Un gioco ˗ quello d’azzardo ˗ che oramai ha assunto tutte le sfumature di una roulette russa. Malgrado gli ammonimenti e i tanti esempi ˗ anche letterari ˗ di cui sono pieni gli scaffali delle biblioteche.
Primo tra tutti quello de “Il giocatore”, il romanzo che Dostoevskij dettò in appena ventotto giorni ad Anna Grigorievna Snitkina, la donna che in seguito sarebbe diventata sua moglie. Ebbene in quelle pagine lo scrittore analizza il gioco d’azzardo in tutte le sue forme e con i più disparati tipi di giocatori, dai ricchi nobili, ai poveretti che si giocano tutti i loro averi, ai ladri dei casinò.
A rappresentare l’annientamento di sé nonostante la persistente illusione di venirne fuori è la frase con cui il giocatore ˗ Aleksej Ivànovic ˗ chiude la sua triste storia personale: «Domani, domani, tutto finirà!». Un’amara illusione, purtroppo.
Anche Flaubert (in Madame Bovary) dipinge bene quel mondo: «… (giocare) gli pareva un atto prezioso della propria libertà, che rialzava in lui la stima di se stesso. Era come l’iniziazione al mondo, l’accesso ai piaceri proibiti. Quando entrava in uno di quei locali, posava la mano sulla maniglia della porta con una gioia quasi sensuale…».
Si avverte, in questi romanzi, la stessa illusione che ancora oggi spinge milioni di persone ad affidare alla sorte il proprio destino. L’unica differenza consiste nell’etichetta che si è data all’insana passione: ludopatia. Un termine il cui prefisso “ludo” richiama alla mente gli spettacoli pubblici che si organizzavano nell’antica Roma in occasione di feste religiose o civili. E che, per estensione, è passato a indicare giochi e passatempi in senso lato.
A riproporci il vocabolo, nell’accezione più cruda e drammatica, è stato il recente abbandono, da parte di Marco Baldini, del programma che conduceva con Fiorello su Radio1 perché non era più in grado di «sostenere un ruolo impegnativo» e aveva paura «di mettere a rischio le persone». Decisione sofferta, un gesto di riconoscenza nei confronti di chi l’ha sempre aiutato.
Baldini dice che è uscito dal vizio del gioco già da tempo e attualmente sta solo continuando a pagare i vecchi debiti (qualcosa come quaranta milioni…). Logica avrebbe però voluto che il distacco da Fiorello l’avesse portato a meditare un po’ di più sulla strada da intraprendere, che avesse sentita la necessità di fare un po’ di silenzio attorno a sé. Invece è riapparso subito in televisione, a fare il giudice di una competizione canora e a farsi intervistare da Paola Perego… Ma questa è un’altra storia, direbbe Kipling.
Non so se sia da legare al caso Baldini o si tratti di pura coincidenza il controllo che pochi giorni fa agenti della Divisione Amministrativa della Questura di Brindisi, unitamente al personale della Squadra Mobile, hanno effettuato sul territorio provinciale contro il sempre più diffuso fenomeno di abusi delle attività svolte dai centri di scommesse.
A essere indagati, per violazione degli articoli 4 comma 1°, 4 bis e 4 ter della legge n. 401 del 1989, sono stati i titolari dei centri di raccolta scommesse i quali, in assenza di specifica autorizzazione dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e della licenza di Pubblica Sicurezza rilasciata dal Questore, hanno svolto attività di raccolta e di trasmissione dei dati relativi a scommesse on line, nonché servizi di riscossione dai clienti e di accredito delle somme introitate in favore dell’operatore straniero.
E pensare che fino a qualche decennio fa l’unico gioco “nazional popolare” era costituito dalla schedina del Totocalcio. Ad essa erano legate le speranze degli italiani di cambiare, dall’oggi al domani, la propria esistenza. Il sabato sera, con l’ausilio dei più scaramantici artifizi, si compilavano le due classiche colonne e, come bambini, si aspettava una Befana travestita, per l’occasione, da dea bendata. E, nell’attesa, si sognava… Poi, come gran parte delle cose belle del passato, anche il Totocalcio è stato dapprima stuprato (con i “sistemi” sempre più scientifici e massivi) e alla fine rinnegato.
Una rivoluzione resa possibile dallo Stato che, non soddisfatto delle entrate assicurategli dai Monopoli, ha chiesto sempre di più, fino a tramutarsi in un Moloch che, con l’illusione di distribuire ricchezza, di fatto chiede ai propri cittadini sacrifici che possono giungere anche fino alla perdita della vita.
C’è infatti da domandarsi se questa benedetta legge di Stabilità economica può permettersi di minare la stabilità della salute psichica dei cittadini. Sembrerebbe di sì se è vero che per incamerare pochi milioni prevede nuove concessioni per il gioco d’azzardo. Aumentando non solo il numero delle sale Bingo, ma anche le Videolottery, cioè le slot-machine online che permettono al giocatore di scommettere cinquecento euro al colpo!
Ma cosa si propone lo Stato? Disseminare la Penisola di tante Las Vegas? Non comprende che la proliferazione del gioco d’azzardo va a tutto vantaggio della criminalità organizzata? Non si rende conto che i soldi che acchiappa con una mano li restituisce, con gli interessi, nel momento in cui il giocatore ˗ oramai affetto da ludopatia ˗ è costretto ad affidarsi alle cure, lunghe e costose, del Servizio Sanitario Nazionale?
A questo ha dato vita lo Stato: a un ipocrita circolo vizioso! Nel senso che si preoccupa dei malati solo dopo aver favorito la loro malattia. E il colmo dell’ipocrisia si è raggiunto allorquando, l’anno scorso, ha istituito addirittura un Osservatorio sul gioco d’azzardo per contrastarne la dipendenza!
Non tutto è ammissibile per fare cassa e sicuramente non lo è sfruttare la situazione di patologia in cui versano migliaia di cittadini. Perché ˗ non nascondiamocelo ˗ siamo di fronte a una vera e propria malattia sociale, con quasi un milione di giocatori cosiddetti “problematici” che sono spinti a “tentare la sorte” per motivi economici, finendo spesso per indebitarsi e per precipitare nella disperazione più cupa che può sfociare nel suicidio o nell’omicidio.
La logica (e la prevenzione) vorrebbe che sparissero dalla circolazione anche i “gratta e vinci” che rappresentano il primo passo per avvicinarsi al gioco d’azzardo. Un provvedimento auspicabile non tanto per le vecchiette (sono tante!) che passano dal tabacchino prima di recarsi al mercato, quanto per i ragazzi che vengono spinti dai genitori a “grattare” con la monetina. Come se si trattasse di un gioco.
Ma gioco non è, visto che negli spot che reclamizzano l’“innocente” passatempo una voce di fondo avverte tutto d’un fiato (come si fa per le controindicazioni dei medicinali) che “è vietato ai minori e può dare dipendenza patologica”. In questo modo si fa salva la coscienza!
E allora, dal momento che lo Stato si rifiuta di pensare ai suoi futuri cittadini, siano i genitori ad insegnare ai figli che la dea Fortuna appartiene al mondo della mitologia e lì è bene che rimanga.
Guido Giampietro
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