July 27, 2024

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Marie Kondo è una giapponesina minuta e piena di grazia che, da tempo, si è lanciata nella sfida del terzo millennio: liberarci del superfluo. Il che significa svuotare armadi, scaffali, cassetti, angosciarsi davanti a cumuli di oggetti, finché non si prendono in mano uno per uno e si ascoltano le vibrazioni che trasmettono. Se sono positive, si trattengono; altrimenti si gettano via.

Il metodo “KonMari”, nato dalla contrazione del nome e cognome di questa donna votata all’ordine, ha in sé qualcosa di buono anche perché, come diceva Charles Péguy (Cahiers de la quinzaine) «l’ordine, e l’ordine soltanto, fa in definitiva la libertà. Il disordine fa la schiavitù». Ma se può andare bene sbarazzarsi di abiti fuori misura e di oggetti di modernariato che non attirano la curiosità nemmeno del più bisognoso dei rigattieri, come si pone la questione quando ci si trova davanti al dilemma di conservare e/o eliminare dei libri?
La piccola Marie questa cosa l’aveva già scritta nel suo saggio di esordio, quando aveva proposto un modo per non rinunciare del tutto a un romanzo che ci è piaciuto: strappare la pagina più significativa e conservarla in un raccoglitore. Poi però, per onestà, aveva dovuto ammettere di non essere andata a riguardare il raccoglitore nemmeno una volta…

 

Per quanto mi riguarda è proprio questo il punto debole del metodo. Certo, non ci troviamo di fronte a Fahrenheit 451, il film di fantascienza in cui si descrive una civiltà distopica dove leggere o possedere libri è considerato un reato, per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume. Ma il passo per arrivarci potrebbe essere breve…
No, cara signora Kondo, i libri non si possono gettare via tout court, anche se al momento non suscitano emozioni. Perché quelle emozioni possono manifestarsi in una successiva lettura fatta in età più matura, quando la mente si è aperta a nuovi interessi e il cuore a nuovi percorsi. Bisogna tenere presente che i ricordi affondano nello stagno dell’anima: quelli più corposi scendono sul fondo, mentre i più leggeri, quelli che ci hanno allietato nel corso della vita, riemergono a galla come le ninfee.

 

La necessità di liberare spazio nelle nostre case che diventano sempre più ricche di bagni e povere di spazi vivibili ha indotto anche me a liberarmi del “superfluo”. E se per i pantaloni taglia 56 o i maglioni infeltriti o le musicassette anni Sessanta o un antidiluviano Commodore 64 non mi ha assalito alcun rimorso all’idea della loro rottamazione, quando sono passato a spulciare tra gli scaffali delle mie librerie (tre, per la precisione) sono iniziati i problemi. Non diceva Plinio il Vecchio: «Nullum esse librum tam malum, ut non in aliqua parte prodesset» (non c’è libro tanto cattivo che in qualche sua parte non possa giovare)?

 

Prendendo tra le mani, con la delicatezza riservata a una cinquecentina, una grammatica greca dei tempi del Ginnasio vedo fuoriuscire un foglio che, dopo qualche esitazione, comincia a svolazzare come uno di quegli aeroplani di carta che, ricevuto sul muso l’alito del suo costruttore, compie ardite evoluzioni fino a planare nel punto più irraggiungibile della casa. Quella paginetta, invece, si posò quasi ai miei piedi.

 


La raccolsi e lessi, al centro di una pagina a righi, “Platone – Apologia di Socrate”. Fin qui nessuna sorpresa. Fu quando, sollevando lo sguardo, compitai “Guido mio, forse ti meraviglierai nel leggere queste parole, ma il mio cuore traboccante di amore e di tenerezza non può più reggere il peso di questo disperato sogno…”, che la mente dapprima vacillò, poi si schiarì e infine tornò a oscurarsi. E dai meandri della memoria tornò alla luce una storia di una sessantina di anni prima.

 

Cosa era successo? Al rientro dall’intervallo di metà mattinata, nell’aprire il quaderno di esercizi greci, mi ero imbattuto in quello scritto e, fino al termine delle lezioni, la mia mente fu occupata a scoprire l’autrice di quella sfacciata dichiarazione d’amore. Né, ad aiutarmi, fu sufficiente il monogramma “A.F.” posto in fondo alla pagina.
Devo precisare che la mia diventava una classe mista solo durante le lezioni di inglese e nessuna delle cinque-sei ragazze che si univano a noi maschietti aveva un nome e cognome riconducibile a quelle iniziali.
Tuttavia, nei giorni seguenti, continuai a fissare con insistenza gli occhi di tutte le ragazze che frequentavano il “Marzolla”, convinto che, prima o poi, al mio supplichevole sguardo l’autrice delle parole d’amore si sarebbe tradita. Ma non successe nulla, o meglio, qualcosa successe. Qualcosa che mi fece pensare. Il primo verbo dell’elenco intorno al quale era stata scritta la dichiarazione era πεπόνθατε, cioè la seconda persona singolare dell’indicativo perfetto di πάσχω che significa soffrire. Una coincidenza o un riferimento alla mia sofferenza per non essere stato capace di trovare chi mi amava?

 

Ma non dovetti soffrire molto perché – come diceva Apollinaire – «les souvenirs sont cors de chasse / dont meurt le bruit parmi le vent» (i ricordi sono corni di caccia il cui rumore muore nel vento). E il vento della giovinezza quel ricordo se lo portò via per dare spazio ai fatti della vita. Magari poi, come è successo questa volta, ritornano dopo sessant’anni.

 

E questo è il punto. Quando, per caso o perché cercati, ritornano, che effetto fanno? Direi benefico perché i ricordi sono come le ciliegie: uno tira l’altro. E si rivivono pezzi della vita che sembravano persi per sempre. E si vede il mondo con gli occhi di ieri e si è contenti perché vederlo con gli occhi di oggi fa un po’ male. Ma questo è rifuggire dalla realtà, dirà qualcuno. Ebbene sì, ma non è poi così brutto.
In ogni caso sono convinto che se la memoria trattiene i ricordi, un motivo deve pure esserci. Un ritorno al passato, anche se di qualche minuto, ci dà la forza di continuare e di apprezzare meglio il presente. Questa è la ragione per cui i ricordi non vanno rottamati e, pur plaudendo all’ordine invocato da Marie Kondo, bisogna salvarli.

 

Dimenticavo: la paginetta con la dichiarazione è a disposizione dell’autrice che, per celia o per autentico trasporto amoroso, l’ha scritta…

 

Guido Giampietro

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