April 2, 2025

Il manuale delle istruzioni della vita diceva che solo il suono della chitarra classica dello zu Pippi non trovava ostacoli. Il 1978 fu un anno importante a livello musicale. Nelle sale cinematografiche arrivò “La febbre del sabato sera”. Se John Travolta fu l’eroe per molti adolescenti, il giovane campagnolo decise che “We will rock you” dei Queen era la canzone che poteva rappresentarlo meglio.

Ricomporre la propria vita e la voglia di suonare, tra paure e debolezze, la riservatezza e la passione, portarono ad iniziare un percorso artistico stimolante e pieno di speranza. L’inizio fu quasi casuale.

Una sera un gruppo di nuovi amici conosciuti davanti al flipper del bar di un distributore di benzina, si esibisce in uno scantinato di una palazzina di Tricase porto: Pierluigi suonava il basso. I genitori erano musicisti. Il padre faceva di mestiere il calzolaio, suonava il trombone ed era uno dei componenti della banda musicale di “Mesciu Nino”. La madre teneva in privato lezioni di canto per le bambine, la cui principale ambizione era quella di cantare nel coro parrocchiale nei giorni di festa. Flavia era la più brava e la più vispa di tutte: “Cantare in un coro della chiesa è una sensazione bellissima ma cantare a Natale nella messa di mezzanotte ti riempie di felicità”.

Mario era il cantante, suonava anche la chitarra ed aveva una forte propensione verso la poesia e il teatro sperimentale. Donato invece suonava la batteria, era quello che aveva i capelli più lunghi rispetto agli altri e il più ciarliero del gruppo. I suoi proverbiali “cosichè” iniziavano ogni genere di conversazione. Al gruppo si aggiunse Giorgio, un tipetto molto riservato, costantemente con il quotidiano “Lotta Continua” tra le mani, era molto efficace come tecnico del suono.

Nonostante la giovane età, tutti i componenti lavoravano nelle piccole aziende di famiglia. Ognuno di essi aveva acquistato i propri strumenti musicali di seconda e terza mano in un negozio di Lecce. Alle prove doveva esserci un altro musicista, ma non si presentò. Dario prese la chitarra elettrica e iniziò a suonare.

Gli altri ragazzi apprezzarono: “Dovremmo farlo più spesso”, esclamò soddisfatto Mario.

“A dire il vero è la prima volta che suono la chitarra elettrica”, rispose un incredulo Dario.
“Significa che hai talento, bene così”, ribattè Mario

Dario aveva il germe dell’idea da tempo. In pieno fermento punk, il rock’n’roll gli scorreva nelle vene. Nella terra rocciosa del Salento si voleva celebrare un’alternativa alle storiche canzoni popolari cantate durante la raccolta del tabacco. Quello scantinato vicino al mare era diventato una stanza fantastica perché era piena di vinili, strumenti musicali, cavi e amplificatori. Un piccolo registratore a bobine dava la possibilità di registrare e ascoltarsi.

Quella sala prove era di proprietà di Amerigo, un musicista che viveva a Tivoli e lavorava nell’Orchestra della Rai a Roma. Dai genitori aveva ereditato alcuni appartamenti sul mare che venivano affittati durante il periodo estivo. La band non aveva ancora un nome, ma le cose iniziavano a ingranare. Tutti andavano nella stessa direzione.

Le decisioni venivano prese insieme. Oltre alla musica i componenti della band avevano imparato ad essere anche amici. Il richiamo alla controcultura era diventato molto forte. Lo studio, una nuova coscienza civile, un idealismo puro, semplice e incontaminato fornivano un’adeguata lettura a una colonna sonora ricca di conoscenza, tumulti e ribellione.

I giovani musicisti non volevano comprare la propria felicità, e nemmeno rubarla. Dario continuava a sognare quel treno che lo aveva portato a Roma. Forse un segno del destino o un sogno premonitore per un futuro da ricostruire.

“E sul binario stava la locomotiva, la macchina sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno mordesse la rotaia con muscoli d’acciaio” . (Francesco Guccini)

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