C’è un dettaglio, in apparenza marginale, che rischia di trasformare il caso Antonino in un imbarazzante cortocircuito istituzionale per l’attuale amministrazione comunale. Ed è la dichiarazione, resa dal sindaco Giuseppe Marchionna l’8 luglio al “Nuovo Quotidiano di Puglia” ed a “Il Fatto Quotidiano”, secondo cui avrebbe appreso “solo quel giorno” della sentenza che consente all’ex sindaco Giovanni Antonino di saldare un debito da 2,3 milioni di euro con appena 252mila euro, pagabili in 35 anni.
Una dichiarazione che, alla luce dei fatti, risuona come un clamoroso falso.
Infatti, secondo quanto riportato dall’edizione on line de “Il Fatto Quotidiano”, a smentire Marchionna ci sarebbe una mail ufficiale dell’Avvocatura comunale, datata 3 giugno, indirizzata proprio al primo cittadino e ad altre figure chiave della giunta, tra cui le assessore al Bilancio e al Personale. In quel documento si comunicherebbe la pubblicazione della sentenza di omologa (avvenuta il 31 maggio), si spiegherebbe che è immediatamente esecutiva e si inviterebbe a valutare un’eventuale impugnazione.
Quindi Marchionna era stato informato ed ha detto una bugia. Perché?
Il fatto certo è che la giunta, pur essendosi costituita in giudizio contro la proposta di sovraindebitamento di Antonino, una volta che il giudice ha accettato il piano, ha poi lasciato passare il termine per proporre appello (30 giorni dalla pubblicazione della sentenza, ai sensi dell’art. 51 del Codice della crisi). Sará una decisione legata a ciò che Marchionna, sempre nelle interviste al Quotidiano e al Fatto chiama “delicatezza politica”? che altro non sarebbe la circostanza che, a presiedere il consiglio comunale, c’è Gabriele Antonino, figlio dell’ex sindaco beneficiario dello sconto milionario.
Insomma, il sospetto è che Marchionna sapeva della sentenza e non l’ha impugnata per non indispettire il Partito Repubblicano Italiano, che sostiene la sua maggioranza.
E dire che proprio il Comune, nelle memorie di costituzione avverso la proposta di piano, aveva definito la proposta di Antonino come un “indulto civile” ai danni della collettività. Una posizione forte che, di certo, avrebbe meritato di essere sostenuta fino alla Cassazione. Invece, ad impugnare la sentenza è stata soltanto l’Agenzia delle Entrate.
Per vederci chiaro su quanto accaduto, nella mattinata del 9 luglio, le opposizioni ed il Consigliere Roberto Quarta hanno chiesto ufficialmente accesso agli atti per verificare date, documenti ed eventuali bugie e omissioni. In attesa che la documentazione sia resa pubblica, le domande politiche restano intatte: perché un’amministrazione che si è detta contraria in aula di giustizia ha poi lasciato scadere i termini senza reagire? Perché il sindaco ha affermato di non sapere, quando invece sarebbe stato informato da settimane?
Se la giunta ha scelto consapevolmente di non impugnare per un motivo ben preciso, deve avere il coraggio di spiegarlo pubblicamente e senza mistificazioni della realtà. Ma se il Sindaco ha mentito alla cittadinanza o ha ignorato una comunicazione dell’Avvocatura per oltre un mese, siamo di fronte a un caso ancora più grave: non si tratta più solo di debiti non riscossi, ma anche di un comportamento censurabile atto, probabilmente, a nascondere scelta politica deliberata che lascia il dubbio che si sia privilegiata la famiglia Antonino e la stabilità dell’amministrazione piuttosto che il bene collettivo.
In questo contesto, le precisazioni giunte da Marchionna nella serata del 9 luglio non offrono risposte esaurienti.
Secondo il Sindaco “allo stato l’Agenzia delle Entrate-Riscossione – creditore procedente abilitato – non risulta abbia opposto ricorso“… e “in tali condizioni il Comune di Brindisi … non dispone di alcun elemento aggiuntivo e significativo tale da far prevedere una revisione del giudizio con una sia pur minima percentuale di successo“.
Con queste parole il Primo Cittadino smentisce se stesso perché, a dispetto della dichiarazione di aver saputo dell’esistenza della sentenza soltanto l’8 luglio, sostiene – nemmeno tanto implicitamente – che, quella di non proporre appello, sarebbe una “scelta consapevole” determinata dal fatto che – a suo dire – la mancata opposizione dell’Ader renderebbe vana una sia pur minima percentuale di successo.
Quindi, dire alla stampa e alla cittadinanza di non conoscere la sentenza era una bugia.
Ma non finisce qui. A non convincere affatto, è proprio la tesi secondo cui la mancata opposizione dell’Agenzia delle Entrate Riscossione azzererebbe la percentuale di successo.
Nel processo di sovraindebitamento, infatti, la funzione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione è limitata alla gestione delle notifiche, delle procedure esecutive e, talvolta, dell’aggio spettante, mentre è il Comune, in quanto ente creditore, ad avere piena titolarità per opporsi nel merito della pretesa (come, d’altronde, è avvenuto nella prima fase della proposta di piano).
Ignorare – o fingere di ignorare – questa distinzione elementare tra soggetti processuali equivale a mistificare la realtà.
Pertanto, no. Non è assolutamente vero che il mancato reclamo dell’Ader rende nulle le speranze che la Corte d’Appello sovverta la decisione del giudice di primo grado e ordini di respingere il piano di sovraindebitamento di Antonino.
Ore. Pi.
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