A volte la musica non ha bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. A volte basta che dica la verità. Domenica 10 agosto, alle ore 21, sulla pietra chiara di piazza Duomo, nello spazio antistante il Museo Archeologico “Ribezzo” di Brindisi, il cartellone di “Verdi in Città” si chiude così: con “Rose di me”, il concerto in trio della cantautrice brindisina Paola Petrosillo, accompagnata da Valerio Daniele alla chitarra e Marco Bardoscia al contrabbasso. L’ingresso è libero.
“Rose di me” è un’immagine che si apre a più letture. Una rosa, forse, che nasce dentro. O frammenti di sé che affiorano con la forza e la grazia dei petali. Ma è, anzitutto, il titolo del primo disco da solista di Paola Petrosillo, artista da anni impegnata in un lavoro di ricerca musicale che intreccia scrittura, oralità, etnografia e suono. Nove canzoni nate “dal giardino degli ultimi dieci anni”, come ama dire lei: un diario in forma di musica che non alza il tono ma scava piano. Ogni pezzo è un piccolo tratto dentro: di una ferita, di una nostalgia, di un’infanzia che resiste sotto la pelle, di un dettaglio che resta anche mentre tutto cambia.
Paola Petrosillo canta come quando si racconta qualcosa a bassa voce, per pudore o per affetto. Ogni canzone ha il passo delle cose vere: porta con sé un odore, una stagione che non è mai andata né andrà via del tutto. Nel suo percorso artistico c’è spazio anche per il dialetto brindisino, usato non per guardare indietro ma per restare fedeli a qualcosa che vive ancora. Le parole arrivano dalla terra, dalla gente, dal mare, da un modo di stare al mondo che resiste nei gesti e nei suoni. Anche quando canta in italiano, la lingua madre resta nelle pause, negli accenti, nella forma delle frasi. Non serve sentirla per riconoscerla. È come la luce di certi pomeriggi: non si guarda ma si capisce che è casa.
“Rose di me” sbocciano oggi ma il loro sangue è antico. Le canzoni sono scritte come si scrive una lettera: con urgenza, con una sincerità che si avverte prima di capirla. Dentro c’è tutto: il dolore, il silenzio, la memoria, la felicità fragile di certi attimi. La lingua è quella italiana ma l’accento è il suo, quello della vita vissuta a Brindisi, nei giorni di vento e nel tempo meridiano, quando l’infanzia non era ancora ricordo. Accanto a lei, Valerio Daniele e Marco Bardoscia sono co-autori di una narrazione che tiene insieme delicatezza e profondità. Le corde di Daniele disegnano paesaggi che cambiano con passaggi che si fanno rarefatti, elettrici, a tratti quasi invisibili. Bardoscia, che vanta collaborazioni importanti come quella con Paolo Fresu, crea uno spazio dove tutto può accadere. La loro musica non riempie, lascia spazio. E in quello spazio accade qualcosa.
Paola Petrosillo ha percorso strade diverse e ognuna le è rimasta addosso. Dalla canzone popolare alla scrittura in dialetto, dai progetti collettivi al lavoro per l’infanzia, ogni tappa le ha insegnato ad ascoltare prima di parlare, a cercare la voce giusta per ogni sentimento. Con “Rose di me”, il suo primo disco da solista, questa voce si è fatta ancora più chiara, più consapevole. Ha scelto di raccontarsi con semplicità, senza mai semplificare. E quando arriva “Coda dell’occhio”, il primo pezzo del disco diventato anche videoclip per la regia di Paco Maddalena, si capisce tutto. C’è uno sguardo che non si impone ma osserva. C’è un’intimità che non si nasconde ma si protegge. C’è una forza che non si mostra ma si sente.
Domenica 10 agosto, nella luce bassa di piazza Duomo a Brindisi, tutto questo prenderà forma. Senza effetti, senza barriere, senza distanza. Solo una voce, tre strumenti, una manciata di storie vere. “Rose di me” non chiude con fragore: lascia un silenzio pieno come dopo una verità detta sottovoce. Un concerto che non cerca conferme ma resta. Dove serve. In fondo, nella parte più nascosta dell’ascolto.
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