Il coach dell’Enel Basket Brindisi Meo Sacchetti è stato ospite di Radiazioni Cult Musica Poesia Resistenza per presentare la sua prima opera editoriale “Il mio basket è di chi lo gioca”, un libro in cui lo sport e i valori umani assumono un significato forte, ricco di sogni e storie.
Riportiamo una parte dell’interessante intervista realizzata negli studi dell’emittente radiofonica Ciccio Riccio.
– Radiazioni: Il suo libro, pubblicato per “add editore” è stato scritto con la collaborazione del giornalista sardo Nando Mura. Come nasce l’idea di pubblicare quella che in realtà è la sua storia, come uomo e giocatore e allenatore di basket?
– Sacchetti: L’idea era quella di pubblicare solo 30-40 copie, trasportando la mia esperienza dentro un libro per regalarlo agli amici più cari e alle persone più vicine della mia vita sportiva. Quando è arrivata la proposta dell’editore, siamo andati più in profondità attraverso la mia storia personale. Non è un libro solo tecnico sulla pallacestro ma ci sono tanti episodi di cui si cerca di dare un senso ai sogni da raggiungere attraverso lo sport.
– Radiazioni: “Se a un certo punto della vita mi sono trovato a festeggiare uno scudetto abbracciato a mio figlio Brian, è tutta colpa di una pianta di glicine cresciuta storta nel cortile della mia casa di Novara…”. La sua storia nel mondo del basket parte proprio da qui. Cosa ricorda di quel cortile e di quella pianta usata come canestro?
– Sacchetti: Ricordo di aver visto una partita di basket in televisione tra Pesaro e Napoli. Mi era piaciuto quel gioco perchè molto dinamico. Mi affascinavano quegli atleti giganti che correvano con molta semplicità. Dentro il cortile dove abitavo insieme ad altre famiglie c’era un glicine che si arrampicava contro un muro facendo da triangolo. Lo idealizzai come canestro. Furono i miei primi tiri.
– Radiazioni: Lei ha perso il padre quando aveva solo pochi mesi. Suo nonnno emigrò per lavoro in Romania. Una storia fatta anche di tanta sofferenza tra campi profughi, lupi dietro alla porta di casa e la storia di un altro piccolo Romeo…
– Sacchetti: Sono cresciuto senza padre perchè è scomparso dopo 4 mesi dalla mia nascita. Sono stati bravi in famiglia. Non mi hanno fatto mancare niente. Ho avuto un’infanzia povera ma felice. Ricordo la promessa che mi facevano, quella di una bicicletta in caso di promozione a scuola. Continuavo ad essere promosso ma la bici non me la regalavano. Poi ho capito che non c’erano soldi per comprarla. E’ stato molto affascinante quello che mi è stato raccontato, la storia di mio padre, del nonno e del primo Romeo. Devo essere grato ai miei fratelli che mi hanno aiutato durante la mia infanzia.
– Radiazioni: Ha giocato a Torino e Varese, ma le pagine più belle le ha scritte con la Nazionale con cui ha vinto una medaglia d’argento alle Olimpiadi di Mosca nel 1980 e un oro agli Europei di Nantes nel 1983. Lei scrive che ci sono due immagini bellissime e contrastanti che sono state consegnate alla storia dell’Europeo…
– Sacchetti: Raggiungere le Olimpiadi è stata la soddisfazione più bella. In Unione Sovietica non abbiamo sfilato per il boicottaggio. Cosa che abbiamo fatto quattro anni dopo a Los Angeles. Quella sicuramente ha rappresentato una emozione particolare. Da giocatore sono stati gli unici successi ottenuti. Quei ricordi sono importanti anche per aver stretto amicizia con alcuni giocatori, di cui mi porto ancora dietro.
– Radiazioni: E’ tornato in Puglia a respirare ancora salsedine e per conoscere i luoghi e le sue radici. Riparte da Brindisi con un libro e una nuova vita professionale. Lei crede nel destino?
– Sacchetti: Sono andato via dalla Puglia che avevo solo due anni. Sono ritornato dopo quasi 60 anni ad allenare una squadra. Passando dal palazzetto di via Ruta ho ricordato quando ho giocato nel 1973. Credo molto nei sogni e nel destino. Mi piace fare l’allenatore e vincere anche qualcosa in più. Penso e spero che possiamo fare questo passo in avanti ed avere un buon percorso in questo campionato.
MARCO GRECO
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