bellezza italiana vacillano, e così il pensiero di fare le valige, di nuovo non è poi così irreale. Perché in fondo, sai che c’è, arrivati a questo punto anche la Grecia non è poi così male.

 

 

Vanessa Gloria

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