June 2, 2023

Brundisium.net
Print Friendly, PDF & Email

Caro mendicante,

diciamolo in premessa e senza mezzi termini: tu, il più delle volte, mi irriti.

Mi irriti molto, anzi, moltissimo. E non so spiegarti il perché.

 

Mi irrito per il lavavetri che ti spruzza l’acqua saponata sul vetro già pulito e che ti chiama “Cumpà” o “Amico” e che poggiando la mano in macchina dal finestrino aperto ti chiede “Come stai?”, per il rivenditore di fazzolettini che a contatto con l’umido si smembrano in mille pezzi, di accendini che si inceppano alla terza sigaretta, di cartoncini deodoranti senza alcuna traccia di profumo, per l’uomo dignitoso con barba bianca e con fisarmonica finta, stile nobile decaduto, che se lo ignori ti guarda come se il miserabile fossi tu, per il ragazzo senza una gamba o con un braccio filiforme che si affanna ad ogni passo, per la ragazzina zingara scortata da adulti che la controllano da lontano, per la donna che sembra incinta e che vuol venderti la fortuna, per l’uomo che passa con il cartello “Ho fame e quattro figli” al quale verrebbe da chiedere “Perchè cazzo hai fatto quattro figli?”, per il rivenditore di rose congelate nel ristorante che gli devi dire “No grazie” almeno dieci volte prima che se ne vada, per il suonatore di “Tanti auguri a te” con fisarmonica, villa al Perrino e faccia davvero indisponente, per l’innovatore che si fa tutte le macchine in fila lasciando a tutti un accendino ed una richiesta di soldi e che ti fotte perchè lo confondi sempre con quello che da i biglietti omaggio per il circo, per l’immigrato che si offre di aiutarti a riportare al suo posto il carrello del supermercato, per il mimo che non fa più il mimo da non so quanti anni ma che sta ancora li sul corso … e sopratutto mi fa irritare … l’irritarmi.

 

Non so se ha a che fare con un senso di colpa che dovrei avere e il più delle volte non ho, e non so se ha a che fare con la mia cultura cristiana e con gli insegnamenti del Catechismo che vengono fuori al momento meno opportuno, e non so se c’è qualcosa di più ancestrale, profondo e tribale come il senso di appartenenza.

Non so se è tutto questo messo assieme; non ho ne il tempo e ne la voglia di approfondire.

Non qui almeno, e non ora.

Non è questa la sede adatta per riflettere sul concetto di carità, di misericordia, di aiuto o di solidarietà.

So soltanto che dovrei provare sentimenti completamente diversi; dovrei commuovermi, simpatizzare, intenerirmi, turbarmi, struggermi, solidarizzare, impietosirmi e, in base a ciò, regalarti uno, due, cinque euro, a secondo dei casi, a secondo della capacità che hai di rappresentarmi in un attimo tutta la tua indigenza, a secondo del grado di bisogno che mi dimostri in queste pantomime che, abbandonata la fase della richiesta diretta, si trasformano, sempre più, in vere e proprie sceneggiate.

 

Non te ne faccio una colpa: so che sei costretto.

Devi, se vuoi ottenere qualcosa, battere l’infinita ed agguerrita concorrenza mettendo in quello che fai qualcosa di teatrale, di esasperato, di distinguibile.

Devi cercare di essere “più efficace” di tutti gli altri: più triste, più claudicante, più servizievole, più incinta, più piccolo, più bisognoso perché solo così probabilmente ti noterò e stabilirò che la mia piccola azione quotidiana dell’offerta (che mai ripeto due volte nello stesso giorno) sarà destinata proprio a te.

E hai ragione, perchè io, da parte mia, abituato pressocchè a tutto, con la mia attenzione ridotta ai minimi termini e con la mia superficialità ed indifferenza al massimo grado, sarò attratto esclusivamente dal nuovo, dall’eclatante, dall’eccezionale, dall’eccessivo.

 

Questo impercettibile, effimero, istantaneo, fulminante rapporto che instaureremo mi porterà a decidere chi aiutare e chi no ed in quell’occasione, in quei uno o due euro regalati al più indigente, anch’io risponderò ad un mio bisogno intimo, segreto, privato che avrà naturalmente dietro di se la più ampia gamma di motivazioni morali, laiche, razionali, egocentriche, narcisistiche, spirituali o religiose.

La telefonata di un amico, il clacson della macchina dietro o il pensiero di un appuntamento, in genere, pongono fine alla vicenda: c’era un bisogno e mi hanno chiesto la carità, ho soddisfatto il bisogno ed ho fatto la carità.

Sono stato buono! Sono in pace con me stesso! Tutto a posto!

E invece no! Tutto a posto il cavolo!

 

E quella inquietudine che rimane sopita?

E quel disagio che provo quando continuo a vederti in tutte le tue più sventurate varianti?

E quel discorso su di te che sembra che non centri niente ma che poi ritorna ogni tanto a galla e spesso sotto forma di insulti e di scoperte di furbizie malcelate?

 

Se fossi sicuro di essere capito, cosa della quale in genere non mi interessa molto, direi che mi irriti perchè ci sei, perchè esisti, perchè ti fai vedere ogni giorno, perchè ogni giorno mi costringi ad esercizi di fatuità pur di liberarmi di te e del tuo ricordo.

 

Da qui a pensare che manchi qualcosa a me più che a te, il passo è breve.

E guarda caso, mentre ti scrivo, ad incasinare tutto, a rendere tutto più difficile, mi viene in mente una delle mie poesie preferite: “L’Inno alla carità” (carità intesa come amore) così come è chiamata una parte della prima lettera di San Paolo ai Corinzi.

E’ una poesia laica e dice così:

 

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,

ma non avessi la carità,

sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante.

Se avessi il dono della profezia

e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza

e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne,

ma non avessi la carità,

non sarei nulla.

Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri,

se dessi il mio corpo per essere arso,

e non avessi la carità,

non mi gioverebbe a nulla.

La carità è paziente,

è benigna la carità;

la carità non invidia, non si vanta,

non si gonfia, non manca di rispetto,

non cerca il proprio interesse, non si adira,

non tiene conto del male ricevuto,

ma si compiace della verità;

tutto tollera, tutto crede,

tutto spera, tutto sopporta.

La carità non verrà mai meno.

Le profezie scompariranno;

il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà;

conosciamo infatti imperfettamente,

e imperfettamente profetizziamo;

ma quando verrà la perfezione, sparirà ciò che è imperfetto.

Quando ero bambino, parlavo da bambino,

pensavo da bambino, ragionavo da bambino.

Da quando sono diventato uomo,

ho smesso le cose da bambino.

Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro;

ma allora vedremo faccia a faccia.

Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente,

come perfettamente sono conosciuto.

Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità;

ma la più grande di esse è la carità.

(S. Paolo – Prima lettera ai Corinzi 13,1)

 

Non ci voleva proprio!

Ecco perchè mi irriti: perchè domani vado a cinema e sabato sera a cena con gli amici e fra bollette, ufficio, famiglia, politica e cazzi vari, io, il tempo di pensare a te non ce l’ho proprio.

Hai capito o no?

 

Absit iniuria verbis

A.Serni

No Comments

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com