April 30, 2025

Quanto male ha fatto il signor Collodi con il suo Pinocchio e lo scoop del naso allungabile. Certamente in buona fede, ma l’ha fatto. Generazioni di bambini, in tutto il mondo, sono stati afflitti dai predicozzi di genitori, nonni e zie sull’obbligo morale di non dire bugie nemmeno per scherzo. E che ne sanno i bambini degli obblighi morali? Una cosa è certa: la loro morale è più “morale” di quella, ipocrita, degli adulti.

Così, grazie al signor Collodi, abbiamo vissuto, nella stagione dell’innocenza, con il terrore di un naso che, da un momento all’altro, sarebbe potuto crescere a dismisura, fino a diventare una imbarazzante proboscide. E quando la bugia scappava ˗ e purtroppo scappava! ˗ di nascosto lo tastavamo per rassicurarci della sua immutata lunghezza. Non perché il naso lungo ci avrebbe dato fastidio, visto che a carnevale gli stessi genitori, nonni e zie ci facevano mettere quelli posticci. Nossignore! L’anomalo allungamento ci avrebbe fatto apparire bugiardi di fronte alla gente. Una umiliazione che, per quanto bambini, si faceva fatica a mandare giù.

 

Insomma la bugia ˗ anche nel periodo dell’adolescenza ˗ ci è stata mostrata come un peccato dalle cinquanta e più sfumature di nero… Purtroppo a quell’età ci era ignoto il pensiero di S. Tommaso d’Aquino sull’argomento. Nel caso della bugia, infatti, Tommaso è più liberale dello stesso Kant. Se il filosofo tedesco sostenne che non si deve mentire nemmeno alla presenza di un malvivente, il santo Dottore della Chiesa ritiene che la bugia “giocosa” e quella “officiosa”, quando non ledono gravemente la carità, non costituiscono peccato mortale e non v’è problema nel proferirle.

Le bugie, dunque, possono essere dette da piccini e da grandi. E se le prime hanno un campo d’applicazione limitato, quelle dei grandi spaziano dai temi amorosi, a quelli caritatevoli, affaristici, diplomatici, delittuosi, politici…

 

A proposito delle bugie caritatevoli e dei loro (salutari) effetti, ricordo che un amico, ben conoscendo il carattere apprensivo del padre, gli nascose fino alla fine la vera natura del male che l’affliggeva. E per rendere più sicuro l’inganno giunse perfino a modificare i bugiardini dei farmaci laddove comparivano i termini cancro o tumore. Il padre ˗ uno di quelli che si rifiuta di conoscere la verità che lo riguarda ˗ se ne andò così, serenamente. Ho sempre pensato che, se mi fossi trovato nelle condizioni di quel mio amico, mi sarei comportato allo stesso modo.

 

Nutro invece qualche riserva sulle bugie dei politici! A mio avviso, anche quando la lotta si fa dura, per rispetto del mandato che hanno ricevuto, dovrebbero astenersi dal pronunziarle. Andreotti, alla domanda se si potesse fare politica senza dire bugie, replicava con un pessimismo quasi cosmico: «Forse non si può neppure vivere senza dirle»…

Anche in questa circostanza l’onorevole non perse l’occasione di mostrare il suo “humour sottile e perfido come bucature di spillo” (come si espresse Oriana Fallaci nella famosa intervista del 1974). Diversamente da quanto voleva darla a intendere Pietro Aretino. Il pluricensurato scrittore, infatti, diceva: «Io parlo in lingua de la verità… La bugia, pane quotidiano dei gran maestri, non è cibo della mia bocca». E per dare più forza al suo pensiero aveva assunto come motto l’aforisma di Terenzio: «Obsequium amicos, veritas odium parit» (“L’adulazione procaccia amici, la verità attira l’odio”). E concludeva affermando di aver «ricomperato il vero col proprio sangue».

 

Ebbene la mia difesa a spada tratta della bugia si può avvalere, oggi, di un validissimo supporto scientifico. È Francesca Gino, docente di Decision Making alla Harvard Business School, a definire gli ingegnosi e abili ingannatori dei geni del male: evil genius. Partendo da questo assunto, insieme a Scott Wiltermuth della University of Southern California Los Angeles, ha cominciato a indagare il rapporto tra creatività e disonestà.

Secondo i due ricercatori il comportamento disonesto e quello creativo hanno qualcosa in comune: presuppongono entrambi la rottura delle regole. Ecco perché siamo tutti individui “moralmente flessibili”, nel senso che abbiamo un codice morale simile a quello di un computer difettoso, pieno di bug, di buchi.

 

Anche chi riconosce grande valore alla moralità può assumere comportamenti immorali e auto convincersi che non lo siano. La creatività, o l’abilità di inventare storie, potrebbe fornire alle persone i mezzi necessari per giustificare certi comportamenti ancora prima di commetterli. In altre parole: prima di ingannare gli altri, siamo bravi a farlo con noi stessi.

Un’idea condivisa anche da Ian Leslie, commentatore politico e autore di Bugiardi nati. Perché non possiamo vivere senza mentire (Bollati Boringhieri). «Siamo cantastorie di natura ˗ afferma Leslie ˗ e spingiamo la nostra capacità narrativa al di là dei confini dell’esperienza, forzando il guinzaglio che c’incatena alla realtà. È meraviglioso: deriva da qui la nostra capacità di concepire futuri alternativi e mondi diversi».

 

Mentire, quindi, è una sorta di necessità evolutiva: lo facciamo in molti (il 60 per cento delle persone, secondo un’indagine del 2002 dell’Università del Massachusetts, dice almeno una bugia durante una conversazione di dieci minuti).

Insomma non sbagliava Caterina Caselli quando cantava “Nessuno mi può giudicare” ed affermava che “la verità mi fa male, lo so…”. E aveva ragione anche Marlon Brando in Lying for a Living, una serie di video a cui l’attore stava lavorando prima della morte. Spiegava infatti il valore della bugia e vantava, di fronte a un pubblico di apprendisti, tra cui Leonardo Di Caprio e Sean Penn, grandi doti di mentitore: «Se puoi mentire, puoi recitare», diceva Brando.

 

Naturalmente non siamo biologicamente predestinati alla frode. Possiamo scegliere come usare la creatività, slegandola dalla disonestà. E per farlo abbiamo lo strumento dell’educazione. I genitori possono approfittare di ogni occasione per insegnare ai propri figli a essere persone buone, così l’etica potrà diventare parte del loro Dna. Si potrà usare la creatività per trovare soluzioni innovative senza varcare i limiti dell’etica. Cioè senza diventare “geni del male”.

 

In conclusione vale la pena seguire il consiglio di Ian Leslie: «Quando vostro figlio a tre anni dice una bugia fategli un applauso. Sta sviluppando la propria creatività».

Che poi è anche il mio personale convincimento, in totale disaccordo con gli stucchevoli rimbrotti indirizzati dalla fata dai capelli turchini a quel creativo di Pinocchio!

 

GUIDO GIAMPIETRO

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